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PD, i nodi arrivati al pettine con le elezioni del 25 settembre

Con tre tecniche elettorali diverse si sono svolte, dopo la crisi della Repubblica dei partiti, otto consultazioni. In quattro occasioni ha vinto la destra, in due il centrosinistra, altre due volte l’esito è stato un pareggio in un contesto di emergente tripolarismo sistemico. Una certa egemonia della destra sembra nel complesso caratterizzare gli orientamenti di voto della Seconda Repubblica. Tra il successo del 1994 e quello del 2022 c’è però una differenza sostanziale. L’alchimia originaria della destra di governo vedeva la componente postfascista in una posizione gregaria rispetto alla dominante regia aziendalistica berlusconiana. Ora, con l’eclisse politica del vecchio corpo del cavaliere, il vuoto che la follia estiva nella spiaggia romagnola del capitano leghista ha prodotto nella guerra di successione è stato riempito dal partito personale-identitario di Giorgia Meloni.

Rigenerare la sinistra

Dopo undici anni, con poco più di 12 milioni di voti, la destra ritorna al governo del paese con una sua maggioranza autosufficiente. Il lavoro di opposizione che ci attende si annuncia, fin dalle battute d’inizio di questo governo, più che mai necessario e impegnativo. Se
in passato ha prevalso la tentazione di affrontare la sfida alle destre in ordine sparso, oggi è indispensabile ricostruire una grande forza
della sinistra italiana e riaprire una prospettiva unitaria del campo progressista. Dobbiamo da subito dare un’anima e un’identità chiara
alla nostra opposizione.

Rialzarsi e mettersi in cammino. Insieme

La sconfitta elettorale del 25 settembre scorso, ben lungi dal rappresentare un fulmine a ciel sereno, si inserisce in un più lungo ciclo di ridimensionamento della sinistra italiana. E, come spesso accade, quando il campo della sinistra si restringe, si divide.
Affermare che la destra non sia maggioritaria nel paese e che solo un campo del centrosinistra diviso le avrebbe perciò permesso di vincere, seppur aritmeticamente corretto non pare argomento politicamente sufficiente. Le fratture che si sono consumate nel fronte democratico, peraltro, non sono accidentali: la comune esperienza di governo prima con il Conte II e poi con Draghi non solo non ha cementato quel campo largo che Enrico Letta ha tenacemente ricercato ma, al contrario, ha delineato approdi significativamente diversi per le principali forze oggi divise anche all’opposizione.

Ricostruire un’idea alternativa di società

La pietà si trasmette più facilmente tra chi combatte gomito a gomito e dalla stessa parte; ma può sorgere spontanea anche tra gli schieramenti nemici; come fu nel Natale del ’14, festeggiato insieme dai tedeschi e dagli inglesi. Usciti per un momento dai ruoli che la guerra imponeva per tornare di nuovo uomini, sotto lo stesso cielo. I generali non gradirono. La paura e la speranza non li univano tra di loro come i soldati. La guerra esalta le diverse categorie degli esseri umani: la carne da macello e l’aristocrazia del comando. Gli uni non si possono immedesimare con gli altri. Anche l’empatia ha le sue leggi e i suoi confini. Dall’esterno non ti permette di comprendere fino in fondo la sofferenza dell’altro. Che è impensabile se non provata direttamente; quell’“apnea” degli offesi quando è sola la forza che fa il merito e che stabilisce la giustizia.

Alzare lo sguardo per dar vita a un nuovo partito della sinistra

Per chi, come me, pensa sia necessario ricostruire una sinistra plurale e unita, le sorti del PD non sono indifferenti. Un processo verso un nuovo partito, molto annunciato ma di cui non si vedono i passi, o la sua implosione, avrebbe degli effetti rilevanti per tutta la sinistra.
Serve una sinistra unita e plurale, che pensi a governare in base a un programma che rappresenti un’alternativa al modello neoliberista. Modello che, pur nella confusa visione nostrana, ci ha caratterizzato negli ultimi venti anni, rendendo l’Italia un paese immobile e sempre più diseguale. Obiettivo di una sinistra unita e plurale che non scada nella moltiplicazione litigiosa e identitaria dei piccoli gruppi, ma neanche nel populismo del “né di destra né di sinistra”.

Cinque campi di azione per ridefinire funzione e identità del PD

Confesso che non sono rimasto sorpreso dal risultato elettorale. Le forze alternative al blocco di centrodestra si sono presentate in ordine sparso, senza una proposta di governo unitaria, quindi credibile e competitiva.
La maggioranza che sosteneva il Conte II, anche ampliata a forze moderate ma sinceramente europeiste, rappresentava l’unica possibile alternativa alle destre. L’iniziativa di Renzi decretò la fine di quell’esperienza di governo. Il presidente Mattarella, a quel punto, decise di intraprendere l’unica strada saggia e realistica per non far precipitare l’Italia, in un momento difficile, verso avventurose elezioni politiche anticipate. Draghi aveva come missione di affrontare in una situazione eccezionale uno stato di emergenza, con una maggioranza molto ampia che conteneva forze molto distanti e persino contraddittorie.

Il Reddito di cittadinanza e la colpa di essere poveri

Il contrasto alla povertà e la possibile revisione del Reddito di cittadinanza (RDC) sono temi su cui, anche a sinistra, è opportuno aprire una riflessione. Anche in questa area politica non è infatti compiutamente superata l’idea che, fatti salvi i casi estremi di marginalità sociale, da affidarsi preferibilmente a enti di terzo settore, la povertà si risolva con il lavoro e non con politiche di tipo assistenziale. Non a caso l’avvio del primo programma nazionale e universale di contrasto alla povertà ha dovuto attendere molti anni, e cioè fino al 2017, prima di essere implementato, dopo le sperimentazioni avviate nel 2013 con la Nuova social card (NSC) e nel 2016 con il Sostegno all’inclusione attiva (SIA), e lo è stato con risorse del tutto insufficienti.

Riprendere un cammino di speranza, nel solco della Costituzione

Il risultato delle elezioni del 25 settembre ha consegnato il governo del paese a una destra illiberale e neoliberista. È bastato ascoltare le dichiarazioni programmatiche della nuova presidente del Consiglio per misurare la portata di una svolta culturale e politica, che si presenta estranea ai valori della Costituzione e in antitesi alla nostra memoria storica. Nel discorso alla Camera dei deputati la presidente Meloni ha esibito questa estraneità con un nuovo vocabolario civile dal quale sono cancellati la Resistenza e l’antifascismo, trasformato in un insulto, associato alla violenza contro i giovani militanti di destra. È stata offerta una lettura falsa e unilaterale degli anni di piombo che rimuove la presenza e il ruolo eversivo della destra neofascista e stragista.

Le tasse della destra tra ideologia e realtà

Nei decenni passati le destre politiche sono state le sole ad aver avuto una visione precisa, ideologica, della tassazione, che è stata alla base dei loro programmi elettorali e di governo in tutto il mondo. Tale visione si basava sulla capacità, perseguita con successo, di separare nella percezione dell’opinione pubblica il legame che esiste tra entrate e spese nei bilanci pubblici, presentando la tassazione come una vessazione dei cittadini da parte dello Stato, delle burocrazie pubbliche, della sinistra, indipendentemente dal fatto che il gettito fiscale serva principalmente per finanziare la spesa pubblica e, dopo la seconda guerra mondiale, soprattutto a finanziare i sistemi di welfare.

Identità e proposta politica per superare la crisi del PD

L’esito delle elezioni politiche dello scorso 25 settembre va necessariamente letto tenendo presenti alcune tendenze di lungo periodo, che interessano l’Europa e gran parte del continente americano. Non c’è dubbio che l’affermazione in Italia di una coalizione reazionaria, guidata da una destra identitaria, si deve principalmente alle irresponsabili divisioni dello schieramento progressista. È vero anche, tuttavia, che essa testimonia come la crisi della globalizzazione e il tradimento delle sue promesse possano ancora favorire ripieghi nazionalisti nel cuore del mondo occidentale.

 

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