Rigenerare la sinistra

Di Roberto Speranza Mercoledì 14 Dicembre 2022 15:00 Stampa
Rigenerare la sinistra ©iStockphoto/Mesut Ugurlu

 

Dopo undici anni, con poco più di 12 milioni di voti, la destra ritorna al governo del paese con una sua maggioranza autosufficiente. Il lavoro di opposizione che ci attende si annuncia, fin dalle battute d’inizio di questo governo, più che mai necessario e impegnativo. Se in passato ha prevalso la tentazione di affrontare la sfida alle destre in ordine sparso, oggi è indispensabile ricostruire una grande forza della sinistra italiana e riaprire una prospettiva unitaria del campo progressista. Dobbiamo da subito dare un’anima e un’identità chiara alla nostra opposizione.
Ripartire dopo un’amara sconfitta richiede innanzitutto una seria riflessione sulle ragioni di fondo del nostro insuccesso, a partire da dati elettorali che, nella loro serie storica, somigliano pericolosamente a un declino. Il PD è passato dai 12 milioni di voti del 2008, agli 8,6 del 2013, ai 6,1 del 2018, ai 5,3 delle ultime elezioni politiche. La lista elettorale a sinistra del PD si è sempre attestata attorno al 3%.
Non vi è alcun dubbio che sulla sconfitta abbia pesantemente inciso la divisione del campo alternativo alla destra e in modo particolare la rottura tra centrosinistra e Movimento 5 Stelle. Un’alleanza che aveva governato, con risultati largamente apprezzati, la prima fase della più grave emergenza sanitaria, economica e sociale dal dopoguerra e che aveva vinto l’ultima tornata di elezioni amministrative. Le forze della destra, unendosi, hanno interpretato il senso maggioritario della legge elettorale accumulando un enorme vantaggio nei decisivi collegi uninominali a fronte delle divisioni del nostro campo.
L’elettorato di sinistra ha chiesto a gran voce, in questa campagna, unità tra le diverse forze del campo progressista: non solo come strategia elettorale ma come presa d’atto che la questione sociale, vera emergenza del paese, è troppo grande per poter essere affrontata divisi. Questa richiesta è stata disattesa e un’opportunità di riaprire un canale di comunicazione con milioni di elettori delusi e arrabbiati è andata sprecata. Prova ne sia il fatto che numerosi studi segnalano una maggiore propensione all’astensione – il più grave nodo problematico di questa tornata elettorale – proprio tra gli elettori di sinistra. Ricercare il tempo perduto è vano, ma riavviare un dialogo con questo elettorato è possibile, a patto di porsi, prima, alcune domande scomode. Perché in questi anni si è progressivamente accentuata una rilevante frattura tra la sinistra e settori importanti della società italiana? Perché si riduce il nostro voto operaio e più in generale quello dei lavoratori meno remunerati? Perché i giovani non colgono appieno il portato della nostra proposta valoriale, prima ancora che programmatica? Perché i meno tutelati, i precari, gli appartenenti alle fasce sociali più popolari, che dovrebbero essere nostri naturali interlocutori, non ci guardano con fiducia e con speranza?
Una risposta chiara e spietata è nei numeri. Il 70% della ricchezza di questo paese è nelle mani del 20% più benestante della popolazione. Un italiano su dieci vive in povertà assoluta, un dato raddoppiato rispetto al 2011. L’occupazione femminile è ferma al 50%. Un giovane su tre non trova lavoro e un lavoratore su quattro percepisce uno stipendio insufficiente a garantire una vita dignitosa.
Un’ampia fascia di popolo che lavora, paga le tasse, manda a scuola i figli, si riconosce nei valori dell’onestà e della responsabilità sociale, in pochi anni si è vista scivolare in un mondo più precario, con meno lavoro, meno tutele, meno salute, meno istruzione. E in questa difficoltà non si è sentita difesa e rappresentata dalla sinistra. Peggio: ha percepito la sinistra come alleata del sistema di potere che considerava responsabile del dilagare di nuove povertà e nuove solitudini. L’elettorato ha ogni diritto di chiederci: dov’è la sinistra? Dove siete stati per tutto questo tempo? E cosa pensate di fare?
Nel corso della mia campagna elettorale, a Napoli, me lo sono sentito ripetere mille volte: «Inutile che io vada a votare, tanto per me e per le condizioni materiali della mia famiglia non cambia niente». Per recuperare questo evidente deficit di credibilità serve un nuovo patto fondativo tra la sinistra e il suo popolo. Serve un’opposizione forte con un’identità forte, con un’idea chiara di società e di paese a partire dalla questione sociale.
Senza questo respiro, anche il miglior programma si traduce in ordinaria amministrazione, in gestione e conservazione degli equilibri esistenti, inseguimento delle emergenze o, peggio, delle parole d’ordine del momento.

Chi siamo, dunque? Noi, la sinistra, con quale carta d’identità ci presentiamo oggi, quale orizzonte politico e culturale proponiamo? Noi siamo quelli che pensano che il benessere e la felicità degli esseri umani non possano essere subordinati al profitto, allo strapotere di un mercato senza regole. Che il capitalismo non sia la “fine della storia” e debba essere profondamente riformato. Siamo quelli per cui non è “progresso” l’allargamento di una forbice di diseguaglianza tra una ridotta élite di fortunati e un’ampia massa di sconfitti. Perché è vero il contrario: le diseguaglianze frenano l’economia, dissipano capitale umano, indeboliscono la democrazia. Siamo quelli che tutelano il lavoro, convinti che gli eccessi dell’“economia di carta” mortifichino l’economia reale e generino un conflitto non sanabile tra modelli di sviluppo e di consumo e sostenibilità sociale e ambientale. Siamo quelli che difendono i beni comuni, primi fra tutti la salute e l’istruzione: pubbliche, accessibili a tutti e di qualità, su tutto il territorio nazionale. Perché la vita di una persona non può dipendere dalle circostanze della sua nascita. Siamo quelli che si impegnano per la pace sempre. Nonostante sia molto difficile in Italia – diversamente dagli altri paesi europei – sviluppare sulla guerra in corso un dibattito di merito, libero da polemiche strumentali, nella società italiana c’è sensibilità alle ragioni della pace. Lo dimostra la piazza dello scorso 5 novembre, cui è necessario saper offrire una sponda politica portatrice di idee e proposte chiare. Il sacrosanto sostegno al popolo ucraino deve unirsi a una tenace iniziativa per il cessate il fuoco, escludendo qualsiasi allargamento del conflitto e promuovendo ogni sforzo per non alimentare una narrazione della guerra come uno scontro tra Occidente e Oriente. Contro una potenza nucleare come la Russia è una pericolosa illusione immaginare soluzioni diverse da un arduo ma indispensabile negoziato in cui l’Unione europea può e deve assumere un ruolo centrale.

Solo un grande partito, autorevole sul piano nazionale, profondamente connesso con le forze sociali vive del paese e con solide relazioni internazionali, può esprimere un’identità all’altezza delle sfide globali che abbiamo tratteggiato. Per decenni abbiamo invece subito, e in alcuni casi assecondato, una martellante campagna di opinione in cui la parola “partito” è divenuta un’ingiuria, una parolaccia, mentre si teorizzava la fine delle ideologie e l’equivalenza tra destra e sinistra. Così ha trionfato il pensiero unico neoliberista, così si sono aperte autostrade elettorali per le destre nazionaliste e i populismi, così si sono svilite le parole stesse che fondano l’identità della sinistra e si è disperso un prezioso patrimonio storico. Ma la sinistra rimette radici profonde nella nostra complessa società solo facendo il mestiere della sinistra: dare alle persone un orizzonte di senso entro il quale sentirsi protagonisti, sentirsi in grado di cambiare in meglio la propria vita e quella degli altri.
Quello che siamo e quello che vogliamo vanno oggi rivendicati con forza, e lo stesso vale per la forma storica della nostra appartenenza: il partito. Un antidoto alla solitudine e alla perdita di identità, un progetto che permetta a una comunità di ritrovarsi. Senza quest’opera di rifondazione non si riconquista la fiducia di milioni di persone, non si suscitano nuovi entusiasmi, cittadinanza attiva, militanza.
È significativo che alle elezioni del 2022 i principali partiti – pur impegnandosi su diverse piattaforme social – non siano riusciti a convincere i giovani: nella fascia di elettorato tra i 18 e i 34 anni l’astensionismo è stato del 37%. Serve una nuova autenticità nel rapporto con generazioni che vivono una profonda crisi di sfiducia e un preoccupante deficit di futuro. La via maestra è un più forte e chiaro impegno per migliorare prima di tutto le loro condizioni materiali come premessa per la costruzione di un progetto di vita autonoma che troppo spesso arriva tardi rispetto alla media degli altri giovani europei. A una destra che parla ai privilegiati con l’inganno della flat tax dobbiamo contrapporre un grande progetto dedicato a finanziare e implementare politiche per il lavoro, la casa, l’istruzione delle nuove generazioni. E questo progetto va disegnato assieme, offrendo ai giovani il nostro patrimonio di formazione politica e nel contempo aprendosi a nuovi codici e linguaggi.
Grande rilievo hanno poi le battaglie civili: parità di genere, diritti delle seconde generazioni, lotta alle discriminazioni legate all’orientamento e all’identità sessuale non sono parole d’ordine, ma questioni dirimenti per la vita quotidiana di milioni di ragazzi. Coinvolgerli nell’opposizione a chi minaccia questi diritti non è solo necessario: è una grande opportunità. Ma per coinvolgerli non basta invocare astrattamente la loro partecipazione: bisogna promuoverla facendo politiche per loro e facendo politica con loro.
Un lavoro analogo ci attende sul campo delle periferie e delle aree interne. Invocate e sporadicamente frequentate in prossimità del voto e poi regolarmente abbandonate, queste zone vengono sempre considerate come un problema. Occorre ribaltare il paradigma e vederle come un’opportunità. Le periferie urbane sono oggi il luogo in cui più che mai esplode il conflitto devastante tra ultimi e penultimi, alimentato dalla scellerata propaganda di una destra che agita per tornaconto lo spettro dell’immigrazione selvaggia. Ma sono anche un laboratorio possibile di innovazione, integrazione, contaminazione culturale. Le aree interne sono soffocate da una carenza di servizi e risorse che le ha rese terreno fertile per i populismi. Ma costituiscono quasi la metà dei Comuni italiani e sono zone in cui si concentra una parte rilevante del patrimonio naturale e culturale d’Italia. Per dare forza e contenuti alla nostra opposizione e costruire un’alternativa occorre rimettere queste periferie al centro, ridisegnando la mappa sociale del paese secondo una nuova geografia delle opportunità. Geografia che non può non vedere al centro il tema del rilancio del Mezzogiorno come leva essenziale per la ripartenza dell’intero paese. Ricucire i margini significa creare punti di ascolto e percorsi politici comuni con chi vive nelle periferie, nelle aree interne, nel Sud costruendo un progetto coerente di sviluppo, un piano decennale di investimenti pubblici, a partire proprio da sanità e scuola pubblica, che possa cambiare radicalmente in meglio la vita delle persone. Solo così si passa dall’Italia delle disuguaglianze all’Italia delle diversità.
Con la giustizia sociale va coniugata la difesa dell’ambiente, perché critica allo status quo del capitalismo e difesa dell’ambiente sono interdipendenti: si tratta di mettere in discussione i modelli di progettazione dei prodotti, i cicli produttivi, le modalità di consumo, l’approvvigionamento energetico, le priorità della ricerca scientifica e, in definitiva, la forma stessa della nostra convivenza soprattutto negli spazi urbani.
Contrapporsi con forza all’idea, cavalcata dalle destre, secondo cui quella ecologista è un’opzione costosa che avvantaggia pochi significa proporre politiche chiare: fiscalità di vantaggio per chi investe in sostenibilità ambientale e qualità del lavoratore e tasse più alte per chi inquina, promozione di prodotti e filiere a basso impatto ambientale, l’impegno in progetti all’avanguardia per il riciclaggio e la rigenerazione delle materie prime. Una via allo sviluppo che riduce le diseguaglianze mentre tutela beni comuni fondamentali: l’aria che respiriamo, l’acqua, il suolo.

È del tutto evidente come l’idea di opposizione che si delinea non sia un insieme più o meno brillante di singole strategie, ma una svolta culturale coraggiosa e impegnativa. Perché a una destra che fin dai primi passi di governo ha scelto la conservazione e la difesa dei privilegi dobbiamo gettare il guanto di sfida di un’innovazione profonda non perdendo mai di vista il cuore della sfida che è la questione sociale.
La destra, anche con provocazioni e atti simbolici, proverà a orientare l’agenda dell’opposizione secondo i suoi interessi, in una logica di tornaconto elettorale. La Lega ottenne il 34% dei consensi alle elezioni europee del 2019 dopo che per mesi tutta l’attenzione mediatica era stata concentrata su barconi e scontri con le ONG. Noi dobbiamo sicuramente batterci contro scelte e comportamenti che calpestano i diritti umani, ma non dobbiamo cadere nella trappola di una destra che sa sfruttare cinicamente la violazione di questi diritti per nascondere la grande questione dei problemi materiali della maggioranza degli italiani. È su questo che deve pulsare il cuore del nostro lavoro nel paese e in Parlamento.

Solo così si recupera credibilità. Solo così si esce dall’interpretazione – alla prova dei fatti perdente – della “vocazione maggioritaria” intesa come “catch-all party”, partito pigliatutto in grado di rappresentare ogni istanza e il suo contrario, e si entra in un’epoca nuova. Il 19 novembre del 2017 Guglielmo Epifani, con la sua straordinaria lucidità politica, chiese nel corso di una drammatica riunione dell’assemblea nazionale del PD «un congresso vero». Cinque anni dopo, alla luce della sconfitta del 25 settembre, la sinistra italiana ha finalmente la possibilità di aprire una nuova fase costituente per svolgere successivamente quel che si annuncia come un congresso “vero”. È una svolta politica impegnativa nel segno della responsabilità, la presa d’atto comune che tutto quel che c’è oggi a sinistra non è sufficiente e che quel che serve davvero è ancora tutto da costruire.
Il Comitato nazionale costituente avrà il compito cruciale di scrivere la “carta d’identità” del nuovo partito. Personalmente considero molto rilevante questo passaggio perché credo rappresenti l’occasione di superare l’enorme problema di un’identità debole e incerta che ha rappresentato il grande limite del Partito Democratico e di tutto il centrosinistra. Ridefinire un chiaro profilo politico culturale deve significare, conseguentemente, rinnovare con coraggio e coerenza la nostra piattaforma programmatica. Il meccanismo delle primarie ha avuto una impropria funzione suppletiva rispetto alla questione dell’identità per cui è stato il leader di volta in volta eletto ai gazebo a determinare la linea fondamentale del partito con rischi enormi come si è visto chiaramente.

 

È ora l’occasione storica di ridefinire e rafforzare identità, profilo culturale, linee politiche superando la vecchia carta dei valori figlia di una stagione ormai superata. Eravamo allora nel 2007-08, nella fase espansiva della globalizzazione, quando il neoliberismo lasciava i suoi segni anche dentro il dibattito delle forze democratiche. Di una radicale ristrutturazione c’è un bisogno vitale anche nell’organizzazione del partito, nel nuovo statuto che regolerà la sua vita democratica. È un’occasione troppo importante per non provarci fino in fondo andando a verificare passo dopo passo la reale portata di questo processo e superando i tanti dubbi che pur ci sono sulla autentica capacità di sviluppare un percorso che sia davvero costituente e rifondativo. Al lavoro parteciperemo, con le nostre idee e proposte di una comunità di ispirazione socialista ed ambientalista, con fiducia e passione. Nella consapevolezza della enormità della posta in gioco: rigenerare la sinistra italiana e costruire l’alternativa alla destra.
Ho provato a esplicitare in questa riflessione l’urgenza e la profondità del rinnovamento necessario: si tratta di tornare a essere partigiani ovvero convinti che il bene dell’Italia si faccia innanzitutto portando avanti la lotta alle diseguaglianze e la battaglia per la giustizia sociale

e la sostenibilità ambientale. Questo significa restituire a un grande paese una grande sinistra.