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Meno tasse: dal pensiero liberale alle pratiche populiste

C’è un modo comune di guardare alle tasse, tipico del pensiero neoliberista, che si è affermato come culturalmente egemone nella narrazione politica, aprendosi non pochi varchi anche nel pensiero del centrosinistra. Si fonda sull’assunto fondamentale che ridurre le tasse sia sempre un bene, indipendentemente dalle modalità con cui lo si fa. E lo è per un insieme ampio di motivi che hanno a che fare, da un lato, con l’effetto positivo che il taglio delle tasse potrebbe esercitare sulla crescita economica, dall’altro con la necessità di liberare almeno parzialmente il contribuente da un onere considerato comunque vessatorio e iniquo.

La deriva neoliberista che minaccia la scuola democratica

Di cosa parliamo quando parliamo di neoliberismo? E quando parliamo di senso e missione dell’istruzione e dell’educazione? Vi è un nesso fra i due termini? «Il liberismo – ha spiegato Gramsci – è un programma politico, destinato a mutare, in quanto trionfa, il personale dirigente di uno Stato e il programma economico dello Stato stesso, cioè a mutare la distribuzione del reddito nazionale». Il liberismo, dunque, non è «espressione spontanea, automatica del fatto economico», ma è una “regolamentazione” di carattere statale, un fatto di volontà consapevole dei propri fini.

Il neoliberismo e le politiche della salute

Il neoliberismo ha trovato nel mercato sanitario un “piatto forte”, vale a dire l’ambito in cui i propri principi economici danno maggiori frutti, cioè maggiori profitti. Si tratta infatti di un mercato in espansione, legato ad alcuni fattori fondamentali: l’aumento della popolazione mondiale, l’invecchiamento, che comporta una più ampia necessità di farmaci e di assistenza sanitaria, il fatto che la salute è un bene primario per la cui tutela siamo disposti – o costretti – a spendere.

Il welfare state tra diritti e investimento sociale

Storicamente il welfare state ha rappresentato uno dei principali meccanismi di regolazione degli effetti distributivi del mercato. Fin dalla sua nascita, sul finire del XIX secolo, è stato grazie alle prime assicurazioni sociali obbligatorie che i lavoratori hanno potuto godere di una minima tutela della loro condizione economica nei casi in cui si trovavano sprovvisti di salario a causa dei rischi sociali.

Welfare occupazionale e pubblico in Italia: quali intrecci?

La protezione sociale nei paesi occidentali si basa su quattro pilastri. Accanto alla famiglia e alle reti comunitarie (il Terzo settore), possiamo infatti individuare quelli che Richard Titmuss già sessanta anni fa definiva “welfare sociale” (le prestazioni sociali e i servizi forniti dallo Stato), “welfare fiscale” e “welfare occupazionale”.
Con il concetto di welfare occupazionale si fa riferimento alla fornitura diretta di interventi di protezione sociale a partire da accordi fra le parti sociali e/o le singole aziende.

Occupazione e formazione, quanto ancora c’è da fare

La questione occupazionale e la qualificazione delle risorse umane dovrebbero essere due temi prioritari del governo italiano, ma il contratto di programma prima e la legge di bilancio 2019 poi lasciano più di un dubbio sulle scelte fatte e sulle urgenze trascurate. La maggioranza giallo-verde ha scommesso tutto sui provvedimenti bandiera annunciati durante la campagna elettorale (reddito di cittadinanza, flat tax) e su una postura anti-immigrati non giustificata dai numeri sugli sbarchi mescolata ad accuse fuori luogo rivolte a Bruxelles. Più di recente ha ripreso vigore la richiesta della Lega, a lungo dissimulata, riguardante il tema dell’autonomia regionale.

Produzione di soggettività e politiche europee nell’epoca neoliberista

In “La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista”, Pierre Dardot e Christian Laval prendono in esame l’affermarsi del neoliberismo nella società contemporanea a partire dalla crisi del keynesismo negli anni Settanta e grazie al contributo dei principali think tank internazionali, che hanno la loro radice nel colloquio Walter Lippmann di Parigi del 1938, nell’attività della London School of Economics e della scuola di Chicago per l’analisi teorica, nella Commissione Trilaterale e nel Forum economico mondiale di Davos per gli aspetti di governance e di policy.

Scenari di un interregno

Più che il neoliberismo, è il capitalismo il vero filo rosso del saggio di Salvatore Biasco pubblicato in questo numero di “Italianieuropei” (si tratta di mettersi d’accordo sulle gerarchie), con i suoi corollari di politiche, cultura ed equilibri internazionali. Del modo in cui si presenta oggi il capitalismo contemporaneo egli ci offre il più completo check-up a più di dieci anni dalla crisi finanziaria. Il quadro traccia gli elementi di una transizione da un mondo definito (coeso e tale da marcare un regime) a un altro mondo che ancora non si conosce completamente. Non a caso Biasco cita Wolfgang Streeck: il capitalismo potrebbe distruggersi da solo senza che vi sia un’alternativa. Ma Biasco non la pensa così: sono la coerenza del sistema e la sua coesione politica a potersi distruggere, non certo il capitalismo.

Come smontare il regime neoliberale

In molti negli ultimi anni hanno espresso meraviglia per il modo in cui il sistema neoliberale ha superato la bufera della grande crisi: la crisi finanziaria del 2007-08 e quella del debito del 2011. Essa, affrontata con un afflusso massiccio di risorse pubbliche e con alcuni aggiustamenti nella regolamentazione del sistema bancario, sembra superata e riassorbita. La crisi del sistema, temuta o vagheggiata nel mezzo della tempesta finanziaria, sembrerebbe quindi scantonata: le cose possono andare avanti come prima.
In realtà un osservatore attento dovrebbe cogliere il formarsi di una linea di frattura che, con il passare del tempo, dà segni di un progressivo aggravarsi. Come scrive Biasco, le strutture portanti dell’economia continuano sostanzialmente a operare come nel periodo precedente la crisi, mentre si è aperto un problema di legittimazione culturale – e politica! – del sistema.

Ridefinire il rapporto tra economia e società

Siamo dunque alla fine del neoliberismo? Anche se nella storia le continuità sono sempre rilevanti, io credo di sì. La crisi finanziaria ha rotto gli equilibri del ventennio 1989-2009 e ora il capitalismo è alla ricerca di una nuova conformazione. Di cui si intravvedono alcuni elementi embrionali. La buona notizia è che la partita non è ancora chiusa e c’è tuttora spazio (non per molto però) per una soluzione positiva. Anche se, nel frattempo, i rischi sono enormi.
Che piaccia o no, la presidenza Trump ha iniziato una nuova fase storica in cui l’obiettivo della potenza americana è quello di costruire nuovi rapporti di forza, militari e commerciali, a livello globale.

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