ricercatore e giornalista, si occupa di politica e movimenti sociali in America Latina.
«Non esistono due Brasile, questo è un solo paese» declama di fronte alla folla Luiz Inácio Lula da Silva. È domenica 30 ottobre 2022, il Tribunal Superior Eleitoral lo ha appena dichiarato trentanovesimo presidente del Brasile, il primo a essere eletto per tre volte.
Ad ascoltare il discorso della vittoria sulla Avenida Paulista a San Paolo, assieme ai giornalisti venuti da tutto il mondo, militanti felici ed esausti dopo due mesi di campagna elettorale. Tra i presenti, nessuno crede all’affermazione del neopresidente. Tutti sanno che invece esistono due paesi. La vittoria è stata sofferta e lo scarto minimo: Lula ha vinto con 60 milioni di voti, il 50,9%, contro i 58 milioni, il 49,1%, raccolti dal presidente uscente di estrema destra, Jair Bolsonaro. E tra coloro che hanno votato per Bolsonaro al ballottaggio, 7 milioni in più rispetto al primo turno, una parte lo ha fatto non solo perché semplicemente preferisce Bolsonaro, ma perché odia Lula, lo ritiene un «corrotto, un comunista, un diavolo».
A Bruxelles sta andando in scena la battaglia per le risorse destinate al bilancio, al fondo sociale e alle linee finanziarie per il 2014-2020. Nel corso di questa trattativa tra Parlamento, Commissione europea e Stati membri – trasformata in mercato delle vacche tra le ritrosie degli Stati forti, Gran Bretagna in testa, e le ristrettezze economiche dei paesi mediterranei – l’appello del presidente della Commissione bilancio del Parlamento europeo, Alain Lamassoure, sul rischio azzeramento dei fondi per il progetto Erasmus è l’ultima chiamata prima che cada l’impalcatura attorno al cantiere dell’integrazione europea.
Puoi acquistare il numero 1/2024
Dove va l'Europa? | L'approssimarsi del voto per il rinnovo del Parlamento europeo impone una riflessione sulle proposte su cui i partiti e le famiglie politiche europee si confronteranno | Leggi tutto