già ministro del Lavoro, è professore emerito di Diritto del lavoro all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
I sistemi di welfare che si sono sviluppati nel Novecento erano basati su presupposti di crescita stabile che ne hanno determinato le caratteristiche principali. La crisi, le trasformazioni economiche e produttive in atto – dalla globalizzazione alle innovazioni tecnologiche, ai cambiamenti demografici – hanno fatto venir meno tali principi fondanti, rendendo necessario e urgente, in tutti i settori, ma soprattutto in quello manifatturiero, un adeguamento del welfare che coniughi l’universalità delle regole novecentesche con l’esigenza di adattare gli istituti di sicurezza sociale a un contesto in continuo mutamento e a forme di lavoro sempre più diversificate e flessibili. In particolare, si dovrebbero prevedere delle regole volte a incoraggiare il ricambio generazionale, ad ammortizzare i rischi connessi alle trasformazioni industriali e ad accompagnare i lavoratori nei periodi di transizione. Una politica del lavoro e del welfare adeguata deve però essere anche coerente e organica, caratteristiche delle quali sono privi gli ultimi provvedimenti italiani in materia.
Il caso dello stabilimento Fiat di Pomigliano è per molti versi del tutto peculiare per via del contesto ambientale in cui si colloca e delle anomalie nella gestione dei rapporti di lavoro che lo caratterizzano. Nonostante ciò esso presenta numerose implicazioni di ordine generale e può anzi essere considerato emblematico di come le pressioni competitive globali impongano al nostro paese scelte difficili fra diversi tipi di protezioni e fra varie aree di welfare.
Le riforme e le modifiche al sistema previdenziale che si sono susseguite negli ultimi quindici anni hanno permesso di raggiungere traguardi importanti, primo fra tutti la stabilizzazione della spesa pensionistica. Molto però rimane ancora da fare per superare i problemi rimasti irrisolti e per rispondere ai cambiamenti inattesi che si sono prodotti nel frattempo e che, a cominciare dall’allungamento dell’aspettativa di vita, impongono una rielaborazione delle valutazioni fatte nel 1995.
La sequenza indicata dal titolo «giovani, lavoro, previdenza» è, oggi più di ieri, stretta e carica di criticità. Le criticità dipendono dalle incertezze che incombono sul lavoro, di tutti ma in particolare dei giovani, ben diversamente da quanto avvenisse nell’epoca del fordismo stabile. La sequenza è stretta da quando è stato introdotto il metodo cosiddetto contributivo che lega direttamente vita lavorativa e pensione: gli effetti di questo legame si ripercuotono interamente sui giovani, a differenza di quanto avveniva fino a ieri ai lavoratori più anziani, che beneficiano del più favorevole metodo retributivo di calcolo della pensione.