già ministro dell’Economia e delle Finanze, è deputato del Partito Democratico.
Due aspetti sono rilevanti nel definire una strategia di opposizione inquesta legislatura. La necessità di non disperdere quanto di buono (e non è poco) è stato fatto nella passata legislatura. La necessità di lavorareper il futuro. I due obiettivi si sostengono a vicenda. Anzi sono due facce della stessa medaglia. Richiedono che il maggior partito diopposizione metta a punto la “sua” strategia di governo per il futuro a partire da una valutazione critica di quanto fatto in passato. Definire, stando all’opposizione, una strategia di governo rende inoltre più chiaro come e perché il programma del governo in carica debba essere combattuto in quanto dannoso per il paese. E anche questo, naturalmente, fa parte del programma di opposizione.
L’innovazione, tradizionalmente intesa come processo lineare di progresso tecnologico, è in realtà interessata da una continua evoluzione che ne fa l’espressione di processi complessi e interattivi, che sempre più spesso vedono la collaborazione tra attori diversi. Ciò comporta la necessità di un nuovo approccio, sistemico, che si concretizzi in politiche nuove per l’innovazione. Un recente tentativo in questa direzione è rappresentato dalle linee guida promosse dall’OCSE, con l’obiettivo di sostenere le attività innovative e di valorizzarne il ruolo come motore della crescita.
Tutti sanno che l’Europa, da anni, cresce sempre meno, sia in termini effettivi che di crescita potenziale. Tutti sanno che nel 2000 l’Unione europea decise di lanciare una nuova strategia di crescita, la Strategia di Lisbona, basata sugli investimenti in innovazione e conoscenza. Molti si sono resi conto che, dopo cinque anni dal vertice di Lisbona, questa strategia ha prodotto ben pochi frutti e, anche per questo, è stata recentemente sottoposta a revisione. Il montare della competizione globale e lo stato di insoddisfazione dei cittadini europei nei confronti delle istituzioni, espresso dai referendum, dovrebbe far pensare che i governanti dell’Europa, almeno quelli che dicono di credere nel progetto europeo, dovrebbero essere pronti a cogliere qualunque occasione per invertire questo stato di cose, rilanciare seriamente la Strategia di Lisbona, e con essa la crescita, per cercare di riconquistare, almeno da questo punto di vista, il consenso perduto. Eppure non sembra che sia così. In questi mesi l’Europa ha perso, o rischia di perdere, non una ma almeno tre occasioni per dare una scossa positiva molto significativa al torpore della sua economia: l’accordo sulle prospettive finanziarie 2007-2013 (il bilancio), la conclusione del Doha Round, il completamento del mercato interno dei servizi.
Dopo il Consiglio europeo Nei mesi scorsi il dibattito sulla riforma del Patto di Stabilità ha infiammato gli animi. Ma i dibattiti sulla riforma del Patto sono stati tre, non uno solo. Il primo è quello sul «tre per cento» e si e svolto a colpi di dichiarazioni e di lettere ai giornali. Da parte di molti paesi si chiedeva di eliminare, anche formalmente, il limite sul deficit (considerato anche che il numero di paesi che già lo supera è estremamente elevato). Perché – ci si è chiesti – mantenere una regola che comunque non è rispettata, visto che farebbe comodo avere più spazio di manovra? Rispondeva negativamente il fronte dei disciplinati (i piccoli paesi del Centro e Nord Europa, la Commissione, la BCE). Il secondo dibattito è quello vero e proprio sulla riforma del Patto, che si è concluso al Consiglio europeo di marzo.
Se la Cina continuasse a crescere ai tassi degli ultimi anni in pochi decenni diventerebbe la più grande economia del mondo. Ma anche se così non fosse la Cina è già oggi uno degli attori fondamentali del sistema globale. Basta considerarne la impressionante crescita delle quote di esportazione nel mondo (vedi Tabella 1). Trovare la collocazione «giusta» di questo paese nel sistema mondiale è una delle principali sfide dei prossimi anni. Il compito che gli altri attori si trovano di fronte è quello di identificare modi e tempi per un inserimento della Cina nella divisione del lavoro da cui possa derivarne il massimo beneficio per tutti. Non si tratta di un omaggio formale a una superpotenza economica nascente, ma di una oggettiva necessità, visto il ruolo centrale che la Cina occupa oggi nel complesso incastro degli squilibri del sistema globale e, inevitabilmente, nella soluzione dei problemi che questi squilibri pongono.
Mai come nel caso dell’Argentina capire l’oggi e il domani richiede di tornare indietro nella storia recente. E questo vuol dire tornare all’inizio del currency board, per capire la ragione del suo insuccesso e, prima ancora, del suo successo. La «convertibilità» – il legame del peso con il dollaro al cambio di uno a uno e l’obbligo di copertura totale in dollari dell’ammontare di pesos in circolazione – fu introdotta all’inizio degli anni Novanta, dopo che una serie di programmi di stabilizzazione e di riforma monetaria non erano riusciti a sconfiggere l’iperinflazione del decennio precedente. I risultati dei primi anni di convertibilità furono eccellenti.
L’obiettivo del rapporto «An Agenda for a Growing Europe» è importante e ambizioso: identificare le cause del rallentamento della crescita in Europa e proporre dei rimedi. Come scrive nella prefazione Andre Sapir, il coordinatore del gruppo di esperti, il rapporto si ispira a quello coordinato da Padoa-Schioppa del 1986, che fornì le idee di base per il lancio del Mercato interno. La crescita deve diventare la priorità economica numero uno dell’Europa, scrive sempre Sapir, e non si può certo dargli torto.
Tornare a crescere a tassi almeno vicini al suo potenziale (tra il 2 e il 2,5%) ma, sopratutto, avvicinare il potenziale a quello degli USA (superiore al 3%). È indispensabile per affrontare le grandi sfide che attendono l’Europa nei prossimi anni: l’invecchiamento dei suoi cittadini e l’allargamento dei confini. La pressione che l’invecchiamento pone sulle spese per la previdenza e per la salute sarebbe molto minore se le nostre economie crescessero di più.