Italianieuropei 4/2018
Italianieuropei 4/2018

In questo numero


A mano a mano che nel governo si verificano scontri
e soprattutto appare evidente l’inadeguatezza fino alla dannosità dell’esecutivo giallo-verde, cresce il bisogno di opposizione. Qualcosa sta cambiando. Sul caso dei migranti, successivo alla chiusura di questo numero, abbiamo registrato una scossa nella pubblica opinione.

In questo fascicolo abbiamo interrogato quattordici intellettuali e politici per sapere qual è il loro parere sull’atteggiamento da avere contro il governo sovranista.

Il numero celebra anche il ventennale della Fondazione Italianieuropei e lo fa ripubblicando le due lettere che si scambiarono Massimo D’Alema e Giuliano Amato per dar vita alla rivista e propone il primo articolo che venne pubblicato di Alfredo Reichlin. Leggerete tre testi significativi.

Leggerete anche un racconto di Helena Janeczek apparso sul numero 4/2011 in cui l’autrice, vincitrice del Premio Strega 2018, coglie con sguardo lucido e grande lungimiranza i primi segnali di una mutazione antropologica dell’elettorato della Lega.

il Sommario

gli Articoli

Agenda. Quale opposizione?

Una sola domanda

di Peppino Caldarola

Il governo Lega-Movimento 5 Stelle è all’opera da alcuni mesi. In che cosa consista questa opera lo si sta capendo giorno dopo giorno. Il dato impressionante è stato, fin dalle prime settimane, l’impronta di destra che ha voluto dargli Matteo Salvini, alla ricerca della leadership incontrastata della nuova destra e socio fondatore dell’Internazionale nera.

Agenda. Quale opposizione?

Una narrazione alternativa per ricominciare

di Donatella Di Cesare

Opporsi vuol dire anzitutto fronteggiare la parte che governa, arginandone il potere, segnandone nitidamente i limiti. In modo che per ognuno sia chiaro che la comunità in cui vive è una comunità democratica. Se si assottiglia lo spazio di gioco dell’opposizione, si riduce la democrazia. Il primo compito dell’opposizione è dunque quello di salvaguardare la dialettica interna. Il che oggi non è più così ovvio. I tentativi di restringere, o addirittura eliminare, quello spazio di giocosono molteplici e diversificati.

Agenda. Quale opposizione?

Costruire una prospettiva di sinistra

di Serena Spinelli

Si dice che la storia si ripete. Sicuramente per la sinistra la strada – della storia – è sempre stata in salita e in questo momento lo è ancora di più. Veniamo da una sconfitta elettorale e da una ancor più grande sconfitta culturale nel paese. Nei ragionamenti e nelle priorità delle persone è venuta meno la voglia di lottare uniti per ciò che è giusto: per migliorare la vita di tutti. «Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno» diceva Enrico Berlinguer. Ma non basterà evocare Berlinguer. Non basterà nemmeno una chiamata a contrastare i barbari per convincere le persone a scegliere di stare e votare a sinistra. Quelle che un tempo avremmo definito le nostre comunità di riferimento si sono rivolte ad altri cercando in loro la risposta alle proprie istanze. È il frutto di quella disconnessione – più volte confermata – tra la sinistra e il suo popolo, o meglio tra la sinistra e il popolo.

Agenda. Quale opposizione?

Per una sinistra che torni a battersi

di Tommaso Sasso

La difficoltà dell’opposizione a reagire alla sconfitta ha cause profonde. Chi voglia discutere di come sia opportuno rapportarsi al nuovo governo può essere aiutato da alcune considerazioni di contesto. Utile sarà indagare dove origini quella difficoltà, così come lo sarà tracciare una possibile rotta per chi, dovendo fare opposizione, deve scegliere come farla.
L’Italia attraversa una fase inedita della storia repubblicana, in cui inedito è anche il contesto internazionale ed europeo. Vaste aree del pianeta, alcune prossime alle nostre coste, pagano l’incapacità dei vincitori della lunga contrapposizione tra Est e Ovest di definire un nuovo equilibrio nei rapporti internazionali.

Agenda. Quale opposizione?

Il coraggio di navigare in mare aperto

di Domenico Cerabona

Qualche mese fa sull’“Economist” è stato pubblicato un articolo molto interessante sul Partito Laburista e in particolare sulle idee delle sue due figure più carismatiche: il leader Jeremy Corbyn e John McDonnell, il ministro ombra dell’Economia e storico amico e alleato di Corbyn. Il pezzo dell’“Economist” suona quasi come un campanello d’allarme per la destra britannica. Si evidenzia infatti come,mentre tutti i critici e gli oppositori si concentrano sulle proposte laburiste in tema di politiche monetarie e fiscali, quello che è davvero “preoccupante” e rivoluzionario della cosiddetta “Corbynomics” sono le riforme strutturali proposte.

Agenda. Quale opposizione?

Lettera alla sinistra

di Massimo Paolucci

Cara sinistra,
ti scrivo perché sono trascorsi ormai mesi dalla terribile sconfitta del 4 marzo e la tua reazione mi sembra assolutamente insoddisfacente, nettamente al di sotto delle necessità. Il Partito Democratico è sempre più diviso e senza una chiara prospettiva politica, Liberi e Uguali solo da poco sembra dare segnali di reazione, Potere al Popolo è felice del suo 1,13%. La prima regola d’ingaggio che mi sento di consigliarti è la modestia. Per circa sette anni abbiamo avuto la responsabilità di governare il paese. È davvero incredibile sentirti parlare come se in questo periodo avessimo fatto tutto bene, come se la responsabilità di una sconfitta senza precedenti fosse del popolo al quale sembri dire che non ha capito il tuo straordinario lavoro. E poi, per favore, lasciamo stare queste inutili polemiche da professorini su avverbi e congiuntivi che infastidiscono milioni di italiani.

Agenda. Quale opposizione?

Attrezzarsi per la lunga marcia

di Marco Almagisti e Paolo Graziano

Il governo Conte è in carica dal 1° giugno 2018, 88 giorni dopo le elezioni del 4 marzo. Abbiamo avuto dei periodi d’attesa abbastanza lunghi anche in passato ma nessuno aveva raggiunto questa durata temporale. Nel 1992 infatti l’attesa per la formazione del primo governo Amato fu di 82 giorni. È un governo di coalizione, che si basa su un accordo tra due forze politiche, quali il Movimento 5 Stelle e la Lega, che avevano affrontato la campagna elettorale come avversari.Uno dei vantaggi della democrazia parlamentare però è proprio la sua plasticità, ossia la possibilità di effettuare accordi in Parlamento per formare delle maggioranze. Questi ovviamente sono dei processi che richiedono tempo, contrattazioni e accordi tra partiti.

Agenda. Quale opposizione?

Opporsi ripartendo dal lavoro

di Ivana Galli

Quello in carica è – per ora – il governo Salvini-Di Maio, un governo molto più verde che giallo e che, in questa prima fase, sta mostrando il suo volto più aggressivo che però, purtroppo, sembra interpretare bene il sentire della maggioranza dei cittadini/elettori italiani. Lo possiamo facilmente avvertire girando per le nostre città, nei bar, sui mezzi pubblici e anche nei luoghi di lavoro; se ciò non bastasse, la clamorosa conferma è arrivata dalle elezioni amministrative del 10 giugno e dal ballottaggio del 24 giugno, due date che hanno sancito definitivamente la messa all’angolo del centrosinistra e l’avanzata delle forze dell’attuale maggioranza di governo. Un’avanzata che premia molto più la Lega di Salvini che non i 5 Stelle, ma che ha affossato il PD e le altre forze alla sua sinistra.

Agenda. Quale opposizione?

Rimettere al centro le idee: noi, loro e l’altro

di Marco Follini

La storia italiana procede qualche volta in modi bizzarri, lo abbiamo imparato. Ma due cose, ormai, dovrebbero essere chiare. La prima è che la crisi di un nuovo ciclo politico, quando infine si produce, non riporta mai le lancette dell’orologio tanto indietro da rimettere in auge il ciclo politico più antico. E la seconda è che risulta tuttavia assai pericoloso ignorare il principio di identità e disegnare la sagoma delle formazioni politiche a prescindere dalle storie e dalle culture che sono alle loro spalle.

Agenda. Quale opposizione?

La sinistra che ha perso e si è persa

di Nichi Vendola

Nella vita degli individui ci sono accadimenti, situazioni, emozioni, i cui ricordi generano sensi di colpa e sentimenti di vergogna. La psicanalisi insegna che in questi casi può rendersi operativo il marchingegno psichico della “rimozione”, ovvero lo spostamento in un “altrove” inconscio di quelle memorie che turbano e insidiano la razionalità e il benessere del presente. Naturalmente la rimozione non cancella i traumi, semplicemente li seppellisce, li abolisce dalla propria percezione immediata, li esorcizza. Anche ai soggetti collettivi, anche alla politica, capita di rimuovere i propri capitomboli e i propri smacchi, confinando errori e sconfitte in una soffitta buia, non interrogandosi sulle ragioni e sulla natura dei propri inciampi, impedendo alla luce di verità magari scomode e talvolta ustionanti di illuminare la scena della propria crisi. È sufficiente evocare il futuro, con tutto il repertorio illusionistico della mitologia del “nuovo” e dell’innovazione, per rimuovere il passato e le sue ferite.

Agenda. Quale opposizione?

Combattere sul fronte delle idee

di Gianni Cuperlo

«L’analisi Alfredo. L’analisi è tutto». C’era come una nota dolente nel ricordo che Reichlin faceva a volte dell’ammonimento di Togliatti. Credo fosse perché lo aveva sempre considerato la bussola per qualunque politica, per qualsiasi strategia, e negli ultimi anni lo addolorava il distacco della classe dirigente da quella semplice verità. Per forza di cose la formula ci torna a mente ora, a qualche mese dall’insediarsi del nuovo “potere”, e accade per parecchie ragioni, non ultimo il fatto che senza quella premessa ogni discorsosul dopo, compresa la riunificazione della nostra metà del campo, rischia di rimanere sospeso in un limbo. E allora partiamo dai numeri perché spesso parlano. Dieci anni fa il Partito Democratico raccolse 12 milioni di voti. Cinque anni dopo 8 milioni e mezzo. Il 4 marzo ci hanno votato 6 milioni di italiani. Se in un decennio dimezzi il consenso vuol dire che una parte del tuo mondo ha perso fiducia in te.

Agenda. Quale opposizione?

Opposizione, con una cultura di governo

di Pier Carlo Padoan

Due aspetti sono rilevanti nel definire una strategia di opposizione inquesta legislatura. La necessità di non disperdere quanto di buono (e non è poco) è stato fatto nella passata legislatura. La necessità di lavorareper il futuro. I due obiettivi si sostengono a vicenda. Anzi sono due facce della stessa medaglia. Richiedono che il maggior partito diopposizione metta a punto la “sua” strategia di governo per il futuro a partire da una valutazione critica di quanto fatto in passato. Definire, stando all’opposizione, una strategia di governo rende inoltre più chiaro come e perché il programma del governo in carica debba essere combattuto in quanto dannoso per il paese. E anche questo, naturalmente, fa parte del programma di opposizione.

Agenda. Quale opposizione?

All’opposizione per l’alternativa

di Paolo Corsini

Dall’opposizione all’alternativa: non può che essere questo l’itinerario da compiere, l’obiettivo da perseguire per le forze uscite sonoramente soccombenti dalle consultazioni del 4 marzo. Una sanzione perentoria, senza attenuanti che, se da un lato vede crollare i pilastri del bipolarismo invalso nella stagione successiva a Tangentopoli, dall’altro infligge una sconfitta catastrofica al centrosinistra, ancor più pesante di quella subita dalle sinistre nel 1948, allorché esse potevano contare su una classe dirigente di sicuro profilo, su partiti organizzati, su un impianto ideologico indubbiamente solido, seppure destinato alle smentite portate dalle dure repliche della storia, su un popolo di riferimento cui dare rappresentanza.

Agenda. Quale opposizione?

Ripartire dall’Italia della convivenza

di Livia Turco

L’inedita alleanza che ci governa, composta da Lega e Movimento 5 Stelle, esprime una egemonia culturale che ha saldato ceti sociali portatori non solo di interessi ma di culture molto diverse tra loro attorno a una visione comune della società: la “società del guscio” per usare una espressione efficace di Richard Sennett. Il “guscio” protettivo non vuole gli immigrati, difende il territorio in cui vive, la sua economia e la sua identità culturale. E popolata da individui che vivono in solitudine perche soffrono la rottura dei legami sociali e sperimentano una condizione di fragilità, che sono in difficoltà per mancanza di reddito e di certezze; ma e popolata anche da individui soli perche esaltano la cultura individualista del fare da se e del pensare solo a se nel condurre un’azienda, nella gestione di una partita IVA, nella più generale partita della vita.

Focus. 20 anni di Italianieuropei

Il punto di partenza

di Peppino Caldarola

Pubblichiamo nelle pagine successive lo scambio di lettere fra Giuliano Amato e Massimo D’Alema che pose le basi culturali per la nascita della rivista che state leggendo.
Era il 2001, l’anno della sconfitta elettorale dell’Ulivo nelle elezioni vinte per la seconda volta da Silvio Berlusconi. Alle spalle della neonata rivista c’era stata tre anni prima l’irruzione della Fondazione Italianieuropei, cui nel febbraio del 1998 Amato e D’Alema avevano dato vita riunendo intorno ad essa molti intellettuali della sinistra e no. Il 1998 poi portò, verso l’autunno, alla crisi del governo Prodi e alla nascita del governo D’Alema, il primo esecutivo guidato da un ex comunista, con Giuliano Amato ministro delle Riforme istituzionali. Fu, quel 1998, un anno importante, ma anche un annus horribilis, perché la crisi del governo Prodi trascinò con sé, e trascina tuttora, dietrologie attorno a fantomatici complotti che avrebbero intralciato la strada del professore bolognese fino all’exitus del suo governo.

Focus. 20 anni di Italianieuropei

Misuriamoci insieme con la novità del futuro

di Giuliano Amato

Caro Massimo, mi sono capitati sott’occhio in questi giorni gli appunti che mi ero fatto mentre leggevo il libro di Pierre Lellouche sul “Nuovo mondo”. Stavo preparando una relazione sull’Europa e sui cambiamenti che essa doveva affrontare in un mondo tanto diverso da quello in cui era cresciuta negli anni dell’economia fordista e della geopolitica dominata dal bipolarismo sovietico-americano. I miei appunti rivelano che dei tanti cambiamenti trattati in quel libro a testimonianza del disordine (e non dell’ordine) mondiale che si stava preparando, io feci una istintiva selezione: le nuove condizioni socioeconomiche, e quindi le grandi ricchezze, i grandi divari e le diffuse incertezze che esse stavano generando tutto intorno a noi e anche nelle nostre società (che stavano diventando società del rischio e non più della stabilità); i nostri nuovi rapporti con l’Est europeo,destinato in parte crescente a ritornare a essere Europa e quindi a condividere con noi i nostri mercati dei prodotti, il nostro mercato del lavoro e le nostre risorse comuni; la bomba demografica sempre più vicina a esplodere ai nostri confini meridionali, con milioni e milioni di poveri che per alcuni decenni avrebbero continuato a lievitare, ponendo noi davanti a un drastico dilemma: attrezzarci a fronteggiare flussi migratori incontenibili (accompagnati da scoppi di conflittualità forse altrettanto incontenibili nei paesi di origine), o attrezzarci a una efficace redistribuzione dello sviluppo.

Focus. 20 anni di Italianieuropei

Ci unisce il legame con il socialismo europeo

di Massimo D'Alema

Caro Giuliano, nella nascita di una rivista c’è sempre qualcosa di temerario. Difficile dire se verrà letta con la stessa passione con la quale è stata pensata. Soprattutto ci si chiede se riuscirà a riempire il vuoto che la motiva. Quando, anni fa, ne parlammo per la prima volta immaginavamo un luogo aperto di dialogo tra le grandi tradizioni del riformismo italiano. Non potevamo prevedere l’accelerazione brusca della storia e l’irrompere di problemi – il nuovo terrorismo è uno di questi – che mutano non solo l’agenda politica ma il senso comune delle persone e persino lo spirito del tempo.
Sono convinto che tutto ciò renda più urgente una ricerca sulle ragioni, i punti di forza e anche i limiti, di un riformismo moderno, attrezzato a reggere l’impatto di eventi che già stanno modificando la vita di ciascuno e la nostra percezione della realtà. Certo è arbitrario considerare l’11 settembre lo spartiacque tra due epoche, eppure c’è qualcosa di simbolico nel comporsi, sotto i nostri occhi, di una coalizione politica su scala mondiale senza precedenti nel “secolo breve”.

Focus. 20 anni di Italianieuropei

Domande ancora senza risposta

di Alfredo Reichlin

[…] Dobbiamo affrontare le ragioni più di fondo di una situazione che vede troppo indebolita la nostra capacità di coalizzare il complesso mondo che si oppone alla destra. E ciò per tante ragioni (errori, divisioni: si può elencare) ma soprattutto per una che a me sembra fondamentale e sulla quale mi piacerebbe molto discutere. Noi non riusciamo ancora a collocare la sinistra di governo in un orizzonte storico (storico, non ideologico) tale per cui si cominci a vedere il profilo di un soggetto politico davvero nuovo, più largo, che ritrova capacità di guida e di unificazione non solo per la forza dei suoi programmi – cosa essenziale – ma del suo pensiero, del suo progetto di futuro. Un nuovo pensiero riformista paragonabile per la sua forza a quello che si espresse nell’invenzione dello Stato sociale. Io questo non lo vedo ancora. Penso perciò che è tempo di ridefinire il riformismo come la risposta non solo a Berlusconi ma a ciò che ci chiedono le generazioni del Duemila. E che sono domande nuove, anche drammatiche, di libertà, di sicurezza, di giustizia. Domande di una dimensione della politica. Che succede se a queste domande non rispondiamo noi con un progetto di europeizzazione dell’Italia essendo questo il solo modo per difendere il suo potenziale umano e il suo patrimonio civile ed economico? Succede quello che già vediamo. Che risponde la destra con un modello autoritario in cui populismo e nazionalismo beceri (“Dio stramaledica gli inglesi!”) si associano alla difesa corporativa di un capitalismo straccione.

Focus. 20 anni di Italianieuropei

Stranieri in patria

di Helena Janeczek

Si trovano all’angolo della piazza, davanti alla filiale della Banca Popolare di Bergamo, già Credito Varesino, non appena smette di piovere. Restano lì a fare grappolo, perché le due panchine non basterebbero per ospitarli, ma soprattutto perché non sono come le sedie attorno al tavolo di un circolo, di quelli che in centro sono scomparsi. Discutono di calcio e di politica, commentano i temi del giorno secondo quanto ha detto il TG o la “Prealpina” sbirciata sul banco di qualche bar-tabacchi. Il delitto di Avetrana, l’età di Ruby, la guerra contro Gheddafi, le prossime elezioni comunali. Formano un coro di accenti siciliani, calabresi e campani, alcuni così stinti dalla residenza in Alta Italia che è impossibile attribuire loro un’origine, salvo la certezza che siano meridionali. Pensionati, prepensionati, ex operai delle aziende che la crisi, una alla volta, ha fatto sbaraccare. Magari qualcuno è stato anche postino, bidello, usciere: beneficiario, in pratica, di uno di quei posti fissi su cui si fonda l’assioma che “i terroni non hanno voglia di lavorare”.

Il racconto

La resa dei paesi fantasma

di Mimmo Gangemi

È tutto silenzio. Le campane non chiamano più alla messa né alla benedizione della sera. Persino l’orologio della torre ha deciso di tacere i rintocchi tintinnanti dei quarti e i colpi possenti e cupi delle ore. Le strade sono tristi fotogrammi in bianco e nero, le case del borgo nulla esalano dai comignoli, i vicoli verdeggiano di muschio, per i passi che vi mancano, erbe sono cresciute scomposte tra il lastricato di calcestruzzo e lo spiccato dei muri. Il paese com’era riesce ad affacciarsi solo stagliandosi sullo schermo dei ricordi e insinuando, tra le carezze del vento, sussurri che svelano la presenza di anime inquiete, intestardite a non staccarsi dal cielo che ebbero addosso da vivi.

I fatti. Quando la storia eravamo noi

Giovanni Paolo II, tra grandezza e contraddizione

di Gianni Di Santo

«Nuntio vobis gaudium magnum: habemus Papam. Eminentissimum ac reverendissimum dominum Carolum. Sanctae Romanae Ecclesiae cardinalem Wojtyla. Qui sibi nomen imposuit Ioannis Pauli secundi». Quella sera del 16 ottobre 1978, alle parole del cardinale Pericle Felici dinnanzi alla folla riunitasi in piazza San Pietro subito dopo la “fumata bianca” proveniente dalla Cappella Sistina, lo stupore passa di bocca in bocca nel popolo romano, e non solo. «E chi è questo? Un africano?».

Le persone. Parliamo di lui/lei

Cosa ci dice la vittoria di Ocasio-Cortez sulla politica americana

di Martino Mazzonis

La colpa deve essere dello stato di salute della sinistra italiana. Solo così si spiega l’immane attenzione generata dalla vittoria di Alexandria Ocasio-Cortez, ventottenne socialista e democratica del Bronx, alle primarie del suo partito per il distretto elettorale che elegge un rappresentante alla Camera di Washington. Ricordiamolo: il 14° distretto di New York elegge una sola persona a Washington, è saldamente democratico e la città tende a esprimere anche eletti con posizioni di sinistra – ad esempio il sindaco, Bill de Blasio. La differenza con il sindaco liberal è che la donna del Bronx è affiliata ai Democratic Socialists of America che non sono un partito ma un’organizzazione politica che, in fondo, è per il superamento del capitalismo. I DSA sostengono candidati, a volte vincono primarie democratiche, a volte danno il loro contributo e dopo la vittoria di Trump (e la sconfitta di Sanders) le loro fila si sono ingrossate. Oggi hanno quasi 50.000 iscritti e l’età media è inferiore ai 35 anni, mentre dieci anni fa l’età media era 68 anni. Oggi, insomma, i DSA sono un fenomeno generazionale: la generazione che ha conosciuto quasi solo la crisi non aspira più al sogno americano come i suoi genitori e, in alcuni casi, lo mette persino in discussione.

Le persone. Parliamo di luo/lei

Pedro Sánchez, el guapo

di Aldo Garzia

“El guapo” (il bello) è il nomignolo popolare di Pedro Sánchez, premier di Spagna dallo scorso giugno e segretario del Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE). Nato a Madrid il 29 febbraio 1972 da genitori militanti socialisti, sposato con María Begoña Gómez esperta di marketing, padre di due figlie (Ainhoa e Carlota), alto un metro e novanta, iscritto al partito già nel 1993 con Felipe González e José Luis Rodríguez Zapatero come punti di riferimento (i suoi predecessori nel ruolo di primi ministri), tifoso dell’Atlético Madrid, immagine sportiva e accattivante (un passato da giocatore accanito di basket), abile politicamente, ottimo oratore, Sánchez sembra avere tutti i requisiti del leader nell’era in cui oltre alle virtù politiche contano quelle dell’immagine. È stato facile per lui dare la spallata decisiva a Mariano Rajoy, leader stanco e opaco di un Partito Popolare (PP) in declino sotto i colpi delle sentenze giudiziarie per i molti casi di corruzione e che deve subire la concorrenza elettorale a destra di Ciudadanos, radicale e moderno partito nato sull’onda di un civismo moderato (sembra di assistere al replay del rapporto Forza Italia-Lega in salsa spagnola).

Le persone. Donne da cui dobbiamo imparare

Meral Akşener, la lupa che ha sfidato Erdoğan

di Mariano Giustino

Meral Aksener, la “lupa” solitaria del Buon Partito (IYI Parti), di destra nazionalista, fondato solo pochi mesi fa, il 25 ottobre 2017, aveva suscitato in tanti la speranza di poter battere l’uomo forte della Turchia, il presidente Recep Tayyip Erdogan, che aveva convocato elezioni lampo anticipate per il 24 giugno. Ma in questo nuovo passo della sua lunga carriera politica, ha ricevuto un consenso largamente inferiore alle aspettative suscitate, attestandosi appena al di sotto del 10% nel voto per le parlamentarie e solo al 7,3% in quello per le presidenziali. Tuttavia questo risultato non deve essere sottovalutato. La sessantunenne leader secolarista-nazionalista è cresciuta in una famiglia originaria di Salonicco (città natale di Mustafa Kemal Atatürk, padre della patria), ha conseguito un dottorato in Storia, ma ha abbandonato subito la carriera universitaria e fatto il suo ingresso in politica conquistandosi immediatamente l’appellativo di “lupa”.

Dizionario Civile

Razzismo

di Marco Omizzolo

Per razzismo, in genere, si intendono tutti quei rapporti sociali fondati sull’oppressione e lo sfruttamento, giustificati da un complesso ideologico che naturalizza relazioni diseguali fondate sulla discriminazione razziale, da cui deriva la subordinazione di un gruppo sociale a un altro. La stessa tesi della vigenza di una società post ideologica nasconde, in realtà, un’ideologia di fondo che agevola la penetrazione e la diffusione, nella cittadinanza, attraverso l’azione della sua classe dirigente (in particolare politica e imprenditoriale), di tesi, comportamenti e norme che altrimenti resterebbero sostanzialmente periferiche e marginali, proprio come il razzismo, lo sfruttamento lavorativo e l’esclusione di colui che è considerato “non gradito e non titolare di diritti”.