è professore emerito di Filosofia teoretica all’Università di Napoli “Federico II”.
di Eugenio Mazzarella - 11/12/2023
Quanto dia fastidio il pontificato di Francesco e la sua pastorale urbe et orbi che non accetta il confinamento alla “città di Dio”, ma vuole un po’ troppo parlare alla “città degli uomini”, lo si può cogliere da non poche stizzite reazioni alla recente esortazione apostolica Laudate Deum. Troppo impegnata per qualche suo critico a lodare Dio nella sua opera, la natura, piuttosto che nell’alto dei cieli, rivendicando per essa, se non un’intangibile sacralità, un reverente riguardo, quasi fosse un Deus sive natura.
C’è ancora l’Europa? O un fantasma si aggira per l’Europa, ed è l’Europa stessa? E quando questo fantasma ha cominciato a circolare? Sono domande non più aggirabili dopo l’Ucraina. Che al di là della tragedia in sé politica e umana, per il diritto internazionale e il diritto delle genti, che rappresenta, è da cinque e più mesi la cartina di tornasole del bivio davanti a cui si trova la costruzione europea, almeno per quel che voleva essere; e dei bivi che nei decenni passati, quando doveva, l’Europa non ha imboccato.
Il vocabolario Treccani ci informa che “salute” – dal latino salus -ūtis “salvezza, incolumità, integrità, salute”, affine a salvus “salvo” – significa letteralmente salvezza, soprattutto come stato di benessere, di tranquillità, d’integrità, individuale o collettiva. Se etimo (ἔτυμον, “vero, reale”), al modo dei filosofi e grammatici greci e latini, lo assumiamo come il significato “vero”, “reale” di una parola, è tutto questo plesso semantico, che è poi un plesso di realtà, che con la pandemia è andato in crisi.
Un plesso semantico come plesso di realtà basico, costitutivo dell’umano qua talis che non a caso la Costituzione italiana mette al centro dei “diritti e doveri” dei cittadini al titolo dei rapporti etico-sociali: cioè un diritto alla salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” che impegna alla sua tutela, gratuitamente agli “indigenti”, la Repubblica certamente, ma anche i titolari di quel diritto come dovere verso sé stessi almeno nella misura del non pregiudizio all’interesse collettivo, che è il caso tipico dell’evento pandemico.
«Ciò che è reale è razionale». È una nota frase di Hegel. Senza scomodare sofisticate ermeneutiche, tradotto nell’empiria dell’analisi politica, che è il nostro caso, l’assunto hegeliano è un cogente invito a ingegnarsi a capire le ragioni di ciò che è accaduto nel voto del 4 marzo 2018. Voto che ha consegnato l’attuale Parlamento a un governo giallo-verde, alle forze politiche cioè, Movimento 5 Stelle e Lega, che dalle urne sono uscite ampiamente vincenti, nella chiara sconfitta di tutti gli altri.
Nel recente dibattito sull’ultimo numero di «Italianieuropei» tra Giuliano Amato, Natale D’Amico e Livia Turco sulla legge sulla fecondazione medicalmente assistita e sulle prospettive politiche aperte dalla sua controversa approvazione – tra cui quella referendaria – un punto appare innanzitutto condivisibile: la notazione di Giuliano Amato che «una legge ci vuole e una legge giusta è possibile», e che non si può cedere «all’intolleranza praticata in nome ora di verità, ora di libertà intolleranti».
Le osservazioni che verranno proposte sull’attuale stato dell’università italiana e sul recente progetto di riforma che la investe, che tante polemiche sta suscitando, non hanno alcuna ambizione di ripensare il sistema ex novo. Un’ambizione sbagliata, sottesa tanto al disegno di legge-delega Moratti, quanto a non poche critiche che gli si rivolgono, e che talora finiscono per riproporne i presupposti ideologici di fondo.