Third International Forum on Democracy: The Shared Human Values – March 20th - Beijing

Di Massimo D'Alema Venerdì 22 Marzo 2024 10:04 Stampa

 

Signore e signori,

riflettendo sul tema del nostro incontro di oggi mi sono chiesto se veramente la democrazia possa essere considerata un valore condiviso. Molti in Occidente pensano che la democrazia sia un valore dell’Occidente e che, quindi, sia una bandiera che noi possiamo agitare in contrapposizione ad un’altra parte del mondo. Alcuni vorrebbero che questo discrimine, democrazia vs autocrazia, diventasse il nuovo muro di Berlino di una nuova guerra fredda, di un nuovo bipolarismo e di una contrapposizione che renderebbe difficile ogni cooperazione internazionale. Noi occidentali siamo orgogliosi della democrazia che abbiamo conquistato nei nostri paesi, in particolare in Europa. Questo è stato il frutto di un lungo processo storico che è iniziato con la rivoluzione francese del 1789 e che ha visto come protagonista il movimento operaio teso a conquistare una effettiva sovranità popolare contro le ristrette oligarchie che avevano dominato a lungo le nostre società. In particolare nel mio paese, l’Italia, nel secolo scorso, la democrazia fu conquistata con la lotta contro il fascismo e il nazismo con alto prezzo di sacrifici pagato dai nostri genitori nel corso della seconda guerra mondiale. Ma questo legittimo orgoglio non dovrebbe impedirci di vedere che il nostro modello, proprio perché frutto di un lungo e peculiare processo storico, non può essere esportato e imposto in altre parti del mondo come hanno dimostrato ancora negli ultimi anni le esperienze compiute in Afghanistan o in Iraq o in Medio Oriente. In secondo luogo è anche evidente che il mondo di oggi non può essere ridotto a una contrapposizione tra due modelli, essendo invece ricco di esperienze diverse non riconducibili alla contrapposizione ideologica che caratterizzò il secolo scorso. Chi crede come me nei valori della democrazia dovrebbe anche sapere che la logica della guerra fredda e della sfida ideologica non favorisce la circolazione delle idee e il dialogo nel quale diverse civiltà e culture si influenzano l’una con l’altra. Finisce al contrario per determinare una rigidità che non favorisce certo l’affermazione dei diritti umani e dei principi democratici. Il problema mi pare piuttosto quello di una riflessione più profonda sulle ragioni per cui quel processo che sembrava inarrestabile dopo il 1989 di espansione del modello liberaldemocratico si è oggi arrestato e il nostro modello della democrazia occidentale ha perduto credibilità e capacità di attrazione. Io non credo che ciò dipenda fondamentalmente dall’aggressività delle cosiddette autocrazie, bensì al contrario da fenomeni interni alle nostre società che hanno progressivamente eroso le basi di consenso del compromesso democratico. All’origine di questo vi è una globalizzazione senza regole fondata sul dominio del capitalismo finanziario e del mercato che ha finito per sottomettere il potere degli stati nazionali producendo enormi diseguaglianze sociali non più compensate da politiche fiscali, redistributive e di welfare. Nel momento in cui la politica, che rimane confinata in una dimensione nazionale, è soffocata dal potere del capitalismo globale si riducono le motivazioni della partecipazione democratica, come sta accadendo in tanta parte del mondo occidentale, e si diffondono fenomeni di populismo e di irrazionalità che determinano instabilità politica e decadimento delle classi dirigenti. La democrazia si dimostra così più che un modello da esportare un valore da ricostruire nelle nostre stesse società attraverso politiche pubbliche in grado di ristabilire un primato della politica sull’economia e di imporre rimedi efficaci alla diseguaglianza e all’ingiustizia sociale e limitazioni allo strapotere del denaro che, tanto più attraverso il controllo di moderni mezzi di comunicazione, appare sempre più in grado di manipolare e condizionare le stesse opinioni politiche. Il rischio è quello, come ha scritto qualche anno fa Josef Stiglitz, di passare dalla stagione gloriosa in cui il principio democratico era “una testa un voto” a quella in cui il nuovo principio “un dollaro un voto”. La democrazia si presenta quindi come una grande sfida dimostrando che la sovranità popolare non è una conquista valida per sempre ma un obiettivo da riaffermare costantemente contro vecchi e nuovi avversari.

Se questo è vero per il mondo occidentale è certamente non meno vero per altri mondi con i quali oggi ci confrontiamo. Le vie per la realizzazione della sovranità dei cittadini possono certamente essere diverse ma è onere di chi persegue un modello alternativo rispetto all’Occidente di mostrare nei fatti la compatibilità fra l’assenza di pluralismo politico e l’esercizio effettivo della libertà di critica, di dissenso e di controllo sul potere politico. L’assenza di un confronto pubblico aperto e critico, l’impossibilità di un ricambio delle classi dirigenti sono fattori che possono portare ad una cristallizzazione e ad un decadimento di qualsiasi regime politico. D’altro canto l’esperienza dell’Unione Sovietica lo ha dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio. L’esperienza storica dimostra che la vitalità e la capacità di progredire della società umana dipendono anche dal grado di libertà individuale e collettiva che viene garantita ai cittadini. Nella tradizione del pensiero moderno vi è stato un confronto tra la visione marxista e quella liberale. Il marxismo ha messo l’accento sulla liberazione dal bisogno, mentre il liberalismo ha puntato piuttosto ai diritti individuali. Ora sembra a me evidente che senza la liberazione della grande massa dei cittadini dai bisogni materiali il godimento effettivo dei diritti individuali di libertà è garantito solo ad una ristretta minoranza. Ma è anche vero che il diritto al lavoro, al cibo, alla salute, alla casa non possono sostituire la libertà di pensiero, di espressione, di fede religiosa. È vero invece che più alto è il grado di emancipazione sociale più si generano bisogni di libertà individuale. Sul grande tema della libertà umana e di come essa possa essere garantita sarebbe il tempo di un confronto aperto tra culture e civiltà e non di una contrapposizione ideologica e propagandistica. Anche perché abbiamo di fronte grandi sfide comuni. Basta pensare al rapporto tra innovazione tecnologica, nel mondo dell’intelligenza artificiale e dei big data, e condizione umana. L’innovazione determina enormi possibilità di accrescimento della qualità della vita ma anche il rischio di nuove forme di controllo e di asservimento. L’impegno comune che ci attende è definire un quadro condiviso di norme e di principi a protezione dei diritti delle persone per rafforzare le istituzioni internazionali che in un mondo multipolare devono garantirli.

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