direttore del Centro riforma dello Stato (CRS), è senatore del Partito Democratico.
Se l’attuale centrosinistra, almeno a parole, si definisce erede delle tradizioni popolari della prima Repubblica, nella realtà dimostra invece di avere perso il contatto con le trasformazioni in atto nella società e soprattutto con le istanze dei ceti più popolari. Da quando si è prodotto questo distacco, la sinistra ha cominciato a etichettare come antipolitica e populismo ciò che non rientrava nelle sue categorie di analisi, nascondendo così, innanzitutto a se stessa, la sua più grande e inaccettabile anomalia: l’essersi trasformata in un riformismo senza popolo. Fino a quando vogliamo continuare lungo questa strada? Come superare gli ostacoli che impediscono alla sinistra di fare popolo?
La riforma Gelmini è stata presentata come un provvedimento teso ad introdurre nell’università italiana quei criteri meritocratici che, secondo i sostenitori del provvedimento, le sarebbero oggi estranei. Secondo Walter Tocci è invece vero il contrario.
Uscimmo a riveder le stelle, eravamo decisi a dirigerci verso Oriente e invece ci ritrovammo a Occidente. Questo potrebbe essere il riassunto del primo anno di governo per l’università e la ricerca. Il programma elettorale del centrosinistra proponeva di disboscare la selva normativa cresciuta negli ultimi decenni, sviluppando nelle istituzioni scientifiche l’autonomia insieme alla sorella smarrita, la responsabilità, premiando il merito sulla base di risultati rigorosamente verificati e investendo risorse su questa opera di rinnovamento. Era una linea semplice e semplificatrice e si poteva riassumere con tre verbi: valutare, delegificare e investire. Purtroppo è accaduto esattamente il contrario.