Cesare era il nome di mio padre, nato nel 1915 in terra emiliana, provincia di Reggio Emilia. Figlio di Umberto Grisendi, contadino, da tutti chiamato Berto e di Adele Gualerzi, lui del 1881 e lei del 1886. I bisnonni paterni, anch’essi contadini, si chiamavano Ardemio e Luigia, nati nel 1848 e nel 1852. La famiglia era meglio conosciuta con uno scutmaj, un soprannome: Giavaréina.
Anni fa, una delle ultime volte che partecipai a un convegno della Fondazione Sciascia a Racalmuto, mi resi conto, con un’occhiata, di quanto la mia età fosse lontana da quella degli altri invitati a parlare. Così, aprendo bocca per prima, «Mi sento uno degli ultimi garibaldini» confessai «di quelli che, nella mia prima adolescenza, chiudevano i cortei fascisti sforzandosi di mantenere il passo» e aggiunsi «se Sciascia fosse qui riderebbe con me».
Cesare era il nome di mio padre, nato nel 1915 in terra emiliana, provincia di Reggio Emilia. Figlio di Umberto Grisendi, contadino, da tutti chiamato Berto e di Adele Gualerzi, lui del 1881 e lei del 1886. I bisnonni paterni, anch’essi contadini, si chiamavano Ardemio e Luigia, nati nel 1848 e nel 1852. La famiglia era meglio conosciuta con uno scutmaj, un soprannome: Giavaréina.
Ho iniziato a occuparmi del nostro Risorgimento nel 2003, per merito – colpa – di Mario Martone, che mi coinvolse nel progetto di un film. In parallelo alla stesura del copione, sedotto dalla quantità e qualità dei materiali storici e letterari con i quali entravo in contatto, prendeva corpo il progetto di una narrazione ispirata a quella stagione della quale si era persa la memoria. Al punto che io per primo avevo sul nostro Risorgimento, e, dunque, sugli eventi che portarono a edificare la nazione nella quale sono nato, vivo, lavoro, solo poche, confuse, contraddittorie e troppo spesso sbagliate informazioni.
Anni fa, una delle ultime volte che partecipai a un convegno della Fondazione Sciascia a Racalmuto, mi resi conto, con un’occhiata, di quanto la mia età fosse lontana da quella degli altri invitati a parlare. Così, aprendo bocca per prima, «Mi sento uno degli ultimi garibaldini» confessai «di quelli che, nella mia prima adolescenza, chiudevano i cortei fascisti sforzandosi di mantenere il passo» e aggiunsi «se Sciascia fosse qui riderebbe con me».