L'Unione europea e il rischio climatico

Di Bernard Laponche Giovedì 10 Dicembre 2009 17:50 Stampa

Gli obiettivi e le politiche dell’Unione europea e dei suoi Stati membri nella lotta contro il cambiamento climatico hanno alla base gli impegni presi nell’ambito del Protocol­lo di Kyoto. L’analisi delle prospettive future in questo set­tore mette in luce le difficoltà che l’UE e la maggior parte dei paesi incontreranno nell’ottemperare a tali impegni e obblighi, soprattutto in funzione dello scenario ancora più ambizioso come quello delineato dagli orizzonti del 2020 e del 2050, sia nell’ambito del sistema di scambio europeo delle quote di emissione (ETS) sia per le attività “non ETS”.

L’Unione europea e gli impegni del Protocollo di Kyoto

Nell’ambito del Protocollo di Kyoto si stabilisce che i membri “anziani” dell’Unione (UE-15) debbano ridurre collettivamente le loro emissioni di gas a effetto serra (GES) dell’8% come media annuale per il periodo 2008-12, rispetto al livello del 1990.1 La ripartizione degli sforzi tra paesi membri (obbligo individuale) è indicata nella Tabella 1.2 Anche i nuovi paesi membri hanno, da parte loro, obiettivi individuali: Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia e Slovenia una riduzione dell’8% rispetto all’anno di riferimento;3 l’Ungheria e la Polonia del 6%; a Cipro e Malta, invece, non sono assegnati “obiettivi Kyoto”. Poiché all’epoca della sua adozione, nel 1997, la “bolla” comunitaria era costituita di soli quindici Stati membri, la compagine della UE a 27 non persegue attualmente un obiettivo comune in nome del Protocollo di Kyoto. La Tabella 1 indica anche la differenza nelle emissioni tra l’anno 2006 e l’anno di riferimento, così come la differenza tra le emissioni nel 2006 e quelle stabilite dal Protocollo di Kyoto.

La distanza dall’obiettivo è espressa, da una parte, con riguardo alle emissioni propriamente dette e, dall’altra parte, tenendo conto delle proiezioni dichiarate dai paesi che intendono utilizzare i meccanismi di flessibilità del Protocollo di Kyoto così come i pozzi di carbonio4 allo scopo di raggiungere l’obiettivo loro assegnato.

 

5_2009.Laponche.Tabella1

 

Tutti gli indicatori sono stabiliti sulla base delle emissioni di GES fornite dagli inventari e dalle proiezioni messe a disposizione dai paesi membri. Queste sono espresse, per i gas diversi dal CO2, in tonnellate equivalenti CO2 (teqCO2), utilizzando i coefficienti basati sul potenziale di riscaldamento globale a cento anni. È risaputo che il coefficiente di equivalenza del metano (CH4) varia fortemente a seconda dell’orizzonte temporale su cui si comparano gli effetti del cambiamento climatico di una emissione di una tonnellata di CH4 e di una tonnellata di CO2. Se l’orizzonte è di cento anni, il coefficiente di equivalenza è di 21 (convenzione adottata nel Protocollo di Kyoto) ma se l’orizzonte è di vent’anni, questo coefficiente è di 72. Se si considera che gli effetti del cambiamento climatico dovrebbero farsi sentire nei prossimi decenni, sarebbe opportuno tenere conto di tale realtà.

Se si eccettuano Cipro, Malta e la Slovenia, tutti i nuovi Stati membri sono contraddistinti nel 2006 da emissioni ben al di sotto dell’obiettivo Kyoto. La situazione è diversa per i paesi della UE-15 (e per la Slovenia), caratterizzati da realtà molto differenti: Austria, Danimarca, Spagna, Lussemburgo sono infatti ben distanti dall’obiettivo, seguiti da Finlandia, Irlanda, Italia e Portogallo. Gli ottimi risultati del Regno Unito e soprattutto della Svezia non compensano questo deficit e la UE-15 si situa al 5,3% dell’obiettivo.

Il ricorso ai meccanismi di flessibilità e ai pozzi di carbonio (questi ultimi nettamente meno importanti) preso in considerazione dai paesi raggiunge livelli molto significativi per alcuni membri della UE-15 (Austria, Spagna, Irlanda, Italia, Lussemburgo); differente sembra essere l’atteggiamento dei nuovi Stati membri, che non vi fanno ricorso, o lo fanno soltanto in minima parte, a eccezione della Slovenia (e di Cipro e Malta per motivi differenti).

Se non si programmano riduzioni di emissioni tra il 2006 e il periodo 2008-12, pare poco probabile che la UE-15 possa raggiungere l’obiettivo Kyoto assegnatole senza misure supplementari o senza un forte contributo dei meccanismi di flessibilità. Le proiezioni dell’Agenzia europea dell’ambiente, basate su quelle dei paesi membri, indicano una distanza del 4,4% tra il livello delle emissioni nel periodo 2008-12 e quello dell’anno di riferimento. Il risultato confermerebbe la tendenza ad impiegare i meccanismi di flessibilità e i pozzi di carbonio per coprire quasi la metà delle riduzioni di emissioni rispetto all’anno di riferimento.

 

Gli obiettivi all’orizzonte 2020

Il Consiglio dell’Unione europea o Vertice europeo a livello di capi di Stato e di governo, nella riunione dell’8 e 9 marzo 2007 sotto la presidenza tedesca, ha fissato alcuni obiettivi per la lotta al cambiamento climatico e la politica energetica (di sicurezza energetica), iscrivendoli nel quadro più ampio della Strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione. Si tratta di tre obiettivi (i “Tre 20%”), che vertono sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, lo sviluppo delle energie rinnovabili e l’efficienza energetica.

Il Consiglio, in particolare, ha stabilito come obiettivo auspicabile per i paesi industrializzati (definiti dall’Appendice 1 del Protocollo di Kyoto) una riduzione delle emissioni di GES entro il 2020 del 30% rispetto al loro livello nel 1990, nell’ottica di un traguardo di più lungo periodo (2050) corrispondente a una riduzione delle emissioni compresa tra il 60 e l’80%, rispetto al 1990.

Inoltre, ha deciso per un obiettivo vincolante unilaterale dell’UE di riduzione delle emissioni di gas serra del 20% entro il 2020 rispetto al livello del 1990.5

I capi di Stato e di governo dell’Unione europea sono giunti a un accordo sul “pacchetto energia- clima” in occasione del Consiglio europeo dell’ 11 e 12 dicembre 2008. Nel quadro di questa intesa, l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 20% entro il 2020 rispetto al livello del 1990 è fatto salvo e, nelle conclusioni, è ulteriormente completato dall’impegno per una contrazione del 30% in caso di accordo internazionale, nonché sul traguardo a lungo termine di riduzione del 50% all’orizzonte 2050.6

L’obiettivo globale del 20% è declinato secondo due approcci complementari, tradotti in termini legislativi da due direttive del Parlamento europeo e del Consiglio approvate in via definitiva (ma non ancora pubblicate nella “Gazzetta Ufficiale”) nel marzo 2009: la direttiva7 sul «miglioramento e l’estensione del sistema di scambio comunitario delle quote di emissione (ETS)»8 e la direttiva sullo «sforzo degli Stati membri per una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra allo scopo di raggiungere gli obiettivi di riduzione entro il 2020».9

In virtù di questa separazione, gli obiettivi di riduzione sono attribuiti, da una parte, alle attività rientranti nel sistema ETS e, dall’altra parte, alle attività “extra ETS”. I target assegnati a uno o all’altro insieme sono espressi in riduzioni di emissioni rispetto all’anno 2005.10

 

Evoluzione del sistema ETS È difficile presentare correttamente in maniera sintetica il testo della direttiva riguardante il futuro sistema ETS, soprattutto perché “il diavolo sta nei dettagli” e questo testo si presenta come una serie di emendamenti relativi alla direttiva che va a modificare. In ogni caso, verrà qui presentato per sommi capi, mettendo in rilievo le nuove disposizioni.

 

Obiettivo Al fine di raggiungere l’obiettivo di una riduzione del 20% entro il 2020 (rispetto ai valori del 1990) per l’insieme delle emissioni di GES e tenendo conto della diminuzione già realizzata tra il 1990 e il 2005, lo sforzo spettante al settore ETS è di una riduzione delle emissioni del 21% entro il 2020 (rispetto ai valori del 2005). La direttiva prevede ugualmente disposizioni per un maggior impegno dell’Unione nel quadro di un accordo internazionale (una riduzione del 30% in conformità all’obbligo assunto dal Consiglio europeo nel marzo 2007). Il periodo 2013-20 costituirà di fatto il Periodo II della messa in opera del sistema ETS.11

 

Le assegnazioni di quote a) La quantità totale di quote di emissione assegnata ogni anno all’insieme della Comunità dopo il 2013 dovrà diminuire dell’1,74% a partire dal valore medio di assegnazione nel periodo 2008-12. Ciò deve garantire una riduzione del 21% del numero di quote nel 2020 rispetto al livello reale di emissione nell’anno 2005. Il sistema attuale di ventisette massimali di emissioni nazionali è sostituito da un massi - male unico per tutta l’Unione europea; b) a partire dal 2013 non vi saranno più Piani nazionali di assegnazione delle quote: le assegnazioni saranno attribuite direttamente dalla Commissione europea per ogni impianto interessato. Le assegnazioni nazionali saranno la somma delle assegnazioni attribuite ai singoli impianti e la Commissione avrà in riserva un certo numero di assegnazioni per i “nuovi entrati”, ossia gli impianti rientranti nell’ETS creati dopo il 2005.

 

La messa all’asta delle quote a) Nel corso dei primi due periodi dell’ETS, le assegnazioni di quote sono state gratuite. Tali assegnazioni erano attribuite agli impianti interessati dopo la procedura di autorizzazione di emissione; in caso di mancato rispetto delle quote erano previste sanzioni, ma l’impianto non pagava le assegnazioni. Poiché autorizzazione e assegnazione costituivano, di fatto, una “autorizzazione a inquinare”, è stato sancito il principio dell’acquisto delle assegnazioni; b) la soluzione delineata per l’acquisto delle assegnazioni per cui si è optato nella direttiva è la “messa all’asta” delle quote: il prezzo della quota, e dunque il costo dell’assegnazione, saranno determinati dal mercato. Ogni Stato membro è chiamato a occuparsi della messa all’asta. La quantità totale delle quote che gli Stati membri metteranno all’asta sarà fissata dalla Commissione (ma la gratuità di alcune quote sarà mantenuta). La maggior parte (88%) sarà ripartita tra gli Stati membri proporzionalmente alle loro emissioni, il 10% sarà distribuito ad alcuni Stati membri a fini di solidarietà e di crescita; il 2% sarà assegnato ad alcuni Stati membri in funzione di alcune situazioni particolari; la procedura della messa all’asta delle quote sarà applicata integralmente a partire dal 2013 per il settore della produzione di energia elettrica. Sono tuttavia accordate alcune deroghe (assegnazioni gratuite) alla “modernizzazione della produzione di energia elettrica” (denominazione indicante situazioni molto diverse), ma precisamente circoscritte nell’articolo 10c; c) dovranno definirsi condizioni precise di accesso giusto ed equo, di simultaneità di informazione per tutti i partecipanti e di minimizzazione dei costi di partecipazione alle aste; d) una percentuale minima del 50% degli introiti sarà utilizzata a fini di sviluppo sostenibile: riduzione delle emissioni di gas a effetto serra; sviluppo delle energie rinnovabili; lotta contro la deforestazione; cattura del carbonio attraverso la silvicoltura; raccolta e stoccaggio geologico di CO2; sostegno ai mezzi di trasporto a basse emissioni e ai trasporti pubblici; attività di ricerca e sviluppo nell’efficienza energetica e tecnologica pulita; misure di miglioramento dell’efficienza energetica, in particolare nel settore domestico per i consumatori a basso reddito; e) per i settori diversi dalla produzione elettrica, sarà attuato un sistema transitorio: assegnazioni gratuite per l’80% delle emissioni (nel periodo 2005-07); proporzione linearmente decrescente al 30% entro il 2020, con l’obiettivo finale dello 0% entro il 2027.

 

Le “fuoriuscite di carbonio” Gli Stati membri potranno anche prendere misure finanziarie in favore dei settori o sottosettori che si ritengono esposti a un rischio significativo di “fuoriuscite di carbonio” (delocalizzazione di impianti), in ragione dei costi legati alle emissioni di gas a effetto serra. La Commissione potrà destinare il 100% delle assegnazioni gratuitamente per tali settori.

 

L’utilizzo dei meccanismi di flessibilità Allo stato attuale degli accordi internazionali, il Meccanismo di sviluppo pulito (MDP) è il solo dei tre meccanismi di flessibilità il cui utilizzo potrà protrarsi oltre il 2013. Molte cose in questo campo dipenderanno dunque dai negoziati internazionali sul “dopo 2012”. In assenza di un accordo internazionale, gli operatori saranno autorizzati a utilizzare, anche dopo il 2013, certificati di emissione rilasciati prima del 2012.

 

Evoluzione del sistema “extra ETS” Il testo provvisorio della direttiva sugli «sforzi dei paesi membri per ridurre le loro emissioni di gas a effetto serra» fa riferimento alle emissioni delle attività “extra ETS” che includono essenzialmente le attività di trasporto, di riscaldamento domestico e terziario (extra ETS), dell’agricoltura. I punti essenziali della direttiva sono i seguenti.

 

Obiettivo Nel quadro del traguardo di una riduzione del 20% delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2020, è fissato per ogni paese membro un obiettivo vincolante per le emissioni delle attività “extra ETS” in termini di percentuale di riduzione entro il 2020 rispetto all’anno 2005. Queste percentuali, riportate nella Tabella 2, devono considerarsi come valori minimi. La risultante di questa diminuzione per l’insieme dell’Unione è nell’ordine del 10% e rappresenta circa un terzo della riduzione totale necessaria per rispettare l’obiettivo del 20%.

 

Obiettivo vincolante La riduzione delle emissioni deve avvenire in maniera progressiva e lineare lungo il periodo 2013-20. Questo carattere vincolante (e dunque verificato) del percorso di riduzione è molto importante.

 

5_2009.Laponche.Tabella2

 

Richiamo dell’obiettivo “20% efficienza energetica” Alla Commissione è fatto obbligo di presentare, nel 2012, la valutazione degli Stati membri riguardo alla realizzazione dell’obiettivo di riduzione del consumo di energia almeno del 20% rispetto alle proiezioni tendenziali.

 

Utilizzo dei meccanismi di flessibilità I paesi membri possono utilizzare i meccanismi di flessibilità del Protocollo di Kyoto allo scopo di ottemperare agli obblighi loro assegnati (articolo 5). Le condizioni di utilizzo di una parte di questi meccanismi sono limitate, analogamente a quanto applicato per il sistema ETS. Anche in questo caso, le condizioni dell’utilizzo dipendono in gran parte da un accordo internazionale. La possibilità di utilizzare crediti di emissione provenienti da questi meccanismi non può eccedere annualmente una quantità pari al 3% delle emissioni di gas a effetto serra di quello Stato membro nel 2005. Inoltre, dodici Stati membri12 hanno ottenuto che questa possibilità sia pari al 4%, a condizione che tale aumento di “crediti” provenga dai paesi meno sviluppati o dai piccoli paesi insulari in via di sviluppo.

Merita soffermarsi sulle disposizioni che vertono sull’utilizzo dei meccanismi di flessibilità e in particolare del MDP. In effetti, in base alle valutazioni degli esperti del Parlamento europeo, tale autorizzazione a utilizzare i meccanismi di flessibilità potrebbe rappresentare fino all’80% dell’obbligo di riduzione totale delle emissioni di gas a effetto serra delle attività “extra ETS” entro il 2020 (riduzione del 21% rispetto al livello del 2005).

Non è tuttavia affatto certo né che questa autorizzazione sia pienamente utilizzata, né che vi sia un numero sufficiente di progetti MDP per soddisfarne i criteri.

Pertanto, se l’autorizzazione è di tale ampiezza, non si può che sottolineare la distanza tra l’impegno dell’Unione europea – incentrato sulle emissioni reali in seno all’Unione – e il risultato di compromesso raggiunto nel dicembre 2008 e tradotto nella direttiva, e denunciare quella che appare come una vera e propria deviazione.


[1] Il 1995 può essere preso come anno di riferimento dagli Stati contraenti che lo desiderano per le emissioni di idrofluorocarburi (HFC), perfluorocarburi (PFC) ed esafluorato di zolfo (SF6). Per i tre principali GES – anidride carbonica (CO2), metano (CH4) e ossido nitroso (N2O) – l’anno di riferimento è il 1990.

[2] Per la UE-15 e per ogni paese membro, l’anno base per CO2, CH4 e N2O è il 1990; per i gas fluorati, dodici paesi membri hanno scelto il 1995 come anno base, mentre l’Austria, la Francia e l’Italia hanno scelto il 1990.

[3] Per CO2, CH4 e N2O, l’anno di riferimento per i nuovi paesi membri è il 1990, salvo per Ungheria (1985-87), Polonia (1988), Romania (1989) e Slovenia (1986); per gli altri gas, l’anno di riferimento è il 1995, salvo per la Slovenia (1990).

[4] I “pozzi di carbonio” indicano le riduzioni delle emissioni totali ottenute prendendo in considerazione l’aumento della cattura del carbonio sul territorio del paese interessato attraverso un cambiamento nell’utilizzo delle terre, l’arresto della deforestazione e la riforestazione (Land Use, Land-Use Change and Forestry, LULUCF).

[5] L’impegno di riduzione delle emissioni di GES nel quadro del Protocollo di Kyoto è pari, per la UE- 15, alla diminuzione dell’8% rispetto al 1990 per la media annuale delle emissioni nel periodo 2008-12.

[6] È analogamente ricordata la risoluzione del Parlamento europeo del gennaio 2008, seguita alla Conferenza di Bali sul cambiamento climatico, la quale richiedeva che i paesi industrializzati si impegnassero a ridurre le loro emissioni di gas a effetto serra, rispetto al 1990, di almeno il 30% entro il 2020 e di una percentuale compresa tra il 60 e l’80% entro il 2050.

[7] Il riferimento è alla direttiva 2009/29/EC che emenda la direttiva 2003/87/EC.

[8] ETS, Emission Trading Scheme.

[9] Il riferimento provvisorio è PE-CONS 3738/08.

[10] I dati per il 2005 sono molto più conosciuti rispetto a quelli relativi al 1990, soprattutto a livello di impianti individuali, che è quanto interessa al sistema ETS.

[11] Periodo I: 2005-07; Perio - do II: 2008-12.

[12] Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Spagna, Finlandia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia, Svezia.