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Spagna: fare di necessità virtù

La necessità sono stati i sette voti che servivano ai socialisti di Junts, il partito che nel 2017 sfidò lo Stato con un referendum illegale per l’indipendenza della Catalogna. Grazie a quei voti, che sono stati possibili solo dopo un patto fra socialisti e indipendentisti al fine di garantire un’ampia amnistia per le circa duecento persone incriminate – compreso il leader di Junts ed eurodeputato Carles Puigdemont – Pedro Sanchez è stato investito della carica di presidente del governo, per la terza volta. Lo è stato con l’appoggio di tutti i gruppi parlamentari, fatta eccezione del Partido Popular (con il fratellino Union del Pueblo Navarro) e dell’ultradestra di Vox.

Spagna, diga di contenimento della destra

La stessa domenica in cui si svolgevano le elezioni parlamentari del 23 luglio, in Spagna si continuava a prevedere una più che probabile vittoria dei conservatori del Partito Popolare (cosa che è effettivamente accaduta), e la formazione di un governo presieduto da Alberto Nuñez Feijóo, del PP, in coalizione con l’estrema destra di Vox (che non si è invece prodotta). I sondaggi avevano alimentato questo sentimento di inevitabilità, di cambio di ciclo, almeno dalla vittoria del PP alle elezioni regionali e comunali del maggio scorso. Sembrava una situazione senza rimedio: Pedro Sanchez, dopo cinque anni di governo socialista in coalizione con il partito alla sua sinistra, Unidas Podemos, avrebbe dovuto abbandonare la Moncloa, perché gli spagnoli avrebbero avvallato con il voto l’obiettivo etereo dell’opposizione conservatrice: derogare al sanchismo.

 

La crisi del Labour

Il Partito Laburista inglese condivide con gli altri partiti socialisti del continente europeo una crisi che ha in realtà origini comuni: l’abbandono del pensiero tradizionale della sinistra a favore della promozione del libero mercato, dell’individualismo, delle privatizzazioni e della deregolamentazione in ambito economico. Questo allontanamento dalle origini ha fatto perdere al Labour una parte importante del sostegno delle classi lavoratrici, soprattutto dopo che la crisi finanziaria internazionale del 2008 ha reso manifesta la fragilità del modello di sviluppo economico proposto. La difficoltà a individuare e proporre una ricetta alternativa credibile e una leadership affidabile fa sì che oggi, pur di fronte a un governo conservatore estremamente debole, il Partito Laburista abbia poche possibilità di tornare presto al governo del paese.

La rinuncia a riformare il capitalismo: alla radice della crisi della sinistra scandinava

Anche nei paesi nordici le socialdemocrazie sono in difficoltà, pressate non tanto dalle forze liberal-conservatrici, anch’esse in crisi, quanto dalla crescita del consenso per i partiti della nuova destra. Ciò può essere imputato alla loro rinuncia a perseguire parte del proprio compito storico: riformare il capitalismo riducendone le irrazionalità, costringere le imprese alla competitività affermando diritti e salari forti, perseguire la mobilità del lavoro ma verso l’alto e ottenere così, alla fine, maggiori livelli di eguaglianza. Restituire centralità alla questione sociale e al tema della riforma dell’economia consentirebbe, perciò, di recuperare alle forze socialdemocratiche una parte considerevole del loro tradizionale consenso.

Crisi del PSOE, crisi della Spagna

La situazione politica spagnola è sicuramente emblematica dello stato di crisi strutturale e identitaria in cui la politica, assieme alle forze che se ne sono fatte tradizionalmente interpreti, si è inviluppata inesorabilmente. Soprattutto il PSOE rischia di pagare un prezzo elevato incalzato com’è dalla pressione di formazioni di ispirazione populista come Podemos. La crisi economica, che la ripresa del PIL degli ultimi due anni non sembra aver fatto superare, continua a rendere sempre più incerta la condizione dei ceti medi; lo stesso si può dire dei giovani, le cui prospettive non appaiono affatto promettenti. E delle loro esigenze, delle loro speranze, delle loro aspettative né il PSOE né altre formazioni tradizionali sono in grado di farsi interpreti.

Le sfide di Syriza e le grandi difficoltà dei socialisti greci

La situazione politica in cui la Grecia è venuta a trovarsi a seguito della crisi economica profonda che ha colpito tutto il paese a cominciare dal 2009 appare quanto mai confusa. La lotta politica, se si escludono talune vivaci iniziative di rilancio a opera di leader come Fofi Jennimatà, che guida il raggruppamento socialista del PASOK, sembra sempre più incerta. Non solo formazioni storiche quali appunto il PASOK – e altre ancora anche nell’area opposta – appaiono in affanno, ma anche gli altri schieramenti, soprattutto quelli di nuovo conio come SYRIZA, costituitosi nell’interregno tra la crisi e l’irruzione della Troika sullo scenario, non se la passano meglio.

Il grand malaise della sinistra francese

La Gauche francese vive un momento di grande difficoltà, di cui la rinuncia di Hollande a ricandidarsi per la presidenza è solo il più eclatante e recente segnale. Il rischio concreto è che non riesca ad arrivare al ballottaggio e che i suoi elettori siano costretti a scegliere, per l’elezione del prossimo presidente, tra la destra popolare di François Fillon, la destra populista di Marine Le Pen e l’astensione. Quella del Partito Socialista Francese è una crisi grave, che va inquadrata nel contesto più ampio della crisi della sinistra mondiale, considerata a torto o a ragione da una parte crescente dell’elettorato corresponsabile dell’impoverimento provocato in Occidente dalla globalizzazione. E in quello del “grand malaise” di un paese che non riconosce più se stesso e la propria identità. Che sente di non contare più nulla e di non essere più nulla.

La SPD, un “junior partner” di tutto rispetto. Per ora

Spesso si dimentica che, in Germania, il partito socialdemocratico è al governo dal 2013, come parte di quella Grande coalizione che sostiene il governo di Angela Merkel. Allo stesso modo si dimentica che, proprio in ragione della presenza della SPD al governo, negli ultimi anni sono state realizzate importanti riforme nei settori dello Stato sociale, del mercato del lavoro e dell’istruzione. Sembrerebbe una condizione ideale per il partito socialdemocratico tedesco; ma la realtà è più complessa. La sua annosa partecipazione come partner minore a governi a guida cristiano-democratica non solo non fa risaltare l’azione politica che la SPD sta conducendo, ma contribuisce a liberare spazio alla sinistra del partito socialdemocratico. Di tale spazio sembra temporaneamente trarre profitto la Linke che, insieme al partito populista della AfD a destra della CDU-CSU, rappresenta l’insoddisfazione di una parte rilevante dell’elettorato nei confronti della Grande coalizione.

Essere o non essere (insieme)? Antropologia di una sinistra divisa e a rischio di estinzione

In gran parte dei paesi europei, sia dal punto di vista delle linee programmatiche seguite che sotto il profilo della leadership, si possono identificare due sinistre: per quanto riguarda i programmi, è evidente come si sia sviluppata una frattura crescente tra una sinistra sostenitrice dello sviluppo a prescindere dalle modalità con cui esso si articola, e una più attenta a conciliare sviluppo ed equità sociale, anche a costo di produrre un maggior attendismo decisionale. Sotto il profilo della leadership, a causa della crescente personalizzazione della politica, nei partiti socialisti europei si stanno scontrando, o si sono in vario modo scontrate, personalità antiche e nuove. Come superare l’impasse che ne deriva? Come trovare una “sintesi” tra diverse posizioni senza prendere il tempo che tale sintesi può richiedere? Servono luoghi di confronto pacato, costruttivo, trasparente. Servono laboratori di politica in cui esprimere idee e non personalismi. Laboratori di politica in cui costruire politiche adatte a gestire la straordinaria, e per taluni spaventevole, realtà attuale.

Fondamenti per un programma della sinistra in Europa

La sinistra sembra essere il bersaglio principale di quell’ondata di sentimento avverso alla politica, di quella diffusa protesta contro l’establishment che percorre gran parte dell’Europa. Non è difficile capire perché. In realtà, è persino naturale che sia proprio la sinistra a essere sul banco degli imputati, nel momento in cui la globalizzazione selvaggia provocata dal capitalismo finanziario e la sua successiva crisi hanno innanzitutto colpito protezioni e diritti sociali, aggravando diseguaglianze e povertà. In questo contesto, la sinistra appare una forza che, ben più dei partiti conservatori, è venuta meno alle sue ragioni costitutive e alla sua missione storica.

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