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Tra realtà nazionale e respiro internazionale. dialogo su “I comunisti italiani e gli altri”

Con la partecipazione di Simona Colarizi, Piero Craveri, Massimo D’Alema, Emma Fattorini, Agostino Giovagnoli, Silvio Pons, Marco Revelli.
È questa la seconda iniziativa editoriale che Italianieuropei dedica al centenario del PCI. Con la prima abbiamo inteso, attraverso un dialogo tra alcuni dei protagonisti del gruppo dirigente di quel partito, mettere a confronto l’esperienza di diverse generazioni di comunisti. Il confronto di oggi coinvolgerà invece alcuni tra i più autorevoli storici contemporaneisti del nostro paese, che, pur con diversi approcci culturali, non sono nuovi a una riflessione sul comunismo italiano e sul suo ruolo nella storia nazionale. Il punto di partenza di questo nostro dialogo sarà il libro di Silvio Pons “I comunisti italiani e gli altri”; un testo a mio giudizio importante, che propone un approccio innovativo collocando in modo più organico la vicenda del comunismo italiano nel quadro dello sviluppo della storia europea e mondiale.

 

Cinquant’anni di Cina. Storie di un paese che si apre al mondo

Un po’ romanzo, con suggerimenti autobiografici, ma soprattutto analisi accurata e documentata di cinquant’anni di Cina, un paese che Romeo Orlandi – è evidente – conosce molto bene. E racconta con precisione di particolari, giostrandosi tra argomenti sociali, politici, economici, ma con il tocco di leggerezza dato dalle storie personali dei tanti personaggi di diverse nazionalità, inventati e reali, che da quattro continenti si incontrano a Pechino. Cina caput mundi: nei primi decenni delle tante rivoluzioni di Mao Zedong come modello di un nuovo socialismo alternativo a quello sovietico, e poi negli anni delle riforme di Deng Xiaoping, esempio di un processo di sviluppo esclusivamente cinese. Prima, esportando solo la rivoluzione, poi il tutto, o quasi, che arriva sui mercati del mondo intero.

Magri e il suo peculiare modo di essere comunista

Il libro di Simone Oggionni, “Lucio Magri. Non post-comunista, ma neo-comunista”, pubblicato da Edizioni Efesto, ripropone la discussione sulla radiazione dal PCI del Manifesto (nelle celebrazioni sul centenario di quel partito si dimentica spesso il “caso” del 1969) e sul percorso teorico/politico di Lucio Magri (Ferrara 1932-Bellinzona 2011), che fu uno dei leader di quel gruppo. L’onda lunga del 1968 studentesco e del 1969 operaio apparve ai promotori del mensile “il manifesto” – Magri ne fu direttore con Rossana Rossanda – l’occasione giusta per proporre al Partito comunista l’opportunità di una discussione sul neocapitalismo italiano negli anni del boom economico, sulle esperienze e i limiti evidenti delle società del “socialismo reale” a iniziare dall’URSS (era in corso la crisi cecoslovacca) e sulla “forma partito” in una società che andava mutando socialmente a grande velocità e di cui il PCI faceva fatica a prendere le misure.

 

Sulla poliedricità del populismo

Il volume di Paolo Corsini offre una puntuale e documentatissima ricognizione di un tratto ineludibile alla comprensione non solamente politica della nostra epoca. L’autore si muove lungo tre linee di ricerca, quella propriamente storica, quella teorica e quella più politica, che insieme danno conto della complessità e “poliedricità” della categoria del populismo, delle sue multiformi manifestazioni e dei suoi diversi interpreti.
Un percorso di conoscenza che incrocia la dimensione del tempo, dalla seconda metà dell’Ottocento agli anni Ottanta del secolo scorso fino ai nostri giorni, drammaticamente segnati dalla pandemia globale; e quella dello spazio, passando dalla Russia agli Stati Uniti, dall’America Latina alla Francia e all’Italia.

La Russia oltre Putin

Due eventi recenti hanno posto sotto i riflettori la Russia di Putin: la riforma costituzionale del 2020 e la pandemia da Covid-19. La prima ha ridisegnato l’architettura politico-istituzionale, maturata nel corso del ventennio putiniano, i cui pilastri sono il primato della democrazia sovrana e l’affermazione di parametri di civiltà deputati a divenire negli anni a venire il leitmotiv della politica interna ed estera della leadership russa. La seconda ha pesantemente impattato sul corso politico-economico, presentandosi come una sfida titanica per Putin e il suo sistema di potere.

Per una circoscrizione elettorale paneuropea

Il Parlamento europeo ha già avviato i lavori per proporre una riforma della legge elettorale europea in modo che idealmente possa essere applicata già per le elezioni del 2024: un’iniziativa legislativa di cui ho l’onore di essere il relatore.
Esistono molti motivi per cui questa riforma è auspicabile, dopo quella intrapresa nel 2015 e che finora non è entrata in vigore. Da un lato, le elezioni del Parlamento europeo continuano a non avere una procedura elettorale uniforme, come sarebbe invece possibile secondo il Trattato, il che genera una serie di difformità significative, ad esempio quando si tratta di presentare le candidature, che rispondono a requisiti diversi nei diversi Stati, o in merito alla durata della campagna, ai giorni scelti per le votazioni, ai metodi di attribuzione dei seggi, all’età per esercitare il suffragio attivo e passivo ecc.

Quali condizioni per un maggiore ruolo internazionale dell’Unione Europea?

Al momento del suo insediamento, nell’autunno 2019, la nuova Commissione aveva proposto un programma di lavoro ambizioso e impegnativo: contrasto del cambiamento climatico e transizione energetica (il Green Deal); più digitalizzazione; più investimenti in infrastrutture fisiche e immateriali; più attenzione alla dimensione sociale; un’autentica politica migratoria comune. Ma aveva anche evocato la necessità di sviluppare una dimensione geopolitica, con l’ambizione di riportare l’Europa al rango di protagonista della governance globale. Poi è arrivato il Covid, che ha colpito pesantemente l’Europa e ha modificato il programma e l’agenda della UE.

Il crocevia dell’economia europea

L’UE è di fronte a un punto di svolta decisivo, come già avvenuto altre volte nella sua storia. E non vi sono dubbi che la posta in gioco sia in questa occasione davvero elevata. Se l’Unione riuscirà a gestire una rapida e positiva fuoriuscita dalla drammatica crisi pandemica avviando una fase di sviluppo, questo rafforzerà in modo significativo l’area euro e il processo di integrazione europea. In alternativa, di fronte a difficoltà persistenti e al riprodursi delle divisioni e divergenze del passato, tra e all’interno dei paesi, il rischio di frammentazione e addirittura di implosione dell’Unione potrebbe divenire una concreta possibilità.

Senza i britannici, una svolta federale?

L’Unione europea deve ancora fare i conti con la Brexit. Senza dubbio la gestione della secessione del Regno Unito è stata molto costosa a livello di tempo e di sforzi a partire dal 2015, quando il primo ministro Cameron lanciò la sua rinegoziazione dei termini di adesione della Gran Bretagna. Queste vicende ci hanno lasciato molto su cui riflettere: l’uscita non sollecitata dall’Unione europea di uno Stato membro ricco e potente segna la fine della classica strategia di espansione e armonizzazione fra i paesi, formulata per la prima volta in occasione del vertice dell’Aia del 1969. La Brexit ha sconvolto la missione storica dell’Unione europea, quella di formare una «unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa», che sembra oggi impossibile.

2020, l’anno della pandemia e della solidarietà

Quando la pandemia da Covid-19 è arrivata in Europa non esisteva ancora un accordo tra Parlamento e Consiglio dell’Unione europea sul bilancio dell’UE per i sette anni successivi. Gli stessi membri del Consiglio dell’UE non avevano raggiunto ancora un consenso sul bilancio per il finanziamento delle priorità politiche dell’Unione, su cui si era invece già ottenuto il consenso.
In linea con la richiesta del Parlamento europeo, la Commissione ha rivisto la sua proposta per il quadro finanziario pluriennale 2021-27 (QFP 2021-27) al fine di assicurare la ripresa economico-sociale dell’Europa. Ma questo non bastava.

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