Italianieuropei 2/2018
Italianieuropei 2/2018

In questo numero


Il nuovo numero di Italianieuropei ha al centro due temi cruciali: il dopo voto, con il terremoto che ha provocato, e il ricordo del 25 aprile. Non a caso in copertina c’è una ragazza che sta ruotando su una giostra sia per indicare la felicità della Liberazione sia per indicare come la giostra possa essere oggi l’immagine dell’Italia politica.

La rubrica sull’analisi del voto raccoglie numerose voci anche tra loro divergenti e l’intervento di politici (Massimo D’Alema, Gianni Cuperlo, Massimo Mucchetti e Marco Follini), intellettuali (Nadia Urbinati, Onofrio Romano, Marco Almagisti, Paolo Graziano, Michele Ciliberto, Alessandro Campi, Ida Dominijanni) e giornalisti stranieri da tempo in Italia come Eric Jozsef e Tobias Piller.

La riflessione sulla Resistenza e sul revisionismo antiresistenziale include contributi di Luciano Canfora, David Bidussa, Agostino Giovagnoli, Simona Colarizi e Filippo Focardi. La rivista dedica, come di abitudine, una parte alle recensioni e un ritratto di Liliana Segre, neosenatrice a vita. Anche in questo numero con Paolo Soldini e Aldo Garzia ci occupiamo del Sessantotto con le storie dei due leader più prestigiosi del tempo: Rudi Dutschke e Tom Hayden.

il Sommario

l' Editoriale

gli Articoli

Agenda. La valanga del 4 marzo

Le radici della sconfitta

di Gianni Cuperlo

La sconfitta non ha precedenti. Per la sinistra nel suo complesso è il dato peggiore nella storia dell’Italia repubblicana. La cartina del paese riprodotta per giorni, quello stivale bicolore, non si vedeva dai tempi del referendum Monarchia-Repubblica. Colpisce la mobilità del consenso. Il 40% delle europee 2014 tradotto nel 18% di ora. Una caduta verticale che si colloca nel solco di una regressione costellata di tappe. Oltre 12 milioni i voti raccolti da Veltroni alle politiche del 2008. Un terzo in meno quelli di Bersani cinque anni fa. Poco più di sei quelli del 4 marzo. Nel mezzo elezioni regionali finite male, nell’esito e prima ancora nell’indice di partecipazione come in Emilia a fine 2014. Le sconfitte a Torino, Roma, Genova. A Napoli l’esclusione dal ballottaggio per la seconda volta di seguito. E sullo sfondo i 19 milioni di No al referendum costituzionale.

Agenda. La valanga del 4 marzo

La nuova sedazione del Sud

di Onofrio Romano

“È finita un’epoca”, come s’usa dire. Si è chiusa per il Sud la stagione della speranza nella possibilità di trovare un posto tutto suo nel grande gioco dell’economia europea e globale, grazie a quel “rimbocchiamoci le maniche” che ha funzionato da motto-architrave per l’immaginario di sviluppo degli ultimi trent’anni – ormai quasi quaranta, per la verità – e che ha avuto il centrosinistra come principale interprete. Il lamento sulla “scomparsa del Sud” dall’agenda politica nazionale, in questa medesima stagione, scivola via come una lacrima di coccodrillo: se l’idea cardine coincide con l’auto-attivazione, ogni “politica per il Sud” decade in automatico o si trasforma in puro lubrificante delle traiettorie intraprese dai singoli attori e dai singoli territori. Il leghismo non ne è la causa, ne è solo un altro effetto. Il grottesco è che i primi a lamentarsene oggi (della scomparsa) sono proprio coloro che negli anni passati non hanno predicato altro che la buona novella dell’auto-attivazione.

Agenda. La valanga del 4 marzo

Democrazia oltre la divisione destra/sinistra

di Nadia Urbinati

Molto è stato detto e scritto sull’esito delle elezioni del 4 marzo scorso, una sconfessione senza appello dei piani di chi aveva voluto questa legge elettorale. Quella che è conosciuta come Rosatellum è stata concepita in vista di due obiettivi: la formazione di una maggioranza certa e, come piano B, una possibile alleanza tra Forza Italia e Partito Democratico, con l’obiettivo nemmeno troppo implicito di mettere nell’angolo il Movimento 5 Stelle, la lista più temuta sia da Silvio Berlusconi che da Matteo Renzi. Temuta non soltanto perché il M5S ha dimostrato di essere in grado di ottenere una progressione di spettacolari risultati, ma anche perché si è rivelato capace di attirare lo scontento proveniente da ogni parte, grazie a una calcolata retorica anti establishment. I timori di Renzi e Berlusconi erano realistici. Le elezioni del 4 marzo sono state un terremoto dal quale entrambi avranno difficoltà a risollevarsi. Se Berlusconi ha perso essenzialmente a destra, con un travaso di voti alla Lega di Matteo Salvini, il partito di Renzi ha perso su entrambi i fronti, cedendo voti a destra e ai pentastellati. Una Caporetto senza all’orizzonte il riscatto eroico di un esercito entusiasta con alla guida un Diaz.

Agenda. La valanga del 4 marzo

Cartoline dalle elezioni italiane

di Marco Almagisti e Paolo Graziano

Nel 1995 venne pubblicato un saggio postumo di Christopher Lasch intitolato “La rivolta delle élite. Il tradimento della democrazia” in cui si denunciava la progressiva autoreferenzialità delle élite politiche ed economiche americane. L’analisi di Lasch era riferita al contesto statunitense, ma il dibattito a cui diede vita il suo contributo mostrò la validità più generale della sua diagnosi. Le elezioni italiane del 4 marzo 2018 hanno sancito la vittoria di due partiti che, in forme diverse, hanno incarnato o incarnano la rivolta dei cittadini (non delle masse, per riprendere un altro famoso contributo di Ortega y Gasset del 1930). Cittadini, non masse, perché il risultato della Lega (non più Nord) e del Movimento 5 Stelle rappresenta un indubbio successo di formazioni politiche che si sono sviluppate a partire dalla critica radicale al cosiddetto “establishment” (prima “Roma ladrona” in un caso, poi “la casta” nell’altro). La Lega ha quadruplicato i voti rispetto al 2013, mentre l’avanzata del Movimento 5 Stelle è stata più contenuta (+5%) ma solo perché partiva da un eccellente risultato elettorale del 2013.

Agenda. La valanga del 4 marzo

4 marzo, l’ultimo anello di una sciagurata catena

di Michele Ciliberto

Di mestiere faccio lo storico della filosofia, e tendo a comprendere le situazioni, e quindi anche l’esito elettorale del 4 marzo, in questa chiave. A mio parere, è il punto di approdo, certo provvisorio, di una lunga fase della storia italiana che – volendo proporre una periodizzazione – comincia con gli anni Novanta, quando la magistratura e la Lega distruggono un intero sistema politico: quello, come è invalso dire con una espressione sommaria, della prima Repubblica.

Ma il problema è più profondo: in effetti, in quegli anni, andava in crisi, per non più sollevarsi, tutta l’architettura politica e costituzionale generata dalla cultura dell’antifascismo e soprattutto iniziavano a incrinarsi i pilastri della democrazia rappresentativa nel nostro paese. Anche in questo caso si trattava di un processo che veniva da lontano, dalla seconda metà degli anni Settanta: è allora che le forze di sinistra persero una guerra campale, con effetti profondi su tutto quello che sarebbe accaduto nei decenni successivi.

Agenda. La valanga del 4 marzo

C’è vita a sinistra oltre il destino neoliberale?

di Ida Dominijanni

Ho capito che le cose sarebbero potute andare come poi sono andate su un treno per la Sicilia, i primi di febbraio. Davanti a me chiacchieravano una donna pugliese trapiantata in Veneto e un uomo napoletano, entrambi, a occhio, attorno ai quarant’anni. L’una spiegava perché avrebbe votato Lega: motivazioni d’antan, contro il Sud immobile e assistito (“lo dico da meridionale”), e motivazioni salviniane, “prima gli italiani poi i migranti”. L’altro spiegava perché avrebbe votato M5S: perché a Sud va tutto a rotoli, ed è ora di mandare tutti a casa. Non erano sorprendenti questi discorsi, in sé non nuovi, bensì la pacata complicità con cui si prendevano a braccetto, invece di fare scintille come spesso accade fra meridionali e settentrionali. Ho avuto in quel momento la sensazione precisa che il 4 marzo lo scontento del Nord e quello del Sud avrebbero potuto sommarsi senza contraddirsi, come in una sorta di blocco storico al servizio non della rivoluzione di gramsciana memoria ma più modestamente di un perentorio “basta così”.

Agenda. La valanga del 4 marzo

Perché è di destra l’uomo che ha sconfitto Berlusconi

di Alessandro Campi

Tra gli effetti prodotti dal risultato elettorale c’è anche la fine del centrodestra (pure risultato vittorioso come coalizione) per come lo abbiamo conosciuto nell’arco di quasi venticinque anni. Il sorpasso della Lega a danno di Forza Italia ha infatti determinato il venir meno di uno storico equilibrio di potere, in virtù del quale l’area cosiddetta “moderata” aveva in Berlusconi il suo indiscusso e inamovibile leader. Del centrodestra come formula d’alleanza e come blocco politico-elettorale, del resto, quest’ultimo è stato l’inventore, allorché gli riuscì di mettere e tenere insieme nelle elezioni del marzo 1994, grazie alle sue capacità di mediatore, alla sua forza patrimoniale e al suo oggettivo carisma, il partito nordista guidato da Bossi, all’epoca oscillante tra un programma confusamente federalista e tentazioni pericolosamente secessioniste, e la destra postfascista di Fini, che di lì a poco sarebbe passata attraverso il lavacro purificatore di Fiuggi con l’idea di trasformarsi in un partito nazional-conservatore sul modello di analoghe esperienze europee. Un’aggregazione originale, mai sperimentata prima nella politica italiana, ma destinata da allora in poi a una grande fortuna.

Agenda. La valanga del 4 marzo

Le ragioni della nostra Waterloo

di Massimo Mucchetti

Quale può essere il commento della sinistra sulla sua Waterloo del 4 marzo? E quali lezioni ne può trarre? La risposta alla prima domanda si articola nell’analisi dei cambiamenti della politica e della società, indotti dalla tecnologia, dall’economia e dalla politica stessa. La risposta alla seconda domanda si articola anch’essa su due piani. Il primo è costituito dal posizionamento e dalla leadership dei partiti della sinistra, il secondo dalla azione di governo possibile per la sinistra, ma mi verrebbe da dire per la politica democratica in generale. L’analisi non può non partire da un fatto incontestabile: il risultato elettorale del PD e di LeU cala una pietra tombale sul ceto politico che si era formato nella prima Repubblica alle scuole, un tempo concorrenti, della DC e del PCI. Questo risultato completa la rottamazione dei partiti di massa novecenteschi, iniziata nei primi anni Novanta con la critica radicale del parlamentarismo, sottesa al referendum di Mario Segni, e con le inchieste giudiziarie di Mani pulite o, per essere più precisi, con la gestione politica di quelle inchieste da parte delle classi dirigenti ex comuniste ed ex democristiane.

Agenda. La valanga del 4 marzo

C’è chi ha votato per il paese della cuccagna

di Tobias Piller

L’Italia ha votato protestando, ma ha votato anche per il paese della cuccagna. E questo è un problema. Pesa non solo l’incompatibilità tra le promesse della Lega e del Movimento 5 Stelle, tra la flat tax della Lega e il reddito di cittadinanza dei 5 Stelle. Ci sono tante promesse ed esternazioni contraddittorie nei programmi dei vincitori che le rendono irrealizzabili e dunque non credibili. Come può il segretario della Lega, Matteo Salvini, dire nella stessa frase che se ne infischia di spread e speculatori e vuole avere un deficit più alto del 3% del PIL, in barba alle regole dell’Europa, visto che il suo programma di riduzione delle tasse in deficit presuppone un aumento del debito pubblico e la presenza di tanti investitori disponibili a comprare titoli di Stato? Come possono i 5 Stelle promettere un reddito per tutti gli incapienti se non esiste una struttura dello Stato per amministrare questo programma? Come possono promettere più crescita e meno debito se il reddito di cittadinanza rappresenta un forte disincentivo al lavoro e non crea né produttività né competitività per l’Italia? Tante promesse irrealistiche e poco realizzabili porteranno l’Italia o verso una crisi di sopravvivenza economica o verso una forte frustrazione degli elettori.

Agenda. La valanga del 4 marzo

Una classe dirigente finita

di Marco Follini

Nessuno di noi può ragionevolmente dire: l’avevo previsto. Ma quello scricchiolio che annunciava un profondo rivolgimento politico ed elettorale si sentiva già da un po’. E soprattutto se ne sentiva l’accentuarsi nelle ultime settimane. Non era tanto il frastuono che annunciava l’arrivo delle armate della rabbia e della protesta, con le loro bandiere al vento. Era semmai il suono sinistro del cedimento di quasi tutte le giunture del palazzo, con la sua architettura apparentemente imponente e con la sua fragilità strutturale.

Sotto questo profilo, il risultato elettorale non lascia margini al dubbio. È una sentenza di condanna della classe dirigente che s’è trovata alla guida in tutti questi anni. Una condanna particolarmente severa verso Renzi e il Partito Democratico, ma quasi altrettanto verso Berlusconi e la sua illusione di eternità. Il campo “centrista”, quello su cui si poteva scommettere in previsione di uno scenario di coalizione alla tedesca, ne viene sconvolto. Cosa che può indurre a una mediocre soddisfazione, dati i molti demeriti di questa compagnia di giro. Ma che forse dovrebbe indurci a una riflessione più profonda e accorata sul percorso che abbiamo intrapreso, tutti noi. Compresi quelli più critici verso la direzione politica che si è presa.

Agenda. La valanga del 4 marzo

L’Europa matrigna e i suoi orfani

di Eric Jozsef

Nel 2014, il socialista François Hollande, eletto due anni prima alla presidenza della Repubblica francese affermò: «sarò di nuovo candidato nel 2017 se nel frattempo l’andamento della disoccupazione si sarà invertito». Alla fine del suo mandato, il tasso dei senza lavoro ha cominciato a calare, ma solo dopo mesi di ulteriore aumento, con la conseguenza politica di provocare, nell’autunno del 2016, la rinuncia del presidente uscente a correre per la riconferma all’Eliseo. Questo avveniva malgrado il miglioramento dello stato di salute delle imprese (aumento degli investimenti e dei margini finanziari), il ritorno della crescita, il potenziamento di vari settori pubblici (dalla scuola alla polizia in seguito agli attentati terroristici), l’attivismo internazionale culminato negli Accordi sul clima di Parigi o ancora l’introduzione della possibilità di sposarsi anche per le coppie della stesso sesso. Insomma, un bilancio al di sotto delle aspettative create nel 2012 ma non del tutto negativo. Di sicuro non così disastroso da provocare sulla carta l’eliminazione di François Hollande dalla scena politica e il crollo del PS sotto il 6,5% dei voti alle presidenziali ottenuto da Benoît Hamon, tra i più critici della “deriva a destra” del partito di governo.

Focus. Vi ricordate quel 25 aprile?

Nuove pagine di storia

di Simona Colarizi

Nessuna ricostruzione storica ha la pretesa di raccontare una verità; piuttosto allo studioso si chiede di avvalersi di tutta la documentazione disponibile attraverso la quale interpretare gli eventi, analizzati senza omissioni e senza stravolgimenti sui significati delle fonti usate. Naturalmente, lo storico non può privarsi della sua identità culturale e dei valori nei quali crede che come è ovvio influiscono e condizionano la sua narrazione. Tanto è vero che esistono diverse correnti storiografiche, marxiste, cattoliche, liberali e di estrema destra. Per gli storici che studiano la contemporaneità il problema delle appartenenze politiche diventa ancora più condizionante, considerando quanto abbiano pesato nel dibattito intellettuale le grandi ideologie totalizzanti del Novecento nonché le appartenenze ai partiti. Inevitabile dunque che i lavori degli storici si siano prestati e si prestino a un uso politico. Così come di uso politico si parla troppo spesso per quanto riguarda il revisionismo storiografico che, se basato su fonti inedite e su bibliografie aggiornate, è invece una modalità necessaria e virtuosa per trasmettere saperi non sclerotizzati nel tempo.

Focus. Vi ricordate quel 25 aprile?

Come discutere la Resistenza

di David Bidussa

Su “The Washington Post” lo scorso 20 febbraio è comparso un lungo editoriale nel quale si sottolineava come in Europa il revisionismo storico stia assumendo le vesti della svalorizzazione della lotta al fascismo. Lo stesso giorno in Italia, il “Corriere della Sera” ha pubblicato un’intervista a Giampaolo Pansa, in cui quest’ultimo affermava, smentendo se stesso, che la storia della Resistenza, così come ci è stata raccontata, è un falso.

È interessante il doppio passaggio: nel primo caso il tema è la rivendicazione della dignità della storia di chi ha perso; nel secondo caso l’affermazione di chi sarebbe legittimato a raccontare il passato, in conseguenza di appartenere, avrebbe detto Prezzolini, alla “società degli apoti”, quelli che non la bevono e che per questo sono inequivocabilmente non solo nel giusto, ma soprattutto nel vero.

Focus. Vi ricordate quel 25 aprile?

Il lascito del revisionismo

di Filippo Focardi

Alla fine del 2006, dopo un quindicennio di tambureggiante revisionismo culturale galvanizzato dalla stagione politica berlusconiana, uno dei più acuti studiosi delle vicende dell’Italia repubblicana – lo storico Giovanni De Luna – affidava a un articolo pubblicato su “La Stampa” l’ammissione di una sconfitta: “Resistenza: hanno vinto i revisionisti”. De Luna riscontrava come ormai su giornali e televisioni imperversassero le “tesi di De Felice”, mentre il mercato editoriale era dominato “dall’infittirsi dei libri di Giampaolo Pansa e Bruno Vespa”.

In effetti, l’azione demolitiva contro l’antifascismo e la Resistenza era stata sistematica: accuse alla Resistenza come sanguinosa guerra civile voluta dai comunisti per attuare i propri progetti rivoluzionari; riduzione dell’8 settembre a “morte della patria” e a “giorno del disonore” anziché inizio del riscatto democratico del popolo italiano; richiesta di “parificazione” – anche legislativa – tra partigiani e “ragazzi di Salò”;

Focus. Vi ricordate quel 25 aprile?

Breve storia antiresistenziale

di Luciano Canfora

È vero solo in parte che il revisionismo antiresistenziale – forse vincente – sia stato uno dei frutti della cosiddetta “seconda Repubblica” (1994-?). È, semmai, il frutto del crollo verticale (e apparentemente improvviso) del “socialismo reale” in Europa. L’autoscioglimento, maldestro e improvviso, del PCI, la fine plateale dell’URSS, il trionfo anche a sinistra dell’“atlantismo” hanno dato fiato (e tra un po’ saranno ormai trent’anni) a una rilettura radicale del ventennio fascista (rilettura cui necessariamente avevano dato avvio, su un piano scientifico ma anche pubblicistico banalizzatore, gli studi di Renzo De Felice e dei suoi scolari sul “consenso di massa” al fascismo, e ciò a partire almeno dai primi anni Settanta del Novecento).

Focus. Vi ricordate quel 25 aprile?

Tramonto dell’antifascismo e resa delle classi dirigenti italiane

di Agostino Giovagnoli

Nell’Italia del 2018 il fascismo è tornato a essere un problema: azioni violente compiute da militanti fascisti, propaganda da parte di organizzazioni fasciste, apologia di fascismo più o meno esplicita ecc. È accaduto con l’aggressione di Como contro volontari che si occupano di accoglienza agli immigrati; a Macerata, quando qualcuno ha sparato indiscriminatamente contro gli stranieri; a Rimini, con i simboli del ventennio esibiti senza censure e via dicendo. È inevitabile chiedersi se istituzioni, forze politiche, società italiana siano diventate troppo tolleranti o addirittura abbiano abbassato la guardia nei confronti del fascismo. Da quasi un secolo in Italia fascismo è sinonimo di illibertà e antifascismo di democrazia. L’attuale declino dell’antifascismo coincide con un declino della democrazia nel nostro paese?

Il racconto

Il disertore

di Flavia Ganzenua

Il bosco è talmente fitto, compatto che pare caderti addosso. S’infittisce via via che precipita dalla montagna, è una valanga, e poi si arresta di colpo. Gli alberi sembrano aver perso il coraggio di attraversare il fiume proprio all’ultimo momento e sono tutti ammassati, tutti piegati in avanti. Si dice che fossero soldati in fuga e che un incantesimo li abbia trasformati in alberi. Il bosco è pieno di spettri, animali, uccelli, di uomini che ci si sono persi, di bosco a cui il bosco è cresciuto tutto quanto intorno.

Io sono uno di quelli che ci si sono persi, uno di quelli che sono rimasti indietro, ben nascosti, e che hanno fatto finta di essere già morti, quando li hanno voltati per finirli con un colpo in testa – indietro, ben nascosto, aggrappato agli alberi che erano venuti giù, reti pietose che trattenevano a stento vestiti, scarpe, copertoni delle auto, li strappavano all’ingordigia del fiume, saccheggiavano il suo bottino di guerra.

I fatti. Mondo

Brasile: elezioni e violenze

di Simona Bottoni

A pochi mesi dall’apertura ufficiale della campagna elettorale per le presidenziali del 2018 la crisi politica in Brasile è ancora profonda e quella economica, cui si sperava di porre rimedio con la destituzione della presidente Dilma Rousseff per impeachment nell’aprile 2016, è ancora in corso. Nel marzo 2017 l’ex presidente della Camera Eduardo Cunha è stato condannato a 15 anni e 4 mesi di carcere per aver ricevuto tangenti su conti all’estero, per riciclaggio di denaro e per evasione fiscale nell’ambito dell’operazione Lava Jato. Michel Temer, esponente del Partito del Movimento Democratico Brasiliano (PMDB), come Cunha, e attuale presidente, in coalizione col Partito della Socialdemocrazia Brasiliana (PSDB) – principale forza di centrodestra del paese – è anche lui indagato nell’ambito dell’inchiesta Lava Jato. Con l’accusa di aver ricevuto 38 milioni di real (11,55 milioni di dollari) dalla JBS, la maggior impresa di lavorazione della carne del paese, si è dichiarato innocente e ha rifiutato di dimettersi per poi scampare alla destituzione grazie al voto della Camera che ha respinto la richiesta di impeachment.

I fatti. Quando la storia eravamo noi

Le parole di don Tonino Bello

di Gianni Di Santo

«Dimmi, marocchino. Ma sotto quella pelle scura hai un’anima pure tu? Quando rannicchiato nella tua macchina consumi un pasto veloce, qualche volta versi anche tu lacrime amare nella scodella? Conti anche tu i soldi la sera come facevano un tempo i nostri emigranti? E a fine mese mandi a casa pure tu i poveri risparmi, immaginandoti la gioia di chi li riceverà? È viva tua madre? La sera dice anche lei le orazioni per il figlio lontano e invoca Allah, guardando i minareti del villaggio addormentato? Scrivi anche tu lettere d’amore? Dici anche tu alla tua donna che sei stanco, ma che un giorno tornerai e le costruirai un tukul tutto per lei, ai margini del deserto o a ridosso della brughiera? Mio caro fratello, perdonaci. Anche a nome degli ottocentomila emigrati clandestini come te, che sono penetrati in Italia con le astuzie della disperazione, e ora sopravvivono adattandosi ai lavori più umili

Le persone. Donne da cui dobbiamo imparare

Liliana Segre, attraverso l’indicibile nel silenzio.

di Vichi De Marchi

Le grandi tragedie spesso si annunciano in modo banale o discreto, comunque incomprensibile.
Nel bel salotto borghese di Corso Magenta 55, a Milano, dove vive la famiglia Segre, la piccola di casa, super coccolata e viziata da nonni e papà, a otto anni apprende che, a ottobre, non potrà tornare alla sua scuola di via Ruffini. Le leggi razziali hanno deciso per lei, piccola ebrea, l’allontanamento da tutte le scuole pubbliche. Nelle numerose e ricchissime testimonianze sulla sua esistenza di sopravvissuta ai campi di concentramento e alla Shoah, Liliana Segre, la neo senatrice a vita, ricorda quella come la vera cesura tra una vita borghese e l’orrore della guerra e dello sterminio. È un momento fugace, è una notizia forse neppure spiegata per intero alla bambina Liliana, ma che segna l’inizio di una tragedia insieme collettiva, familiare e individuale.

Le persone. Chi l'ha visto?

David Cameron: ricco, predestinato, fallito

di Domenico Cerabona

Questa è la storia di un predestinato, di un giovane rampollo di buona famiglia, che è diventato uno degli uomini più potenti del mondo in pochissimo tempo e che sembrava pronto a trasformarsi in uno dei più importanti primi ministri della storia della Gran Bretagna. Invece, nel volgere di pochi mesi, è diventato un vero e proprio reietto, che sarà ricordato per aver condotto il suo paese in un baratro. Parliamo di David Cameron, ex leader conservatore e primo ministro di Sua Maestà dall’11 maggio 2010 sino al 13 luglio 2016. Ma andiamo con ordine.

Il giovane David nasce a Londra il 9 ottobre del 1966, da una ricchissima famiglia: il padre è un celebre investitore della City, mentre la mamma fa parte di una antichissima e nobile famiglia inglese. Cameron può vantare così una discendenza diretta da niente di meno che un re di Inghilterra, Guglielmo IV (il nonno della più famosa regina Vittoria).

Le persone. I protagonisti del Sessantotto

Rudi il più rosso

di Paolo Soldini

A Berlino c’è una Rudi-Dutschke-Straβe. È nel quartiere di Kreuzberg, vicino al vecchio confine segnato dal Muro, e fa angolo con la Axel-Springer-Straβe. Chiunque conosca un po’ la storia della Germania del dopoguerra e chiunque abbia qualche frequentazione della memoria del Sessantotto è in grado di apprezzare il valore simbolico di quella vicinanza. Non sappiamo se essa fu voluta consapevolmente dall’amministrazione di sinistra che prese la contestata decisione di accogliere Rudi il rosso nella toponomastica cittadina. Forse sì, forse fu un caso. Resta il fatto che quella topografia racconta due storie che si intrecciarono drammaticamente proprio lì, a due passi dal grattacielo che Axel Springer, l’editore, il capitalista d’assalto, il crociato della libertà occidentale contro comunisti e anarchici d’ogni bandiera, aveva fatto costruire a ridosso del Muro, cosicché ogni berlinese dell’Est alzandosi la mattina e andando a letto la sera vedesse che c’era e che cosa stava lì a rappresentare.

Le persone. I protagonisti del Sessantotto

Tom Hayden, icona della rivolta americana

di Aldo Garzia

Il Sessantotto statunitense coincide con l’assassinio di Bob Kennedy. Le proteste degli studenti – a differenza di quanto accadde in Europa – erano già esplose nel settembre 1964 con la rivolta di Berkeley (indimenticabile il film “Fragole e sangue” del 1970 di Stuart Hagmann, che ricostruisce una vicenda di quel movimento ambientandola a San Francisco e descrive il pestaggio dei manifestanti da parte della polizia mentre ritmano la canzone “Give peace a chance” scritta da John Lennon). Nel 1965 l’assassinio di Malcom X, leader del movimento degli afroamericani, aveva gettato ulteriore benzina sul fuoco della ribellione contro le discriminazioni razziali, la guerra in Vietnam, la fragilità dei diritti civili e di libertà. Tom Hayden (Detroit 1930-Santa Monica 2016), di origini irlandesi, è stato uno dei leader di quel movimento degli studenti e dei diritti civili fin dall’inizio. Poco più che ventenne, era già entrato a far parte dell’organizzazione antiapartheid Freedom Riders.

Le recensioni di Italianieuropei

Il populismo come moralismo della politica

di Nestore Pirillo

Un’ombra della democrazia

Il testo di Jan-Werner Müller, “Che cos’è il populismo?”, recentemente tradotto in Italia con una nota di Nadia Urbinati, rende conto, sottotraccia, della crisi europea e italiana della sinistra. L’autore, professore di Teoria politica all’Università di Princeton, risale ai nessi che tengono insieme il linguaggio, il pensiero e l’azione dei populisti e propone una comprensione politica del fenomeno così come è emerso negli ultimi anni, favorito da «particolari circostanze storiche ». Segnatamente, Müller si prefigge di cogliere le «preoccupazioni degli elettori populisti», nella congiunzione con i gruppi dirigenti, intendendole non come «casi patologici di uomini e donne spinti da frustrazioni, rabbia e risentimento» ma come aspettative di «cittadini liberi e uguali». Una tale comprensione, a suo avviso, costituisce un compito urgente della sinistra, mentre variamente in Europa e nel Nuovo Mondo sembra dissolversi la democrazia dei partiti. Per tali motivi la lettura del libro appare interessante non solo per gli studiosi ma anche per gli osservatori, i militanti e i dirigenti politici.

Le recensioni di Italianieuropei

La storia d’Italia nel romanzo della sua canzone

di Eugenio Marino

Che cos’è stata l’Italia dal secondo dopoguerra fino agli anni Duemila? Da dove venivamo e dove stavamo andando? Cos’erano e cosa volevano gli italiani? Chi li rappresentava e come? Sembrerebbero domande da storico, o da politico. E forse lo sono. Ma le risposte non necessariamente vanno cercate solo nei libri di storia, nei programmi dei partiti o nell’azione dei governi. Spesso queste risposte possono trovarsi dove uno non le immagina. Ad esempio nella musica. Sì, perché l’Italia è il paese della musica, il paese dove tutti, storicamente, cantavano: nei mercati, durante i lavori domestici, nelle botteghe degli artigiani, sotto la doccia, ai matrimoni, intorno a un fuoco sulla spiaggia, nelle cene tra amici, sotto le finestre delle innamorate, nelle feste dei patroni, sui luoghi di lavoro, durante gli addestramenti militari o nelle marce di guerra (soprattutto della Resistenza), a scuola. E si cantava di tutto: dalle canzoni d’amore a quelle politiche e di protesta, dagli stornelli a dispetto a quelli satirici, dalle canzoni dal linguaggio aulico a quelle dialettali.

Dizionario civile

Rabbia

di Donatella Di Cesare

Sulla rabbia pende da secoli un duplice giudizio. Da un canto è vista come quell’impeto che acceca, fa perdere il lume della ragione, la lucidità e l’autocontrollo, dall’altro viene indicata come la risposta inevitabile, e per certi versi necessaria, a un’offesa subita, a un torto, a un’ingiustizia. Inibire, dunque, la rabbia o assecondarla? Reprimerla del tutto o tentare di gestirla?

L’interrogativo riguarda tutte le passioni che non si possiedono, ma dalle quali si è posseduti. L’ira epica di Achille, con cui si apre l’“Iliade” e si inaugura la letteratura europea, sembra scaturire da un’origine divina, provenire da un’energia primaria e inesplicabile. È perciò vano pretendere di sottrarsi a quella forza che scuote il corpo e fa ribollire il sangue. Si capisce perché sia andata prevalendo l’esigenza di contenere e indirizzare una passione che, se ripiegata su di sé, può avere conseguenze esiziali suscitando risentimento o provocando ritorsione. In breve, se altre passioni, tristi o non tristi, hanno uno stigma negativo, la rabbia, condannata nei suoi eccessi, viene giustificata, e anzi ritenuta giusta se, al momento opportuno e nei modi dovuti, reagisce a una sopraffazione, argina uno strapotere, ripristina l’equilibrio.