Italianieuropei 2/2014
Italianieuropei 2/2014

Agenda

Un nuovo welfare per la crescita

Focus

Comunicazione politica 2.0

In questo numero

Il voto di maggio deciderà quale sarà la direzione che prenderà l’Europa del prossimo futuro. Speriamo sia un’Europa diversa da quella che conosciamo, più democratica e inclu­siva, che metta al centro della sua azione crescita, lavoro e innovazione. È questa L’Europa che vogliamo.

il Sommario

l' Editoriale

L'Europa che vogliamo

L’Europa che va al voto nel prossimo mese di maggio è, come non mai, un’Europa attraversata da un profondo e drammatico malessere sociale e da un’incertezza sul suo futuro, da una preoccupante diffidenza nelle sue classi dirigenti politiche e nelle sue istituzioni, sia nazionali che comunitarie. Mentre il mondo si è rimesso in movimento, nel tentativo di uscire dalla più grave crisi economica, finanziaria e sociale del dopoguerra, l’Europa stenta a ripartire.

gli Articoli

Prima Pagina. L'Europa che vogliamo

Maggio: per l'Europa è tempo di cambiare

di Martin Schulz

Mentre gli ucraini sulle barricate sognano l’Europa della democra­zia e dei diritti, gli svizzeri mettono in discussione uno dei principi cardine dell’integrazione, la libera circolazione delle persone. Questa contraddizione ci invita a riflettere sulle luci e le ombre del progetto europeo, sui molti traguardi raggiunti – fra i quali senza dubbio bisogna includere la moneta unica – e su un’eccessiva ossessione per freddi target e meccanismi intergovernativi, che antepongono la som­ma degli interessi nazionali alla ricerca del bene comune. Di fronte alla crisi di fiducia dei cittadini europei, che si manifesta anche nella diffusione di movimenti euroscettici, non è più possibile preservare lo status quo e continuare a ignorare il vacuum democratico che caratte­rizza le istituzioni europee.

Prima Pagina. L'Europa che vogliamo

Verso una dimensione politica dell'UE

di Roberto Gualtieri

La scelta del presidente della Commissione europea sulla base del ri­sultato delle elezioni e dell’indicazione da parte dei partiti politici europei dei rispettivi candidati può innescare un circolo virtuoso tra legittimazione democratica delle istituzioni dell’Unione e progressiva costruzione di un vero sistema politico europeo. La concreta possibi­lità che alla presidenza della Commissione venga eletta, inoltre, sulla base di una piattaforma programmatica ambiziosa, una figura dallo spiccato profilo europeo come Martin Schulz può offrire ai Socialisti e democratici l’opportunità di assumere la guida del rilancio in senso progressista del processo di integrazione.

Prima Pagina. L'Europa che vogliamo

Il Parlamento che odia se stesso

di Mark Leonard

Lo scetticismo nei confronti dell’Unione europea si sta espandendo in maniera preoccupante, come dimostrano l’alleanza antieuropea tra Marine Le Pen e Geert Wilders e il loro tentativo di coinvolgere diversi altri partiti della destra europea in quella che, nelle loro in­tenzioni, costituirebbe una campagna per la liberazione dal giogo di Bruxelles. Tuttavia, anche la sinistra non è esente da queste tendenze e, nonostante gli analisti siano ancora diffidenti sulla gravità del­la situazione, i blocchi euroscettici sono i favoriti nei sondaggi sulle prossime elezioni, soprattutto perché traggono vantaggio dalla crisi dell’euro e dalle conseguenti politiche di austerità. Il rischio è quello di eleggere un Parlamento che odia se stesso e che, in definitiva, desi­dera la propria abolizione e di aprire così la strada a uno shutdown dell’Europa.

Prima Pagina. L'Europa che vogliamo

Gli europartiti e la designazione del presidente della Commissione

di Luciano Bardi

Le prossime elezioni europee, le prime a tenersi dopo lo scoppio del­la crisi economica internazionale, rischiano di essere un referendum contro l’Europa a causa del dilagante euroscetticismo, sia di quello tradizionale sia di quello cosiddetto “selettivo”, rivolto non tanto con­tro le istituzioni sovranazionali quanto contro gli altri Stati membri. Eppure, proprio questa minaccia euroscettica potrebbe contribuire ad accelerare la ricerca degli strumenti atti a porre rimedio al deficit de­mocratico dell’Unione. In questo contesto, l’indicazione del candidato alla presidenza della Commissione europea da parte di ogni europar­tito potrebbe avere un impatto significativo sul processo di politiciz­zazione del sistema partitico europeo, della dialettica parlamentare e dei rapporti fra Commissione e Parlamento. Gli effetti di questa innovazione dipenderanno però in larga parte dall’esito elettorale e si mostreranno probabilmente solo nel lungo periodo.

Prima Pagina. L'Europa che vogliamo

L'afasia dei partiti europeisti e l'orizzonte strategico che ancora non c'è

di Valeria Fargion

La debolezza del ruolo dei partiti nel processo di decision-making europeo affonda le sue radici negli anni Cinquanta, nella matrice originaria del progetto comunitario, quando ogni ipotesi di integra­zione politica era da considerarsi assolutamente impraticabile. Oggi potremmo essere alla vigilia di un’inversione di tendenza, a patto che i partiti nazionali sappiano ribaltare la prospettiva, funzionale alle dinamiche di politica interna, che ha determinato finora la scelta dei candidati al Parlamento europeo e siano in grado di elaborare una strategia di interessi comuni capace di riassorbire la frattura tra Nord e Sud dell’Europa.

Agenda. Un nuovo welfare per la crescita

La crescita prima delle regole

di Marianna Madia

Il mercato del lavoro è molto cambiato negli ultimi anni, ma le riforme che hanno segnato questo cambiamento non sono state in grado di creare un efficace sistema di sostegno al reddito e di politiche attive per la promozione dell’occupazione, né tantomeno di favorire la crescita economica. Prima di intervenire sulle regole sarebbe perciò opportuno, da un lato, agire sull’infrastruttura materiale e amministrativa del paese, dall’altro, promuovere i settori che possono creare più posti di lavoro. Solo allora si potrà mettere mano alle regole secondo un’ottica di integrazione dei vari livelli istituzionali (Stato, Regioni, Province) e definire un insieme di interventi che accompagnino davvero il lavoratore nella ricerca di una buona occupazione.

Agenda. Un nuovo welfare per la crescita

La funzione preziosa del welfare state

di Massimo D'Antoni e Ronny Mazzocchi

Le gravi conseguenze della crisi finanziaria scoppiata nel 2008 hanno fatto sembrare a molti il modello sociale europeo incompatibile con le esigenze di risanamento delle finanze pubbliche e di competizione internazionale imposta dalla globalizzazione. Le analisi degli economisti hanno tuttavia dimostrato non solo che non vi è nesso tra maggiore spesa sociale e minore crescita economica, ma che in società più diseguali si vive peggio e si produce meno ricchezza. D’altronde, la spesa sociale assolve, oltre a quella redistributiva, anche una funzione assicurativa indispensabile per incoraggiare a sostenere dei rischi e incentivare l’intraprendenza. Nell’attesa, purtroppo prevedibilmente ancora lunga, che si possa finalmente avviare un welfare europeo, è quindi bene preservare con forza i sistemi di protezione sociale nazionali.

Agenda. Un nuovo welfare per la crescita

Il welfare state come volano di sviluppo economico e sociale

di Roberto Artoni

Tutti i paesi sviluppati hanno fatto registrare, dall’inizio della crisi, un aumento delle spese per la protezione sociale. Invece di considerare questo fenomeno come fisiologico e quindi da non contrastare, si è reagito con scelte di rigore e con proposte di riforma che vanno in senso contrario rispetto a quello che ha guidato la costruzione del welfare state in Europa e che, piuttosto che migliorarla, hanno aggravato la situazione. Il recupero di un’ispirazione non liberista potrebbe, al contrario, contribuire sia al superamento della crisi sia a realizzare un sistema di protezione che torni a essere fattore di progresso sociale.

Agenda. Un nuovo welfare per la crescita

Nella crisi, ancora e più welfare state

di Laura Pennacchi

Sebbene la crisi abbia evidenziato la sua superiorità su quello anglosassone, oggi il modello sociale europeo subisce l’attacco di un capitalismo a caccia di nuove occasioni di profittabilità, che individua nell’ambito dei beni pubblici, sociali e comuni su cui insiste il welfare state. Si tratta di una fase nuova dell’aspro e annoso conflitto tra pubblico e privato, che si incardina oggi sulle tante contraddizioni della debole ripresa economica che si prospetta, prima tra tutte quella che ne farà una jobless recovery, una ripresa senza occupazione. Sarebbe invece necessario un intervento politico straordinario trainato dal motore pubblico per creare direttamente lavoro e imprimere così uno slancio all’economia. Un New Deal europeo che rovesci il paradigma dominante: non rilanciare la crescita per generare lavoro, ma creare lavoro per rilanciare la crescita.

Agenda. Un nuovo welfare per la crescita

La non universalità degli ammortizzatori sociali in Italia

di Michele Raitano

Sebbene abbia contribuito a razionalizzare le forme di tutela dei lavoratori, la riforma del 2012 non offre coperture per quelle categorie di lavoratori e di disoccupati che già in precedenza erano fuori dal sistema degli ammortizzatori sociali, ovvero chi, tra i dipendenti, non rispetta i requisiti contributivi di accesso alle indennità, i lavoratori parasubordinati e autonomi, i giovani in cerca di prima occupazione. Offre quindi una protezione parziale e solo contro i rischi di licenziamento dei lavoratori dipendenti, senza alcuna tutela contro tutti i possibili eventi da cui deriva la disoccupazione. Siamo ancora lontani dall’avere un sistema di ammortizzatori sociali e tutele di welfare effettivamente universale.

Agenda. Un nuovo welfare per la crescita

Welfare e Mezzogiorno: caratteristiche antiche e problemi nuovi

di Enrica Morlicchio e Enrico Pugliese

Sebbene il sistema di welfare italiano si presenti fortemente unitario e centralizzato, le diseguaglianze nei livelli di sviluppo tra Nord e Sud e, soprattutto, la fragilità del mercato del lavoro nelle Regioni meridionali condizionano fortemente l’impatto e il funzionamento delle politiche sociali in questa parte del paese. Da ciò scaturisce un welfare che nel Mezzogiorno presenta tratti del tutto peculiari, per quanto concerne sia il tipo di prestazioni offerte, sia le caratteristiche dei beneficiari e le dinamiche sociali e familiari che contribuisce a innescare. Si tratta di una specificità in negativo, difficile da superare senza una crescita robusta che consenta di definire un equilibrio economico e sociale alternativo.

Agenda. Un nuovo welfare per la crescita

La lotta alla povertà: proposte e questioni aperte

di Vito Peragine

L’aumento della povertà causato dalla recessione e dalla crescita delle diseguaglianze è, nel nostro paese, aggravato dalla scarsa capacità redistributiva del sistema fiscale e dalla inadeguatezza delle politiche di contrasto all’indigenza. Il sistema di welfare italiano, che per dimensioni è prossimo alla media europea, è infatti fortemente sbilanciato a favore di vecchiaia e sanità e manca di strumenti di sostegno al reddito ispirati a un principio di universalismo selettivo. Per tentare di colmare questa lacuna è stata recentemente elaborata la proposta di istituire un Sostegno per l’inclusione attiva, che garantirebbe universalità della misura, condizionalità e dimensione individuale. Purtroppo, i vincoli di bilancio e i timori di indebolire tutele già esistenti hanno finora impedito di applicare quella che allo stato attuale rimane soltanto una proposta.

Agenda. Un nuovo welfare per la crescita

Social investment tra dinamismo europei e immobilismo italiano

di Emmanuele Pavolini

Negli ultimi decenni si è sviluppata una visione del welfare come forma di investimento sociale, un welfare che non serva soltanto a proteggere l’individuo dal mercato, ma anche a favorirne l’inserimento e la capacità di rimanervi, finendo così per sostenere la crescita economica. Si tratta di un passaggio, davvero innovativo, a un’economia della conoscenza che valorizzi il capitale umano e di conseguenza la coesione sociale e l’occupazione. Purtroppo il nostro paese, che ha seguito nell’ultimo ventennio una logica di tagli alle spese e di scarsa modernizzazione del proprio sistema di welfare, appare da questo punto di vista in forte ritardo,“congelato”, e sono sempre più gravi le difficoltà che ormai affliggono le famiglie meno abbienti e le medie e piccole imprese.

Agenda. Un nuovo welfare per la crescita

Uno Stato sociale che tuteli i giovani

di Lorenza Antonucci

Il dibattito sulla riforma del welfare per i giovani affronta la questione in chiave di lotta intergenerazionale o come contrapposizione tra i giovani, outsiders rispetto al sistema di welfare, e gli insiders ipertutelati. In esso manca completamente una visione riformatrice di ispirazione socialdemocratica incentrata sulla lotta ai problemi principali che toccano le giovani generazioni: precariato, diseguaglianza e sottoccupazione. Per contrastare questi fenomeni si rivelerebbero utili interventi che agiscano sulla distribuzione delle risorse prima dell’ingresso nel mondo del lavoro e che favoriscano la “defamilizzazione” e la “decommodificazione” della transizione giovanile.

Focus. Comunicazione politica 2.0

La comunicazione senza partiti

di Mauro Calise

Il regime mediatico in cui siamo immersi definisce nuove regole del gioco. Cui, ci piaccia o meno, occorre attenersi se si vuole essere in partita. Dopo gli autogol incassati pretendendo di comunicare la ditta quando invece la ditta arrancava, di organizzare primarie travolgenti anche a livello locale, dove invece siamo stati travolti, o bollare come populisti i leader che, nel bene o nel male, riuscivano a mantenere vivo il contatto con la gente: forse conviene rassegnarsi all’idea che il sistema in cui viviamo lascia pochissimo spazio alla comunicazione di partito. E punta tutto sulle capacità del leader. E su questa base lavorare per darci, finalmente, una chance di vittoria.

Focus. Comunicazione politica 2.0

Vecchia come una cabina telefonica

di Italianieuropei intervista Roberto D'Agostino

Le notizie diventano vecchie prima ancora di essere riportate dai giornali. I politici sperimentano una comunicazione semplificata fatta di tweet e battute a effetto. Lo shock tecnologico assorbe tutte le nostre energie e limita ogni slancio creativo. Le persone sono interessate solo a se stesse e alla rappresentazione che vogliono dare di sé. Siamo travolti da una realtà in continuo mutamento ed è impossibile prevederne gli sviluppi futuri. Di questo e di molto altro Italianieuropei ha discusso con il fondatore di Dagospia.

Focus. Comunicazione politica 2.0

La persona digitale, la trasparenza e la politica

di Derrick de Kerckhove

La rivoluzione digitale in atto apre nuovi interessanti scenari di carattere sociopolitico che riguardano da un lato la sicurezza e la privacy della persona digitale, dall’altro l’esigenza, emersa chiaramente dopo WikiLeaks, di maggiore trasparenza nell’azione dei governi. È una rivoluzione che tocca nel profondo il rapporto tra governanti e governati, e che fa di blog e social network la nuova agorà elettronica. In questo contesto, affidabile è il politico che si rivela senza alcun timore e che, così facendo, si conquista la fiducia dei cittadini. Una maggiore attitudine della leadership al dialogo aperto, nel villaggio globale digitale di cui siamo parte, sarebbe una scelta vincente.

Focus. Comunicazione politica 2.0

Web e politica: un gioco in difesa

di Michele Sorice

L’importanza delle tecnologie nella comunicazione politica non è certo una novità degli ultimi anni, anche se alcune tendenze recenti, come le micro-communities su Twitter e la web democracy, non erano affatto prevedibili. Tuttavia, non bisogna enfatizzare troppo il ruolo dei media nell’affermazione degli uni o degli altri leader politici, perché le variabili in campo sono molteplici. Questo limite si riscontra, però, sia nelle analisi degli studiosi, che ripropongono schemi ormai superati, sia soprattutto nelle strategie dei partiti, che hanno assunto un atteggiamento difensivo nei confronti del nuovo paradigma comunicativo, dando così il destro all’insorgere di fenomeni populisti e spinte demagogiche. L’errore più grave è consistito nel perdere l’occasione offerta dal web di instaurare una connessione sentimentale tra partito ed elettori, ma per rimediarvi è necessario un ripensamento del valore culturale della comunicazione e un rifiuto deciso della politica intesa come spettacolo.

Focus. Comunicazione politica 2.0

La "ragione democratica" del Movimento 5 Stelle

di Rosanna De Rosa

La politica italiana sconta un lungo ritardo nella comprensione delle dinamiche di sviluppo della sfera pubblica in rete ed esita ancora ad accettare l’esistenza di una nuova comunità politica che si muove all’interno di un ecosistema mediatico più complesso che in passato, con dinamiche di partecipazione non convenzionali e che ha fatto della scissione tra legittimità e fiducia la cifra della sua partecipazione alle vicende pubbliche. Lo ha compreso bene, invece, il Movimento 5 Stelle, che ai meccanismi del potere socialmente distribuito conforma il suo agire politico quotidiano.

Focus. Comunicazione politica 2.0

Perchè (e come) i media contano. La politica tra TV e social network

di Massimo Scaglioni

Interrogarsi sull’importanza dei mezzi di comunicazione nell’influenzare le scelte politiche dei cittadini ha in Italia un valore cruciale. Sarebbe tuttavia improprio compiere una distinzione tra vecchi e nuovi media: gli ultimi decenni hanno fatto registrare una forte convergenza tra televisione e internet, che si influenzano ormai reciprocamente, e, se i social media sono fondamentali per dare visibilità, la televisione rimane il luogo di autorappresentazione della società e di costruzione di un’egemonia sottoculturale. È solo in questo modo che si possono spiegare la popolarità di Grillo e gli esiti più recenti della politica nazionale.

Dizionario Civile

Bipolarismo

di Marco Almagisti e Alessandra Zanon

Punto di partenza per l’analisi dei sistemi di partito restano le “generalizzazioni” di Maurice Duverger,1 il quale distingue i sistemi di partito sulla base del criterio numerico. Pertanto, secondo Duverger i sistemi di partito possono essere (a seconda del numero di partiti esistenti): monopartitici, bipartitici o multipartitici. Inoltre, Duverger correla la rappresentanza proporzionale con la tendenziale presenza di un sistema di partiti multipli, rigidi e indipendenti, e il maggioritario a un solo turno con il bipartitismo.

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