Come garantire il diritto alla salute

Di Nerina Dirindin Mercoledì 14 Febbraio 2018 10:39 Stampa

Pur potendo contare su un sistema sanitario poco costoso, equo ed efficace, da qualche anno il diritto alla salute in Italia è sempre meno garantito: le procedure di accesso ai servizi sono più complicate, i ticket sono più elevati del prezzo delle prestazioni, le liste d’attesa sono più lunghe, le famiglie sono lasciate sole nell’assistenza alle persone con disabilità, le diseguaglianze sono sempre più ampie, gli operatori sanitari sono demotivati, le strutture e le tecnologie sono obsolete e persino l’ordinaria manutenzione è carente. Se questa è la diagnosi, come è necessario operare per tornare a garantire ai cittadini il diritto alla salute?


Da quasi quaranta anni il nostro paese dispone di un sistema sanitario che tutti giudicano poco costoso (2 punti di PIL in meno di Francia e Germania), molto efficace (siamo ai primi posti in Europa quanto a morti evitabili attraverso interventi sanitari tempestivi e appropriati) ed equo (l’accesso ai servizi è indipendente dalla condizione economica).

Eppure, ormai da qualche anno, il diritto alla salute è sempre meno garantito: le procedure di accesso ai servizi sono più complicate, i ticket sono più elevati del prezzo delle prestazioni, le liste d’attesa sono più lunghe, le famiglie sono lasciate sole nell’assistenza alle persone con disabilità, le diseguaglianze sono sempre più ampie, e soprattutto fra Nord e Sud del paese, gli operatori sanitari sono demotivati, le strutture e le tecnologie sono obsolete e persino l’ordinaria manutenzione è carente. E la recente scelta di garantire i costosi farmaci per l’epatite C solo ai malati più gravi costituisce un pericoloso precedente di selezione delle persone cui vengono negate terapie efficaci. Così, i tradizionali buoni indicatori di salute del nostro paese rischiano di essere messi a dura prova da un significativo deficit di prestazioni sanitarie, in particolare nell’assistenza territoriale, nella cronicità e nella prevenzione.

Il sistema è messo in discussione da un insieme di interventi che, più o meno esplicitamente, costituiscono una sorta di “assalto all’universalismo”, simile a quello già denunciato nel 2011 in Gran Bretagna da Martin McKee.1 Anziché porre mano alle specifiche debolezze presenti all’interno di un sistema strutturalmente sano e potenzialmente migliorabile, alcune componenti della società e della politica – a vario titolo interessate al cambiamento dello stesso – operano per promuoverne il superamento, sostenendo lo sviluppo di un contesto funzionale al progressivo abbandono della protezione universale (in cui le cure sono un diritto riconosciuto a ogni cittadino) e al raggiungimento di forme di tutela differenziate e selettive (in cui le cure sono riservate a specifiche categorie di popolazione). Il che ha come conseguenza l’aumento delle diseguaglianze nell’accesso ai servizi e la moltiplicazione delle ingiuste differenze nella salute: una situazione che il nostro paese considerava (quasi) definitivamente superata e che invece rischia di ripresentarsi a dispetto di ogni enunciazione di principio.

D’altra parte, è noto che l’assalto all’universalismo ha buone probabilità di successo proprio quando il sistema si lascia contaminare da un diffuso disinteresse nei confronti dei principi fondanti dei sistemi di tutela della salute, in primo luogo del principio solidaristico secondo il quale “paga chi può a favore di chi ha bisogno”. Se poi sopraggiunge una grande crisi economica che per la sua gravità si presta a diventare una potente giustificazione al rovesciamento dei principi e all’impoverimento del sistema pubblico, il risultato è garantito. Un sistema sano necessita invece di una continua attenzione a tali principi, affinché nulla di necessario sia considerato superfluo, nulla di superfluo sia considerato essenziale e nessuna conquista civile sia data per scontata.

L’attacco più grave che si sta perpetuando nei confronti del Servizio sanitario, e più in generale delle politiche per la salute, è l’indifferenza. Una indifferenza che nasconde non solo disimpegno per le molte difficoltà del settore ma che, ben più gravemente, è espressione di una sorta di laissez faire secondo il quale qualunque intervento è inopportuno, prima ancora che costoso, perché il sistema è in grado di evolvere naturalmente verso un qualche esito, positivo o comunque non indesiderato. Per la verità più che di una consapevole adesione ai principi del liberismo economico si ha l’impressione che si tratti di un mix di incapacità (rispetto alla complessità del settore) e compiacenza (rispetto agli interessi del mercato). In effetti l’impoverimento della sanità pubblica, spesso presentato in modo ingannevole come conseguenza inevitabile della crisi economica, non può che condurre a un aumento della sanità privata, della intermediazione finanziario-assicurativa e di quel mercato delle prestazioni sanitarie che faticosamente il sistema pubblico tenta di contenere (talvolta anche maldestramente) entro i principi dell’appropriatezza, proprio a tutela del consumatore disinformato.

Se questa è la diagnosi, come operare per tornare a garantire ai cittadini il diritto alla salute?

La prima risposta deve essere culturale. Deve essere promosso un movimento culturale teso a rivalutare il ruolo svolto dalla sanità pubblica quale fattore di coesione sociale e di promozione del benessere. Deve essere riconosciuto il valore di tutti i lavori di cura, non solo di quelli di alta specializzazione ma anche di quelli praticati da chi si prende cura quotidianamente, e nei contesti meno gratificanti, delle persone che non dispongono di adeguate risorse e di sufficienti conoscenze (dagli anziani ai detenuti, dalle persone con disturbo mentale ai migranti). Deve essere diffusa la cultura della salute in tutte le politiche, perché la salute si promuove soprattutto contrastando la povertà, il degrado ambientale, l’inquinamento, la precarietà, gli incidenti sul lavoro, la solitudine. Deve essere riconosciuto il ruolo del settore sanitario quale fonte di occupazione diffusa e qualificata, oltre che quale fattore di crescita economica: così come qualunque altro settore produttivo, la sanità non dovrebbe essere considerata un costo bensì una componente del PIL oltre che un importante strumento per migliorare il benessere delle popolazioni. Deve essere promosso fra gli operatori sanitari il senso di appartenenza a una delle più grandi istituzioni civili e sociali del mondo moderno (il Servizio sanitario nazionale) e deve essere promosso fra i cittadini il senso di umana riconoscenza per il delicato lavoro svolto dai tanti professionisti della salute. Deve essere rafforzato l’impegno per contrastare ogni forma di opacità, malaffare, abuso di potere, illegalità, condizionamento, corruzione, fenomeni particolarmente odiosi all’interno di un settore che poggia il proprio operato sulla fiducia del cittadino nei professionisti, nella medicina e nelle istituzioni. Per tutte queste motivazioni la prima risposta deve essere culturale: solo una rinnovata iniezione di fiducia nel sistema può porre le basi per un reale recupero della capacità di qualificare l’offerta e rispondere adeguatamente ai bisogni dei cittadini. In caso contrario ogni iniziativa, per quanto ben disegnata, potrebbe franare lungo la china scivolosa della mancanza di visione, seguendo una logica parziale o meramente emergenziale.

La seconda risposta deve prevedere una netta inversione di tendenza nel finanziamento della sanità pubblica, riallineando in primo luogo la spesa corrente alla media dei paesi dell’Europa occidentale (in rapporto al PIL) e finanziando in secondo luogo un robusto piano pluriennale di investimenti pubblici per l’ammodernamento strutturale e tecnologico e per la messa in sicurezza di tutti i presidi sanitari, anche al fine di evitare complessi e costosi progetti di finanza privata. Con riguardo agli investimenti, l’obiettivo è migliorare la qualità dei luoghi della sanità pubblica, in quanto componente essenziale dell’accoglienza dei pazienti, luogo di lavoro di centinaia di migliaia di operatori ed espressione del valore attribuito dalla collettività ai luoghi pubblici.

La terza risposta deve riguardare l’innovazione introducibile con l’ICT. L’obiettivo è il superamento di tutte quelle complicazioni che quotidianamente mettono a dura prova la pazienza dei cittadini e la dedizione degli operatori, ponendo l’informatizzazione al servizio del cittadino ed evitando la persistente frammentazione dei sistemi. Semplificare i percorsi per l’accesso alle prestazioni (senza rinunciare ovviamente alle necessarie verifiche), uniformare le procedure ancora inutilmente differenziate, rendere possibile l’accesso online a tutte le informazioni e ai servizi (dal cambio del medico al ritiro dei referti), accelerare i progetti di informatizzazione (dalle agende di prenotazione al fascicolo sanitario elettronico), migliorare i livelli di alfabetizzazione digitale di tutti gli operatori e adeguare la dotazione di tecnologie dell’informatizzazione. Sono obiettivi a lungo enunciati e finanziati ma concretamente realizzati solo in alcune parti del paese. La quarta risposta riguarda il capitale umano. I molteplici vincoli imposti alla spesa e alla dotazione del personale stanno demotivando e destrutturando la principale risorsa su cui si fonda un sistema di servizi alla persona: i professionisti. Per garantire il diritto alla salute occorre dotare il SSN del personale necessario per offrire effettivamente e in tutto il paese i Livelli essenziali di assistenza, a partire dai servizi territoriali, riducendo contestualmente il ricorso a personale non strutturato e non appartenente al servizio (lavoratori precari, collaborazioni esterne ed esternalizzazioni). A tal fine è necessario prevedere un piano straordinario di assunzioni, per favorire il trasferimento delle conoscenze dai professionisti più anziani ai più giovani, per ridurre l’età media di medici e infermieri, per togliere dalla precarietà molti giovani laureati, per migliorare il clima e il benessere organizzativo nelle aziende sanitarie e per rispettare le direttive europee sui turni di lavoro. Il rafforzamento del personale deve essere accompagnato da un intervento su formazione e aggiornamento professionale, sotto il profilo tecnico-clinico e di umanizzazione delle cure, in particolare nelle aree critiche, nonché di promozione del lavoro interdisciplinare e di integrazione fra sociale e sanitario.

Una quarta risposta riguarda il divario fra Nord e Sud del paese. La tenuta del SSN dipende dalla capacità del sistema di affrontare le crescenti differenze nella garanzia dei diritti nelle diverse Regioni italiane. Si tratta di rivedere il sistema dei Piani di rientro, oggi finalizzati principalmente al superamento dei disavanzi di bilancio e non anche dei deficit nelle garanzie dei servizi, assegnando specifica attenzione al rientro nella legalità e nella buona amministrazione, anche prevedendo risorse finanziarie e umane dedicate e un nuovo sistema di governance.

Il quinto tema riguarda la sanità integrativa (oggi, di fatto, in gran parte sostitutiva), meno equa e più costosa della sanità pubblica. Si tratta di riordinare complessivamente la materia, definendone l’ambito di azione in modo da evitare duplicazioni e consumismo sanitario, rafforzando la vigilanza pubblica, garantendo la massima trasparenza delle opportunità e dei costi, armonizzando l’offerta di prestazioni ai principi di appropriatezza e sicurezza previsti per i LEA (Livelli essenziali di assistenza), adottando misure volte a ridurre le inefficienze connesse alla compresenza di sovra-assicurazione e sottoassicurazione di specifiche tipologie di rischio.2

Un’ulteriore risposta riguarda la non autosufficienza. Uno dei paesi più vecchi del mondo non può non avere una robusta politica nazionale per la non autosufficienza. Gli interventi vanno qualificati, nell’ottica della promozione della vita indipendente, della personalizzazione dei piani assistenziali e della loro progettazione con l’assistito e i suoi familiari, e non possono essere lasciati alla discrezionalità degli enti locali i cui bilanci sono in forte sofferenza. L’obiettivo è individuare soluzioni che, sul piano finanziario, rendano possibile la ripartizione degli oneri su una vasta platea di contribuenti, a partire dalle esperienze già maturate in alcune realtà.

Un ultimo aspetto riguarda le iniquità all’accesso alle prestazioni legate all’attuale sistema di esenzione e di partecipazione al costo delle prestazioni, in particolare per la specialistica e la diagnostica. Il sistema necessita di una complessiva revisione, a partire dal completo superamento del superticket che, paradossalmente, rende il ticket sulle prestazioni pubbliche più elevato del prezzo delle prestazioni private. L’insieme delle azioni di cui sopra richiede energie, tempo e risorse, ma soprattutto richiede l’inserimento della tutela della salute fra le priorità dell’agenda dei prossimi governi.

 


[1] M. McKee, D. Stuckler, The assault on universalism: how to destroy the welfare state, in “The British Medical Journal”, n. 343, 2011, pp. 1314-17.

[2] Si veda in proposito il paragrafo 37 di Senato della Repubblica, Commissione Sanità, Documento conclusivo dell’Indagine Conoscitiva sulla sostenibilità del SSN con particolare riferimento alla garanzia dei principi di universalità, solidarietà ed equità, gennaio 2018, Doc. XVII, n. 13, disponibile su www.senato.it/japp/bgt/showdoc/ frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=01063787&part=doc_dc-allegato_a&parse=no