L’atlante di Bergoglio. Tra politica internazionale e politica planetaria

Written by Pasquale Ferrara Tuesday, 14 December 2021 16:37 Print
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“È certo che l’attuale sistema mondiale è insostenibile”.1 È, questo, un perfetto incipit per un’analisi del pensiero internazionalistico di Francesco, tratto dalla sua enciclica sulla “cura” della “casa comune”, ma potrebbe rappresentarne anche una sintesi efficace, per quanto possa suonare poco rassicurante. In realtà, si tratta di una costata­zione che, al contempo, lungi dall’essere scoraggiante, è un potente invito all’impegno, alla performatività degli enunciati nell’effluvio della retorica post pandemica e attinente al caos climatico.

La crisi della globalizzazione come illusione di una fittizia integra­zione tecnocratica del mondo ha messo a nudo le insufficienze dei progetti di universalizzazione che non pongono al centro una con­cezione della vicenda sociale contemporanea fondata sul rispetto del molteplice, la considerazione delle diversità, la rilevanza della dignità delle persone. Al contrario, la presunta mondializzazione dei sistemi produttivi (con l’allungamento delle “catene del valore”) ha condotto a una frammentazione dei sistemi simbolici (con l’accorciamento dei processi identitari), dimostrando che la fine della storia non è né un evento verificatosi né tantomeno una profezia attendibile. Tantome­no il mondo è piatto o configurabile come una sfera perfetta.

L’immagine che papa Francesco propone nell’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” è invece quella di un poliedro, figura geometri­ca che presenta molteplici facce e che purtuttavia rimane un oggetto coerente e coeso. Tale modello “riflette la confluenza di tutte le par­zialità che in esso mantengono la loro originalità”.2 L’atlante che la Chiesa di Francesco consulta non è dunque quello cartografico, né quello della geografia politica, quanto piuttosto un’interpretazione, un oggetto ermeneutico, le cui dimensioni e i cui caratteri definitori non corrispondono affatto a quelli della geopolitica, incorporando invece elementi di geoeconomia e geocultura.

In questa operazione di ripristino di un metaforico mappamondo, emergono alcuni snodi decisivi. I percorsi proposti dal magistero di Francesco, nella peregrinatio concettuale tra latitudini e longitudini mondialiste, possono sintetizzarsi in cinque processi: periferizzazio­ne, fraternizzazione, planetarizzazione, riconciliazione, de-occiden­talizzazione. Concetti che si ricavano dall’insieme del magistero di Bergoglio e dalla lettura integrata delle due grandi encicliche sociali “Laudato si’” e “Fratelli tutti”,3 vale a dire il nesso inestricabile tra la cura del mondo e l’amicizia sociale proiettata su scala universale.

PERIFERIZZAZIONE

Il mondo di Francesco è soprattutto una mappa concettuale, il porta­to di una geografia critica, di una elaborazione persino meta-geogra­fica, in cui l’orientamento fondamentale non è dato dalle coordinate o dai punti cardinali, ma da categorie di riferimento più incisive e più profonde, come quella di periferia. Tuttavia, non è banalmente e semplicemente una sottolineatura della marginalità; siamo dinanzi a un vero e proprio capovolgimento prospettico, che consiste nella lettura degli eventi mondiali e delle crisi internazionali non tanto nella periferia quanto dalla periferia.

Francesco universalizza la percezione delle relazioni internazionali, sia nel senso dell’ampliamento degli orizzonti politico-geografici, sia in quello, più impegnativo e più concreto, delle priorità dell’agenda politica internazionale. Lo sguardo che osserva il mondo da un punto di vista decentrato coglie in pieno tutte le aporie della polarizzazione, della diseguaglianza, dell’ingiustizia strutturale nella configurazione dei rapporti fra le diverse aree del poliedro.

Il movimento di periferizzazione non coincide con il repertorio del sottosviluppo, né con le impostazioni postcoloniali e rivendicative di stampo economicistico e strutturalista, ma mette in discussione l’e­gemonia della “comunità internazionale” intesa come centro direzio­nale del globo e non come comunione mondiale di eguali. Il tema di fondo, in termini molto pratici, è l’esclusione di parte dell’umanità dal centro decisionale internazionale. La periferia rappresenta dunque l’allargamento dei confini “politici” del mondo, altrimenti ristretti in un “quadrato” di comando e con­trollo fondato sulla selezione più che sull’inclusione (come avviene, ad esempio, nel plurilateralismo ad hoc del G20, nonostante la sua rappresentatività demografica e di quota del prodotto interno lordo mondiale, o nell’elitismo oggettivo e posizionale dei membri perma­nenti del consiglio di sicurezza con diritto di veto).

FRATERNIZZAZIONE

Il secondo segnavia è senza dubbio la nozione di fraternità, riscattata recuperandola da un colpevole oblio sia semantico che sociopolitico.

Pur presente da lungo tempo nella dottrina sociale della Chiesa, l’i­dea di fraternità in Francesco (in particolare nell’enciclica “Fratelli tutti”) assume tre connotazioni distintive e innovative.

In primo luogo, la fraternità è concepita nel più ampio quadro della “teologia pubblica”, in termini laici, in una visione che travalica i confini sia della Chiesa che delle stesse religioni. Essa si distingue in modo ontologico dalla solidarietà, in quanto non persegue solo l’e­guaglianza, ma ammette la differenziazione tra uguali, rifuggendo da un’omologazione statistica o da una perequazione quantitativa (eco­nomica): “Infatti, mentre la solidarietà è il principio di pianificazione sociale che permette ai diseguali di diventare eguali, la fraternità è quello che consente agli eguali di essere persone diverse. La frater­nità consente a persone che sono eguali nella loro essenza, dignità, libertà, e nei loro diritti fondamentali, di partecipare diversamente al bene comune secondo la loro capacità, il loro piano di vita, la loro vocazione, il loro lavoro o il loro carisma di servizio”.4

In secondo luogo, la fraternità viene operazionalizzata come frater­nizzazione, declinata cioè come un processo consapevole di trasfor­mazione sociale e politica. La fraternizzazione del mondo è un modo di ribattere allo slogan conservatore della globalizzazione, il famoso acronimo TINA (“there is no alternative”).

In terzo luogo, la fraternità è proposta nella sua caratterizzazione universale. La fraternità su scala mondiale è un’espressione dell’a­micizia sociale, che papa Francesco pone al centro del processo di cambiamento, di “conversione” delle relazioni interpersonali e inter­nazionali.  

PLANETARIZZAZIONE

Il terzo marcatore è lo stretto legame che emerge tra universalizzazio­ne (dei diritti, delle risorse) e la planetarizzazione di tutte le questioni politiche, economiche, sociali. La potente (e discussa) metafora di Antropocene richiama in parte questa dimensione geo-filosofica, in­terpellando e sfidando le suggestioni intellettuali di Pierre Teilhard de Chardin sulla spinta evolutiva del mondo verso un “punto ome­ga”5 o di Raimon Panikkar sulla fenomenologia cosmoteandrica.6

Come nel caso del concetto di periferia, la nozione della cura della casa comune e dell’ecologia integrale (ben più ampia e profonda del pur commendevole pensiero ambientalista) consente, a partire anzitutto dal “debito ecologico”,7 di ripensare dalle fonda­menta, come un vero atto di pensiero rivoluziona­rio, l’intero assetto mondiale, rivelando come in esso non possa in verità rinvenirsi un ordine (in senso politico ed economico) se non a condizione di una profonda riconfigurazione dell’intero spet­tro dell’incidenza dell’umanità sul pianeta, atteso che le relazioni internazionali attuali non sembra­no adeguate ad affrontare la crisi climatica.8

Si tratta, in effetti, di concepire persino le re­lazioni politiche a partire dal complesso socio-naturale, considerando cioè l’impronta umana sulla Terra come una caratterizzazione strutturale della riflessione antropologica, che rifugge, tuttavia, dalle estremizza­zioni dell’antropocentrismo irresponsabile, che è in fondo all’origine dell’attuale drammatica condizione del mondo (sociale e naturale).

RICONCILIAZIONE

Il quarto asse portante del pontificato di Francesco è una sorta di contro-narrazione rispetto alla rappresentazione delle religioni come blocchi identitari contrapposti, con una netta presa di distanza dagli approcci “civilizzazionali” e polarizzanti. Non è solo una rivalutazione del dialogo interreligioso (tendenza ormai consolidata nelle Chiesa cattolica), ma dell’idea, semplice e pragmatica, di una convergenza delle religioni sull’obiettivo fonda­mentale dello sviluppo umano, a partire da una concezione in senso direi operativo e realizzativo della prospettiva della fraternità.

In questa direzione si muove il “Documento sul­la fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, firmato ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019 da Francesco e dal Grande Imam della Moschea di Al Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, ma ugualmente eloquente è il gesto dell’incontro di Francesco a Najaf con l’Ayatollah Al-Sistani nel corso della sua visita in Iraq (6 marzo 2021). Un evento letto da taluni in chiave strategica e geopolitica (rispetto allo sciismo iraniano) ma che più verosimilmente e semplicemente ha in­teso tributare un riconoscimento a una persona­lità religiosa che ha saputo giocare un ruolo preventivo e di modera­zione rispetto alle numerose possibilità di guerre di religione in Iraq e altrove.

È questo un punto essenziale, perché declina le religioni come fattori di riconciliazione piuttosto che come agenzie di destabilizzazione e di radicalismo violento. La dimensione interreligiosa si fonda su due pilastri: da un lato, il pluralismo religioso assunto come un dato di realtà e come questione sociale e politica, dall’altro le teologie plura­liste disposte a problematizzare la dottrina religiosa in chiave storico-evolutiva. Per citare il teologo fiammingo Schillebeeckx, “c’è più ve­rità (religiosa) in tutte le religioni messe insieme che in ogni singola religione”.9 In mezzo a questi due poli si colloca il pragmatismo dei diritti, della gamma delle “libertà religiose” (coniugate al plurale) e della cittadinanza, il cui postulato fondamentale è dato dal principio di non-discriminazione.

Più radicalmente, si potrebbe affermare che non c’è quasi nessun aspetto del messaggio sociale di Francesco che non sia trasponibile anche in termini interreligiosi, ben al di là della nozione di “dialogo” e nel presupposto del mutuo riconoscimento come veicolo per un’u­nità di intenti da tradurre in azioni comuni.

DE-OCCIDENTALIZZAZIONE

Il quinto pilastro è dato dallo sganciamento strutturale della Chiesa cattolica dalla matrice occidentalista, non solo perché oggettivamente il cattolicesimo si è spostato maggiormente verso il “sud globale”, ma anche perché Francesco intende stabilire la giusta distanza tra le priorità della Chiesa rispetto a quelle della cristianità euro-atlantica.

Da questo punto di vista, è assai superficiale e sostanzialmente ridut­tiva l’idea di un Papa “latino-americano”, terzomondista di vecchio stampo o alter-globalista. È questa una lettura polemica, al limite del caricaturale, che si basa sulle oggettive discrepanze in senso lato politiche con parte del cattolicesimo conservatore statunitense.

Non si tratta nemmeno, a rigore, di un papa post europeo (con­servando egli una considerazione certamente critica delle derive del progetto europeo, che purtuttavia nella sua lettura internazionale mantiene la sua rilevanza), quanto di un pontefice geo-realista, che sa leggere e interpretare le grandi trasformazioni in atto, lo sposta­mento dell’asse politico-economico terrestre al di fuori del baricen­tro atlantista.

In questo quadro, l’attenzione alle grandi masse delle società asiati­che e agli spettacolari scenari di cambiamento nel mondo orientale e indo-pacifico sono in linea con una tendenza storica di lungo pe­riodo, mentre sullo sfondo si profila una svolta decisiva, vale a dire il processo di progressiva normalizzazione dei rapporti della Santa Sede con Pechino.

Non si può tuttavia trarre la conclusione riduttiva che il cattolice­simo universalista di Francesco sia sotto l’influsso di una sorta di ideologia post coloniale.

Il segno distintivo del papato in termini di analisi delle relazioni in­ternazionali è certamente il rigetto dei progetti egemonici, siano essi espliciti o impliciti. Questa è una spiegazione necessaria, ma non sufficiente. C’è molto di più: rispetto alla retorica della democrazia liberale brandita come nuova linea di faglia della divaricazione globa­le, delle trasformazioni verdi e digitali come programmi tecnocratici, delle cooperazioni “sviluppiste” intergovernative, Francesco propo­ne, in modo ben più radicale, la democratizzazione dell’ordine inter­nazionale, l’inclusività dei modelli di transizione (ecologica e tecno­logica), la transnazionalizzazione delle politiche pubbliche mondiali.

 


 

[1] Laudato Si’, Lettera enciclica del Santo Padre Francesco sulla cura della casa comune, 24 maggio 2015.

[2] Evangelii Gaudium, Esortazione apostolica del Santo Padre Francesco ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici, sull’annuncio del van­gelo nel mondo attuale, 24 novembre 2013.

[3] Fratelli tutti, Lettera enciclica del Santo Padre Francesco sulla fraternità e l’amicizia sociale, 3 ottobre 2020.

[4] Messaggio del Santo Padre Francesco alla professoressa Margaret Archer, presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali in occasione delle Sessione plenaria, 24 aprile 2017.

[5] Si veda P. Teilhard de Chardin, Il cuore della materia, Queriniana, Brescia 1993.

[6] Si veda R. Panikkar, La realtà cosmoteandrica: Dio-uomo-mondo, Jaca Book, Milano 2004.

[7] Laudato Si’ cit.

[8] Si veda S. M. Patrick, The International order isn’t ready for the climate crisis, in “For­eign Affairs”, novembre/dicembre 2021; si veda inoltre Messaggio del Santo Padre alla COP26, 29 ottobre 2021, Faith and Science: Towards COP26. Joint Appeal, San­ta Sede, 4 ottobre 2021.

[9] E. Schillebeeckx, Umanità. La storia di Dio, Queriniana, Brescia 1992, pp. 166-67.