Formazione e diseguaglianze

Written by Massimiliano Fiorucci Thursday, 24 September 2020 15:39 Print
Formazione e diseguaglianze ©iStockphoto.com/PeopleImages

La chiusura delle scuole di ogni ordine e grado in Italia e non solo ha costituito una misura inevitabile nel tentativo di ridurre i fenomeni di contagio da Coronavirus. Si è trattato di una misura pesante e delicatissima sul piano sociale, non tanto e non solo perché questa ha prodotto un danno nella preparazione culturale dei nostri studen­ti, ma perché evidenzia, molto più di qualsiasi messaggio, la gravità complessiva della situazione. Una scuola chiusa non è solo un edifi­cio chiuso.

È una comunità che viene improvvisamente a mancare in quel terri­torio; è quel luogo dove ogni mattina i bambini della scuola dell’in­fanzia e della scuola primaria si ritrovano per imparare, giocare, con­dividere, passando una giornata insieme con le loro maestre mentre i genitori si incontrano, si confidano, raccontano. È quel luogo in cui gli studenti delle scuole medie e delle superiori si incontrano ogni mattina per commentare la giornata, confidare timori e speranze, parlare delle loro passioni e interessi, confrontarsi, scontrarsi, appas­sionarsi e a volte anche annoiarsi. È quel luogo, unico e irripetibile, dove ogni mattino le vecchie e le nuove generazioni si incontrano sperimentando relazioni significative e dove si impara condividendo saperi ed esperienze.

La scuola – nonostante la situazione critica in cui versa da lungo tempo – continua a rappresentare uno dei pochi presidi di democra­zia reale. Si tratta, infatti, di uno dei rari spazi in cui è ancora pos­sibile parlare, ascoltare, discutere, pensare, ragionare, argomentare e, dunque, apprendere in forma critica e non effimera. Un antidoto al populismo e alla demagogia, alla facile costruzione di consensi fondati sulle false rappresentazioni diffuse dagli “imprenditori della paura” che hanno intossicato il clima degli ultimi anni in Italia, in Europa e in gran parte del mondo. La didattica a distanza è stata es­ senziale in questa fase di emergenza ma si è trattato appunto di una didattica di emergenza dove ognuno ha potuto contare unicamente sulle proprie risorse senza che alle spalle vi fosse una progettazione pedagogica e didattica. È importante esserne consapevoli: non si è trattato di una didattica a distanza meditata, progettata e organizzata che, in ogni caso, non potrà che integrare e nel caso affiancare la di­dattica in presenza che rappresenta il cuore della relazione educativa. In ogni caso oltre ai limiti della didattica realizzata in questa fase van­no individuate anche alcune sue potenzialità sulle quali si dovrebbe riflettere serenamente senza manicheismi.

I limiti della didattica a distanza, soprattutto per come si è potuta organizzare, sono stati evidenti perché è apparsa decontestualizzata. Ognuno è stato solo davanti al proprio terminale. Il contesto dell’e­ducazione non è soltanto uno spazio fisico, è anche un luogo sim­bolico, suscita un vissuto denso di segni e simboli che danno signifi­cato all’esperienza quotidiana. Basti pensare all’uso delle pareti nelle scuole e non solo nelle primarie: si appendono cartelloni, elaborati collettivi, foto di viaggi. Le pareti diventano così il luogo di quella memoria condivisa che nella didattica a distanza svanisce, soprattut­to se non è pensata ma adottata in forma suppletiva.

In molti in questa fase hanno sostenuto che la didattica a distanza crei delle diseguaglianze. In realtà, come ha opportunamente osser­vato Gino Roncaglia, la didattica a distanza non crea diseguaglianze: le fa emergere, le fa venire alla luce in modo più evidente, le rive­la.1 A tale proposito sono molto interessanti i documenti elabora­ti recentemente dal Forum Disuguaglianze Diversità e da Save the Children.2

Pur non negando il ruolo decisivo ed essenziale di ascensore sociale da essa svolto per molto tempo, che ha contribuito a migliorare in modo significativo le condizioni della popolazione italiana, l’istitu­zione scuola continua a essere troppo spesso “diseguale” e selettiva.3 I più favoriti continuano a essere coloro che dispongono di ambien­ti e di condizioni di “privilegio”, coloro che possono contare su un determinato capitale sociale e culturale usufruendo di possibilità e di opzioni che sono invece negate a chi si trova a vivere in contesti di marginalità, di esclusione, di periferia non solo geografica.4 For­tunatamente non mancano, nella realtà italiana, le sperimentazioni di eccellenza e il grande impegno di tanti insegnanti, educatori e dirigenti scolastici che ogni giorno lavorano in condizioni difficili, a volte estreme. Permane, tuttavia, ancora la tendenza a privilegiare metodi e modelli di insegnamento-apprendimento fondati preva­lentemente sul paradigma della trasmissione unilaterale del sapere, trascurando così i bisogni dei soggetti che apprendono, i loro saperi impliciti, soprattutto i loro ambienti e contesti di vita, il loro essere comunque portatori di esperienze uniche e originali che merite­rebbero di essere accolte e valorizzate.5 Si tratta di critiche severe che però gli studi più avvertiti non mancano di sottolineare, evi­denziando indubbiamente un’involuzione, soprattutto negli ultimi anni, tanto che si è parlato a ragione di un processo di aziendaliz­zazione anche per le istituzioni formative.6 Tale processo ha di fatto tradito l’idea della scuola-comunità e ha sostituito il principio del “dare di più a chi ha di meno” con un concetto astratto e inevita­bilmente escludente di performance che, rinnegando i valori della cooperazione, ha favorito al contrario la competizione accentuando ancora di più il peso della provenienza socioeconomica degli stu­denti.

L’istruzione è, infatti, un bene in sé, un diritto-chiave per progettare i propri itinerari biografici, identificare i propri bisogni, persino per definire strategie per la tutela degli altri diritti. La scuola non può e non deve rincorrere mode e tendenze: in questi anni, nonostante tutto, è rimasta uno dei pochi presidi di democrazia reale e di costru­zione del pensiero critico, quasi un controcanto rispetto alle sirene del pensiero unico e dell’omologazione; esattamente il contrario del­la visione funzionalista che sembra prevalere.

I dati drammatici sulla dispersione scolastica e sui NEET (Not in Education, Employment or Training) sono molto eloquenti in pro­ posito.7 Una situazione così grave non caratterizza solamente la scuo­la dell’obbligo. Se si considera il numero di quanti sono in possesso di un titolo di studio universitario, l’Italia si colloca in fondo alle classifiche europee. Un ulteriore elemento critico riguarda la popola­zione adulta e quello che viene definito “analfabetismo funzionale”: i cittadini italiani si collocano in fondo alla classifica sui saperi essen­ziali per orientarsi nella società del terzo millennio. L’identità reale del sistema sociale e formativo come quello italiano – che ancora opera una distribuzione differenziata delle conoscenze sulla base di fattori di ordine sociale, di genere, territoriale e di nazionalità – con­traddice l’autorappresentazione che la nostra società ha di sé stessa come di una società moderna che a tutti fornirebbe le stesse opportu­nità di vita e di lavoro. Si tratta in altri termini di una società ancora fortemente divisa, per usare una terminologia introdotta da Paulo Freire, in oppressori e oppressi. Ciò determina una situazione assai pericolosa in cui vi sono alcune persone (poche) in grado di operare scelte libere e consapevoli esercitando il pensiero critico e tante altre (troppe) che non dispongono degli strumenti minimi per decostruire le false rappresentazioni e le facili semplificazioni delle demagogie e dei populismi.

Può essere utile, per rendere maggiormente comprensibile la questio­ne delle diseguaglianze nella scuola, soffermarsi sui cosiddetti allievi con cittadinanza non italiana nella scuola8 la cui condizione rappre­senta una vera e propria cartina al tornasole. Si tratta di una parte ormai rilevante della popolazione scolastica che ha sofferto in modo particolare durante la chiusura delle scuole non potendo contare molto spesso sull’aiuto didattico da parte delle famiglie.

L’accelerazione dei processi migratori nel corso degli ultimi anni in conseguenza dei processi economici globali in atto ha avuto signifi­cative ripercussioni anche sul sistema educativo e formativo italiano. In poco più di venti anni il numero di studenti con cittadinanza non italiana è passato da 59.389 unità (a.s. 1996-97) a 857.729 (a.s. 2018- 19)9 con un’incidenza percentuale di bambini e ragazzi di cittadinan­za estera che ha raggiunto il 10%. Oltre alla questione quantitativa vi è anche la questione qualitativa e cioè l’estrema diversificazione delle provenienze: se «si tiene conto che i paesi di provenienza sono circa 200, è facile intuire la complessità del fenomeno soprattutto quando si tratta di sviluppare iniziative volte al sostegno dell’integrazione di alunni stranieri».10

Il carattere di espansione di tale fenomeno è facilmente visibile anche se si osserva la distribuzione degli studenti stranieri nei diversi livelli scolastici: 165.209 bambini hanno frequentato la scuola dell’infan­zia (11,4%), 313.204 la scuola primaria (11,5%), 180.296 quella secondaria di primo grado (10,5%) e 199.020 la scuola secondaria di secondo grado (7,4%). Anche per l’anno scolastico 2018-19 si registra un aumento, seppur molto più contenuto rispetto al passato, del numero degli alunni con cittadinanza non italiana. L’aumento progressivo delle iscrizioni degli alunni con cittadinanza non italia­na riguarda tutti gli ordini e gradi scolastici (Figura 1). Nello stesso tempo è in calo la percentuale di alunni con cittadinanza italiana. In numeri assoluti, la scuola primaria accoglie il maggior numero di iscritti con cittadinanza non italiana seguita dalle scuole secondarie di secondo grado, dalle scuole secondarie di primo grado e, infine, dalle scuole dell’infanzia.

L’annuale rapporto del ministero dell’Istruzione afferma che «nell’an­no scolastico 2018-19 le scuole italiane hanno accolto complessiva­mente 8.580.000 studenti di cui circa 860.000 di cittadinanza non italiana. Rispetto al precedente a.s. 2017-18 la popolazione scolasti­ca è calata complessivamente di quasi 85.000 unità, pari allo 1,0%. Gli studenti con cittadinanza italiana hanno registrato una flessione di oltre 100.000 unità (-1,3%) a fronte di una crescita di 16.000 studenti con cittadinanza non italiana (+1,9%), per cui la loro in­cidenza sul totale passa da 9,7% a 10,0%. Al contempo, i dati di trend mostrano che la presenza di questi ultimi tende a stabilizzar­si. Nel decennio tra 2009-10 e 2018-19 gli studenti stranieri sono complessivamente aumentati del 27,3% (+184.000 unità) un ritmo di crescita assai lontano da quello verificatosi nel decennio tra 1999- 2000 e 2008-09 durante il quale l’incremento è stato del 425,9% corrispondente a 510.000 unità».11

La presenza degli alunni con cittadinanza non italiana si configura, dunque, come un fenomeno ormai strutturale e, nello stesso tem­po, in continuo movimento sia per l’incremento annuale sia per le variabili che lo determinano. Un dato particolarmente interessante e molto significativo riguarda le cosiddette “seconde generazioni”. «La costante crescita delle seconde generazioni caratterizza significa­tivamente l’evolversi della presenza degli studenti con background migratorio.

Nel quinquennio 2014-15/2018-19 il numero degli studenti “stra­nieri” nati in Italia è passato da circa 450.000 unità a 553.000 con un incremento di quasi 103.000 unità (+23% circa). Nell’ultimo anno la crescita è stata di quasi 22.000 unità (+4,1%), portando la quota dei nati in Italia sul totale degli studenti di origine migrato­ria al 64,5%, oltre un punto percentuale in più rispetto al 2017-18

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(63,1%)».12 Sul totale degli studenti con cittadinanza non italiana la quota dei nati in Italia supera ormai il 63% mentre in rapporto al totale degli studenti rappresenta il 6,1% (era il 4,7% nel 2013-14). Nei diversi ordini di scuola, la proporzione dei nati in Italia sul totale degli studenti con citta­dinanza non italiana è dell’83,3% nella scuola dell’infanzia, del 75,3% nella scuola primaria e del 59,5% nella scuola secondaria di primo gra­do. Nella scuola secondaria di secondo grado gli studenti con cittadinanza non italiana nati in Italia rappresentano il 36,4%. I “nati in Italia”, dunque, rappresentano la maggioranza e anche se la legislazione sulla cittadinanza non li rico­nosce come italiani de iure, la scuola e la società non possono non considerarli italiani de facto. Nel corso degli ultimi anni sono state intraprese alcune interessanti iniziative in questa direzione, dalla campagna per la legge di iniziativa popolare “L’Italia sono anch’io” promossa da 22 organizzazioni alle azioni della Rete G2 Seconde generazioni,13 del CONNGI (Coordinamento nazionale nuove generazioni italiane) e del movimento Italiani senza cittadinanza.

Gli allievi con cittadinanza non italiana sono dunque un gruppo articolato, variegato e composito che, come ha più volte ricordato Vinicio Ongini, deve essere scomposto per poter offrire risposte edu­cative e pedagogiche mirate. «Un paesaggio, un catalogo di luoghi e situazioni. Un bosco di storie in cui conviene inoltrarsi muniti di una indispensabile bussola, un’indicazioni segnaletica fondamentale: il verbo distinguere. Tra Nord e Sud, città e paesi, paesi di pianura e di montagna, biografie e contesti sociali. Tra bambini, adolescen­ti e giovani. Tra alunni stranieri di recente immigrazione o appena arrivati, che non conoscono la lingua italiana e che se sono rumeni imparano velocemente mentre se sono cinesi ci vuole più tempo. E alunni o studenti figli di genitori immigrati ma nati in Italia, che parlano in italiano e a volte, benissimo, anche in dialetto o nelle tradizionali storiche lingue delle minoranze italiane, come i bambi­ni ivoriani della Val Maira, nel Cuneese, che salutano le maestre in francese: «Bonjour, mamame!», e cantano in occitano; mai arrivati in Italia (dal paese dei genitori), mai avuta una valigia o uno zaino da emigranti, nessuna nostalgia di un paese forse mai visto. E allora per­ché chiamarli “stranieri”?».14 In questa direzione appare interessante il documento “Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri” emanato dall’allora ministro dell’Istruzione, dell’u­niversità e della ricerca Maria Chiara Carrozza con circolare ministe­riale 4233 del 19 febbraio 2014. Nella prima parte del documento, che rappresenta l’aggiornamento dell’analogo testo del 2006, ci si sofferma infatti sulle differenti caratteristiche degli allievi con citta­dinanza non italiana distinguendo in primo luogo tra «neoarrivati» e «nati in Italia» e, successivamente, specificando meglio e descrivendo gli «alunni con ambiente familiare non italofono», i «minori non accompagnati», gli «alunni figli di coppie miste», gli «alunni arrivati per adozione internazionale», gli «alunni rom, sinti e caminanti» e, infine gli «studenti universitari con cittadinanza straniera».15

La presenza degli allievi con cittadinanza non italiana è disomogenea sia per quanto concerne le provenienze sia per quanto riguarda la distribuzione territoriale delle diverse nazionalità sul territorio italia­no. Rispetto alle provenienze, nelle diverse aree geografiche dell’Italia sono rappresentati infatti tutti i cinque continenti. «Sono oltre 200 i paesi di cui sono originari gli studenti con cittadinanza non italia­na. Alcune comunità sono di gran lunga più rappresentate rispetto ad altre. I dati suddivisi per continente evidenziano che la maggior parte degli studenti, ovvero il 46,3%, proviene da un paese europeo, seguiti dagli studenti di provenienza o origine africana (25,7%) e asiatica (20,1%). Assai più contenuta la percentuale degli studenti provenienti dall’America e dall’Oceania (7,9% e 0,03%)».16 In parti­colare, gli alunni rumeni (157.470), albanesi (116.085) e marocchini (105.057) sono i più numerosi in tutto il territorio nazionale, confer­mando un pluriennale primato. Seguono, tra le prime dieci naziona­lità, alcuni paesi asiatici (Cina, India, Filippine, Pakistan), l’Egitto e altri paesi dell’Europa centro-orientale (Moldavia, Ucraina).
L’annuale rilevazione del ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca descrive una situazione abbastanza critica per quanto con­cerne gli allievi con cittadinanza non italiana. Va sottolineato, però, che vi sono delle significative differenze tra chi è nato in Italia e chi vi è arrivato da qualche anno. Sin dalla scuola primaria, il divario tra gli italiani e gli stranieri in termini di esiti scolastici è visibile e significa­tivo.17 Si segnalano, inoltre, due ulteriori evidenti criticità per quan­to concerne gli allievi con cittadinanza non italiana che riguardano: i ritardi scolastici e la scelta della scuola secondaria di secondo grado.

Il quadro complessivo del rapporto tra età anagrafica degli studen­ti con cittadinanza non italiana e classe di inserimento segnala un divario tra italiani e non italiani piuttosto preoccupante. Il ritardo degli studenti stranieri è spesso conseguente a inserimenti in clas­si inferiori a quelle a cui in base alla loro età dovrebbero accedere. A ciò si aggiungono lungo il percorso i ritardi dovuti a bocciature e ripetenze. Il divario nell’anno scolastico 2018-19 è elevato nella scuola primaria (1,6% di alunni in ritardo tra gli italiani; 12,2% tra gli alunni con cittadinanza non italiana) ed elevatissimo nella scuola secondaria di primo (4,9% vs. il 31,8%) e di secondo grado (19,3% vs. 57%), (Figura 2).

5_2020_Fiorucci_Fig.2

Infine, è opportuna una riflessione sulle scelte degli studenti con cit­tadinanza non italiana. Secondo il rapporto del ministero dell’Istru­zione, le «scelte degli studenti con cittadinanza non italiana per l’a.s. 2019-20 indicano che l’81,3% ha intrapreso percorsi di scuola secondaria di secondo grado, mentre l’8,2% si è diretto verso la formazione professionale regionale».18

Per quanto concerne la scelta della scuola se­condaria di secondo grado, i dati continuano a confermare l’orientamento dei ragazzi di origine straniera prevalentemente verso la formazione tecnica (37,7%) e professionale (32,3%), men­tre l’avvio al liceo interessa il 30% degli studenti con cittadinanza non italiana a fronte del 51,6% degli studenti italiani. Si registrano, tuttavia, dif­ferenze che cominciano a essere significative tra i nati in Italia e i nati all’estero. A confronto con gli italiani si registra, comunque, una canalizza­zione precoce delle scelte scolastiche degli studenti di origine immi­grata, riconducibile a molte variabili, prevalentemente di natura so­cioeconomica, ma anche legate alla difficile progettazione familiare, ai risultati di apprendimento nei primi livelli di scuola e, non ultimo, ai giudizi di orientamento dei docenti e alla difficoltà dei licei a orga­nizzarsi e a riconfigurarsi per una popolazione diversificata. Parados­salmente proprio le scuole che si vantano di fornire i maggiori stru­menti critici agli studenti sono proprio quelle più chiuse e resistenti al cambiamento e che più faticano a mettere in discussione la propria organizzazione e il proprio orientamento tradizionale connotato da un significativo grado di euro ed etnocentrismo.

La scuola, la formazione e il sapere possono rappresentare la condi­zione per una maggiore uguaglianza e l’azione educativa può con­figurarsi come risorsa per una maggiore equità e democrazia. Una società realmente equa e democratica deve poter garantire a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione per l’intero corso della vita al fine di consentire a ognuno di «affrontare, con qualche speranza di successo, le difficoltà insite nei percorsi di inserimento nella vita so­ciale e lavorativa. Ciò richiede che alle persone sia possibile acquisire una formazione di base (una sorta di “sapere minimo garantito”) che consenta l’apprendimento ulteriore e il reinserimento nei percorsi formativi, nel momento in cui il soggetto ne avvertirà l’utilità. Senza questa dotazione di base e senza l’impianto di un sistema di forma­zione in età adulta non è possibile fare nulla».19

È sempre più urgente e necessario elaborare un progetto che sia in grado di dimostrare come la crescita delle libertà di scelta delle per­sone in una economia e in una società in rapido cambiamento sia possibile solo generando nuove sicurezze e nuove opportunità, nuovi diritti e nuovi spazi di contrattazione collettiva, perché l’insicurezza permanente, la paura per il proprio futuro, riduce la libertà ed è fon­te di rigidità e chiusure per tutto il sistema. Il diritto alla formazione, la nostra capacità di collocarlo anche nei contesti di lavoro e di vita, è la chiave di volta di una strategia che punti a coniugare libertà e uguaglianza, diritti collettivi e apertura di nuovi spazi per la crescita culturale e professionale delle persone.

Il tema della formazione ha progressivamente assunto anche in Italia una rilevanza strategica, almeno nei discorsi pubblici. Va osservato, tuttavia, che tale riconoscimento della centralità della formazione rimane nei fatti spesso disatteso. Alle enfatiche dichiarazioni di molti dei decisori politici sull’importanza della scuola, della formazione, della ricerca, dell’università e del sapere non seguono adeguati inve­stimenti economici che, anzi, vengono progressivamente ridotti di anno in anno. Il rischio è allora quello di rendere vuota o quanto­meno retorica una espressione come quella di “società della cono­scenza”. La scommessa per le politiche di formazione è, pertanto, la compatibilità tra sostegno alle crescenti sfide competitive, lotta all’emarginazione sociale e culturale, impegno per la coesione sociale e piena integrazione (economica, sociale, culturale, politica) di tutti i cittadini.


[1] G. Roncaglia, Cosa succede a settembre? Scuola e didattica a distanza ai tempi del CO­VID-19, Laterza, Roma-Bari 2020, p. 21.

[2] Forum Diseguaglianze Diversità, L’impegno per contrastare le disuguaglianze in edu­cazione nel tempo del Covid-19, 2020, disponibile su www.forumdisuguaglianzedi­versita.org/wp-content/uploads/2020/04/Disuguaglianze-istruzione_COVID-19. x19154.pdf; Save the Children, L’impatto del coronavirus sulla povertà educativa, 2020, disponibile su www.savethechildren.it/cosa-facciamo/pubblicazioni/impatto-del-coronavirus-sulla-poverta-educativa.

[3] G. Benvenuto (a cura di), La scuola diseguale. Dispersione ed equità nel sistema di istruzione e formazione, Anicia, Roma 2011.

[4] C. Pacchi, C. Ranci (a cura di), White flight a Milano. La segregazione sociale ed etnica nelle scuole dell’obbligo, FrancoAngeli, Milano 2017; C. Raimo, Tutti i banchi sono uguali. La scuola e l’uguaglianza che non c’è, Einaudi, Torino 2017.

[5] E. Affinati, Elogio del ripetente, Mondadori, Milano 2013; E. Affinati, Via dalla paz­za classe. Educare per vivere, Mondadori, Milano 2019.

[6] M. Baldacci, Per un’idea di scuola. Istruzione, lavoro, democrazia, FrancoAngeli, Mi­lano 2014.

[7] Un recentissimo dossier di “Tuttoscuola” (La scuola colabrodo, settembre 2018), con­frontando il numero di quanti sono entrati in istituti tecnici, professionali o licei e quanti ne sono usciti cinque anni dopo con un titolo, dal 1995 a oggi, mostra come l’I­talia abbia perso lungo la strada tre milioni e mezzo di studenti dal 1995 a oggi. L’Italia ha anche il primato dei cosiddetti NEET: secondo Eurostat l’Italia si conferma maglia nera in Europa per la quota di giovani tra i 18 e 24 anni che non hanno un lavoro né sono all’interno di un percorso di studi o di formazione. Il nostro paese primeggia nel 2017 nella classifica europea, con una percentuale del 25,7%, a fronte di una media europea del 14,3%.

[8] La definizione è quella adottata dal MIUR e vi sarebbe da riflettere anche su questa scelta terminologica. Questo composito gruppo di studenti viene definito per quello che “non” è a causa di una legislazione anacronistica.

[9] I dati citati in questo paragrafo relativi agli allievi con cittadinanza non italia­na sono tratti da: MIUR, Gli alunni con cittadinanza non italiana nel sistema sco­lastico italiano. A.S. 2018-2019, Roma, luglio 2020, disponibile su www.miur.gov. it/documents/20182/2447435/Notiziario+Alunni+con+Cittadinanza+non+italia na+A.S.+2018_2019.pdf/ad84f9fc-efe5-46bd-2aa4-091b81727197?version=1.0 &t=1593701066178.

[10] MIUR, Gli alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano. Anno scolastico 2011-2012, Roma 2012, p. 3.

[11] MIUR, Gli alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano. A.S. 2018-2019, cit., p. 8.

[12] MIUR, Gli alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano. A.S. 2018-2019 cit., p. 18.

[13] La Rete G2, Seconde Generazioni, è stata la prima organizzazione in Italia esclusiva­mente composta da figli di immigrati nati o arrivati da piccoli, ma tutti cresciuti in questo paese. La rete è nata a Roma come gruppo informale nel 2005, con l’obiettivo di avviare un dibattito politico e culturale sulla condizione dei figli degli immigrati in Italia e sui loro diritti. Nel 2006 è stato inaugurato il blog www.secondegenerazioni.it.

[14] V. Ongini, Noi domani. Un viaggio nella scuola multiculturale, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 6-7.

[15] MIUR, Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri, Roma 2014, pp. 4-7.

[16] MIUR, Gli alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano. A.S. 2018-2019 cit., p. 26.

[17] G. Malusà, Riuscire a farcela. Pianificare percorsi di successo scolastico per studenti di origine migrante, FrancoAngeli, Milano 2019.

[18] MIUR, Gli alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano. A.S. 2018-2019 cit., p. 44.

[19] F. Susi, Educare senza escludere. Studi e ricerche sulla formazione, Armando Editore, Roma 2012, p. 10.