Il soft power secondo Pechino

Written by Barbara Alighiero Thursday, 24 February 2022 17:31 Print
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Ci sono ben tre diverse traduzioni in cinese del termine soft power, importato agli inizi degli anni Novanta dagli Stati Uniti, quando il politologo americano Joseph Nye venne ripetutamente invitato in Cina a spiegare il senso di quel concetto che affascinava i dirigenti di un paese alle prese con uno dei momenti peggiori per la sua immagine mondiale. La repressione delle manifestazioni di Tiananmen nel 1989 aveva distrutto nel giro di poche ore il credito che la Cina di Deng Xiaoping si era conquistato. Condannata dall’opinione pubblica internazionale che nelle prime dirette televisive mondiali aveva potuto seguire incredula l’intervento dell’esercito contro una popolazione inerme, la Cina era isolata. Deng, fragile nella vecchiaia ma determinato a non rimanere inerte davanti allo sfaldarsi della sua opera, tre anni dopo fu in grado di rilanciare l’economia, di far accettare ai più scettici conservatori del Partito comunista cinese la necessità di ritornare attraenti per gli investimenti esteri, di far ripartire la macchina dello sviluppo.

 

 

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