L’esito delle elezioni politiche dello scorso 25 settembre va necessariamente letto tenendo presenti alcune tendenze di lungo periodo, che interessano l’Europa e gran parte del continente americano. Non c’è dubbio che l’affermazione in Italia di una coalizione reazionaria, guidata da una destra identitaria, si deve principalmente alle irresponsabili divisioni dello schieramento progressista. È vero anche, tuttavia, che essa testimonia come la crisi della globalizzazione e il tradimento delle sue promesse possano ancora favorire ripieghi nazionalisti nel cuore del mondo occidentale.
Ragionare di “coraggio” al tempo della paura è senza dubbio suggestivo. Ma rischioso. Da tempo, il coraggio è comunemente inteso nella sua accezione individualistica di compimento di un gesto, o di un’impresa, fuori dal comune. A essere più esatti, il coraggio è venuto identificandosi con temerarie iniziative volontaristiche protese al cambiamento. Un cambiamento di segno neutro, “purchessia”, che troppo spesso nasconde l’angoscia di dover far fronte a problemi inediti, e che finisce dunque nella riproposizione, opportunamente spettacolarizzata, del già vissuto.
La difficoltà dell’opposizione a reagire alla sconfitta ha cause profonde. Chi voglia discutere di come sia opportuno rapportarsi al nuovo governo può essere aiutato da alcune considerazioni di contesto. Utile sarà indagare dove origini quella difficoltà, così come lo sarà tracciare una possibile rotta per chi, dovendo fare opposizione, deve scegliere come farla.
L’Italia attraversa una fase inedita della storia repubblicana, in cui inedito è anche il contesto internazionale ed europeo. Vaste aree del pianeta, alcune prossime alle nostre coste, pagano l’incapacità dei vincitori della lunga contrapposizione tra Est e Ovest di definire un nuovo equilibrio nei rapporti internazionali.