La rivista - Italianieuropei

il Sommario

l' Editoriale

Cinque idee per mobilitare l'Italia

E' sempre più urgente il bisogno di identificare un reticolo di idee in grado di spingere il paese fuori dal cono d’ombra nel quale si trova. E per dotarlo, un tale reticolo, del propellente politico necessario a farne un progetto mobilitante e condiviso. Si tratta di un’urgenza concreta per l’Italia, condotta sull’orlo del declino da due anni di navigazione a vista sotto la guida del centrodestra. Così come si tratta di un’urgenza politica per tutto il centrosinistra. Anche in vista della successione di elezioni amministrative, europee e politiche che attendono il paese a partire da questa primavera.

 

gli Articoli

Le cose da fare

Ridefinire l'agenda del paese

di Alfredo Reichlin

Con il collasso della Fiat, il tema del declino del paese è entrato finalmente nel dibattito politico. Sia pure con ritardo una parte dell’establishment, lo stesso che aveva creduto nei «miracoli» di Berlusconi, scopre con angoscia che con questa destra il paese è a rischio. Questo da un lato. Dall’altro si pone alla sinistra un serio problema: quello di alzare – e di molto – il livello del suo discorso politico e della sua proposta al paese.

 

Le cose da fare

Le disuguaglianze di genere. Un problema di equità e di vincoli allo sviluppo

di Chiara Saraceno

«Nel corso degli anni Ottanta e Novanta la questione dell’uguaglianza tra i sessi è stata largamente occultata, a causa dell’aumento delle disuguaglianze sociali e della disoccupazione ma anche delle rapide trasformazioni nella collocazione delle donne nella società e della soppressione degli arcaismi giuridici che in precedenza consacravano un trattamento disuguale degli uomini e delle donne (…). Tuttavia, malgrado miglioramenti incontestabili, l’uguaglianza di fatto tra donne e uomini è ben lontana dall’essere acquisita, tanto più che i mutamenti non sono lineari (…) e che i miglioramenti si accompagnano ad effetti perversi che rafforzano l’oppressione femminile.

 

Le cose da fare

Cultura e ricerca: l'Italia in ritirata?

di Salvatore Settis

Un problema strutturale Lo scarso investimento in cultura e in ricerca sembra essere da decenni un elemento strutturale col quale l’Italia ha imparato a convivere. Proteste, lagnanze, statistiche, confronti, si inseguono a cadenze fisse (in particolare quando è stagione di Finanziaria); governi e governanti rivendicano il merito di aggiustamenti e «provvidenze» che alla prova dei fatti si limitano a qualche decimale di punti percentuali, e attaccano i rispettivi avversari politici.

 

Le cose da fare

Abolire il Mezzogiorno?

di Gianfranco Viesti

Il problema dell’Italia è il Mezzogiorno Ma perché il Mezzogiorno è un problema? Contrariamente a quello che molti pensano, non è la terra della miseria e del sottosviluppo: il suo cittadino medio fa parte del 15% più ricco del mondo. Certo, all’interno del Sud vi è una fascia di popolazione che è povera; la povertà italiana, che è in misura rilevante povertà meridionale, è un problema serio; ma non è vero che in media le famiglie del Sud sono povere. Gli uomini e le donne che nascono al Sud hanno una speranza di vita del tutto simile a quella media italiana ed europea; anche se qui, la mortalità dei bambini durante il primo anno di vita è un po’ maggiore rispetto alla media nazionale ed europea.

 

Le cose da fare

La modernizzazione ecologica

di Edo Ronchi

Londra, capitale della rivoluzione industriale e, all’inizio del Novecento, città più grande del mondo, è stata a lungo anche la capitale mondiale dell’inquinamento. Il termine smog nasce proprio lì e indica la somma di smoke e fog, di fumo e nebbia. La situazione dell’inquinamento costituiva allora un problema di enormi dimensioni. È passata alla storia la morte di oltre quattromila londinesi nel dicembre 1952 quando la città fu avvolta per sette giorni consecutivi da una intensa nebbia: basse temperature, assenza di vento, emissioni inquinanti del riscaldamento domestico e degli impianti industriali a carbone provocarono una vera strage.

 

Pensare la Politica

Cambiare il PSE? Uniamo prima i riformisti italiani

di Claudio Martelli

In modi diversi Giorgio Napolitano, Pierre Moscovici e Peter Mandelson hanno risposto criticamente alla lettera di Amato e D’Alema ai socialisti europei. Napolitano giudica irrealistica la prospettiva di un coinvolgimento di tutti i riformisti europei in una «casa» comune, invitando gli autori a non confondere «la questione dell’Ulivo italiano come casa comune dei riformismi di centrosinistra, con la questione dei partiti europei». Una svolta simile, argomenta Napolitano, avrebbe bisogno di «ben altri approfondimenti» in mancanza dei quali la questione della collocazione europea «degli eletti italiani di centrosinistra nel Parlamento di Strasburgo si può risolvere in uno statuto speciale di associazione al gruppo socialista».

 

Pensare la Politica

Una proposta da condividere, per un nuovo soggetto riformista europeo

di Arturo Parisi

Non dovrebbe meravigliare nessuno la mia totale condivisione della proposta di formulata da Giuliano Amato e Massimo D’Alema nella lettera aperta al Partito del socialismo europeo, per la costruzione di una «casa comune di tutti i riformisti europei» guidata dalla stessa ispirazione che ha portato Romano Prodi a riproporre negli anni la costruzione di una «casa comune dei riformisti italiani». Perciò, oltre che esplicitare sommariamente le ragioni della mia condivisione, vorrei qui associarmi all’impegno di dare risposta a obiezioni che quella lettera ha provocato, attraverso il contributo di qualche riflessione che ho svolto nel tempo di fronte a obiezioni in larga misura identiche che mi sono state rivolte e che ora agli autori della proposta vengono rivolte dall’interno della «famiglia politica» alla quale appartengono.

 

Il caso Italiano

I danni del bipolarismo sindacale, il valore dell'autonomia

di Antonio Panzeri

In questa fase di transizione, che ha visto modificarsi in profondità tutto il panorama politico e istituzionale, anche il sindacato è messo in gioco e ha bisogno di ridefinire il suo ruolo e la sua prospettiva. In un mondo che cambia velocemente, il sindacato non è al riparo e non può solo affidarsi alla sua tradizione, alla sua consolidata forza organizzativa. Se cambia il contesto politico e sociale significa che si aprono anche per noi essenziali problemi di strategia, che dobbiamo – in altre parole – realizzare un’operazione complessa di riposizionamento, per essere non solo una forza di resistenza, chiusa nelle sue vecchie trincee, ma uno dei protagonisti che concorrono, nella dialettica sociale, a disegnare i nuovi equilibri del paese.

 

Il caso Italiano

Quanto ci conviene elettoralmente un Berlusconi demonizzato?

di Paolo Segatti e Hans M. A. Schadee

L’interrogativo posto dal titolo suggerisce, per effetto del soggetto chiamato in causa, diversi piani di riflessione e suscita sentimenti inevitabilmente intensi. Qui vorremmo riflettere solo su un aspetto, quello relativo alla convenienza elettorale. Per questo la domanda andrebbe riformulata in un’altra meno coinvolgente, ma forse più utile al ragionamento che vorremo fare. Quali sono gli effetti sugli elettori di una campagna elettorale negativa, una campagna nella quale una parte (o tutte e due) non si limita a promuovere le proprie posizioni politiche e a criticare quelle dell’avversario, ma cerca di mettere in cattiva luce presso gli elettori comportamenti, scelte, tratti della personalità di quest’ultimo, indipendentemente dal fatto che siano effettivamente riprovevoli o meno?

 

Due mesi di politica

Vino nuovo in botti vecchie. Il semiparlamentismo per chiudere la transizione italiana

di Sergio Fabbrini

L’Italia è ancora in piena transizione istituzionale. Naturalmente, è bene non confondere la transizione con la crisi. Infatti, la seconda coincide con la messa in discussione di un equilibrio politico-istituzionale vecchio, mentre la prima rinvia alla ricerca di un equilibrio politico-istituzionale nuovo. Nel caso italiano, la crisi è coincisa con la messa in discussione del modello consensuale di democrazia, mentre la transizione rinvia alla istituzionalizzazione di un modello competitivo di democrazia.

 

Due mesi di politica

Il premierato è utile all'Italia e all'Ulivo

di Giorgio Tonini

Sono numerose, nel centrosinistra, le voci che avvertono come il rilancio della questione delle riforme costituzionali, da parte della Casa delle libertà, mostri con evidenza i segni di un’operazione strumentale. Si tratterebbe, in buona sostanza, di un diversivo, messo in atto allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai deludenti risultati dell’azione di governo, in particolare nel campo della politica economica e sociale. Di più: con la ripresa del tema delle riforme, Berlusconi si proporrebbe di impaniare l’opposizione in una vischiosissima, e in definitiva inconcludente, discussione sulle regole, utile solo a una sua personale rilegittimazione.

 

Due mesi di politica

Riforme istituzionali e transizione repubblicana

di Cesare Pinelli

Negli anni Novanta il termine «transizione repubblicana» ha designato il passaggio dalla «repubblica dei partiti» a un sistema bipolare, in cui, si è detto tante volte, «la maggioranza governi e l’opposizione controlli» (e si prepari a sua volta, se gli elettori la premiano, a governare). Oggi possiamo affermare che i cittadini hanno largamente accettato, e contribuito a strutturare col loro voto, la conformazione bipolare del sistema. Eppure, nonostante le alternanze susseguitesi a partire dalla XII legislatura, gli strumenti istituzionali di cui maggioranza e opposizione dispongono per svolgere i rispettivi compiti sono ancora (salvo le novelle regolamentari della Camera) quelli di prima.

 

Dopo l'11 Settembre

Perchè Washington va alla guerra?

di Massimo Brutti

Le scelte politiche dell’amministrazione statunitense relative alla questione irachena non nascono dal nulla, né sono frutto d’improvvisazione. Saddam Hussein rappresenta un vecchio obiettivo, un nemico tradizionale, e i piani d’attacco erano già pronti da tempo. Ma essi sono diventati attuali negli ultimi mesi e la loro realizzazione viene ora considerata improrogabile. Perché? La svolta dipende naturalmente dal nuovo contesto, determinatosi dopo l’undici settembre.

 

Dopo l'11 Settembre

Contro l'estremismo islamico, gli Stati Uniti scelgano la forza della democrazia

di Steven J. Nider

Una contraddizione molto grave incombe sulla guerra che l’America sta muovendo contro il terrorismo. Il presidente Bush ha lanciato questa offensiva in nome della libertà e della democrazia; ciononostante egli insiste nell’intrattenere stretti legami con i governi arabi meno democratici del mondo, come l’Arabia Saudita e l’Egitto. Ma questo doppio criterio, ereditato dalla diplomazia della guerra fredda, rischia di pregiudicare un obiettivo cruciale degli americani: conquistare la fiducia del mondo musulmano.

 

Policy Network

L'Unione europea deve agire in Medio Oriente

di Steven Everts

Il processo di integrazione europea, nel corso dei primi tre decenni dal suo avvio, si è concentrato sugli aspetti economici. Il primo mutamento rispetto alla iniziale esclusione della politica estera dalle materie oggetto di decisioni comunitarie si è registrato, quasi paradossalmente, quando la Comunità economica europea (CEE) ha adottato una posizione comune sulla questione internazionale probabilmente più controversa e complicata: il conflitto arabo-israeliano.

 

Policy Network

Cos'è davvero la devolution britannica?

di Davide Gianluca Bianchi

Da anni ormai, in Italia, si registra un pronunciato interesse per il tema devolutivo, senza che lo stesso sia riuscito tuttavia a penetrare in misura adeguata l’ambito scientifico. Il fatto che l’argomento sia stato tematizzato prevalentemente dalla classe politica e dalla stampa quotidiana, e in termini meno percepibili dalla comunità scientifica, mette il ricercatore di fronte a non poche difficoltà: da un lato, le indagini positive sul tema rischiano di essere gravate dal sospetto di strumentalizzazione rispetto all’attualità politica italiana, dall’altro, nel momento in cui si parla di devolution, si deve fatalmente fare i conti con il significato «vergato» dai media e diffuso presso l’opinione pubblica dando conto del dibattito politico in corso nel nostro paese.

 

Versus

Governare il mercato globale si può. Il ruolo delle istituzioni finanziarie

di Maria Grazia Reitano

È da tempo un risultato acquisito che nessuna delle due forme estreme di organizzazione dell’economia, la pianificazione centralizzata e il mercato privo di regole, funzionano. La sfida per la politica economica, soprattutto per la politica economica riformista, è allora quella di scegliere forme e istituzioni di governo dell’economia e del mercato appropriate. Governare la globalizzazione non è che l’ultima in termini di tempo, ma probabilmente la più complessa «incarnazione» di questa sfida.

 

Versus

Opporsi al mercato globale si deve. Le ragioni dei no global

di Giampiero Rasimelli

Quali sono le ragioni dei no global o new global che dir si voglia? Secondo me ne esistono fondamentalmente due. La prima è che questo movimento variegato ed eterogeneo ha conquistato sul campo legittimità alla critica della globalizzazione neoliberista, quella che sin qui abbiamo conosciuto, quella del pensiero unico, della fine della storia. La politica riformista si è attardata e involuta nella reazione alla sconfitta storica maturata con la rivoluzione tecnologica, con la crisi del welfare e tra le macerie lasciate dalla caduta del muro di Berlino.

 

Europa Europe / Le vie del calcio

Il calcio in un paese solo non basta più

di Giorgio Tosatti

Vi siete mai soffermati a pensare quali siano le reali differenze tra gli sport individuali e quelli di squadra? I primi nascono come sfide fra guerrieri ed hanno obiettivi quasi ascetici: superare gli avversari ma – soprattutto – superare i propri limiti e quelli umani. In una continua, spasmodica ricerca di miglioramento. Tendendo subito a valori assoluti, non a piccole glorie locali. I più bravi nella corsa, nel salto, nei lanci, nella lotta si misurano ad Olimpia sotto gli occhi degli dei. I vincitori saranno trattati quasi come divinità.

 

Europa Europe / Le vie del calcio

Giochi di guerra? Calcio, Europa, integrazione

di Antonio Missiroli

Tom Friedman, noto editorialista del «New York Times», ha scritto qualche tempo fa un articolo sull’allargamento della NATO in cui, fra molte altre cose, spiccava una considerazione apparentemente marginale. Spiegando come, in realtà, esistessero oramai nel mondo diversi tipi di coalizione a seconda dell’intensità e dei rischi delle eventuali missioni – via via più ristrette quanto più il gioco si fa duro (the going gets tough, come nella celebre gag dei «Blues Brothers») – Friedman osservava come, in tempi di guerra o quasi, il nucleo di forze davvero capaci di farvi fronte si restringesse più o meno a quattro paesi: i tre anglofoni Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia, e la Francia, partner tanto coriaceo in tempi di pace quanto affidabile in tempi di guerra.

 

Europa Europe / Le vie del calcio

La grande bolla speculativa del pallone

di Gianfranco Teotino

Adesso si chiama salary cap, funziona bene negli sport professionistici USA, è una tentazione per il calcio europeo e uno spettro che si aggira per l’Italia. Gli inglesi ci stanno provando, per ora dalla serie B in giù. Pare invece che non vi sia alcuna possibilità che sia introdotto nel calcio italiano: impensabile, dicono, un gentlemen’s agreement fra i litigiosissimi presidenti del pallone, inesistente una qualsivoglia Autorità in grado di imporlo dall’alto. Una settantina d’anni fa si chiamava decurtazione degli stipendi e fu sancita con un’ordinanza del «Direttorio federale» del pallone (il «Consiglio federale» dei giorni nostri, sempre di federali si tratta).

 

Le storie

La fonte dell'attenzione

di Riccardo Rita

Andrea strinse ancora un po’ la fibbietta degli stivali. Lo sapevo che il quarantadue mi stava largo, disse. Fece qualche passo sul posto, come se stesse pestando l’uva in una tinozza, poi si spolverò con le mani i pantaloni della tuta di pelle, anche se non erano impolverati, infilò i guanti e uscì dal bagno tenendo il casco incastrato tra l’anca e il braccio. Il corridoio era deserto. Guardò prima a sinistra, poi a destra, per ricordarsi da quale parte era venuto, e s’incamminò a testa bassa verso il lato più rumoroso.

 

Novecento

Essere comunisti nel Novecento. Hobsbawm tra storia e memoria

di Silvio Pons

È lo stesso Hobsbawm a fornirci una chiave di lettura della sua autobiografia: «in un certo senso, questo libro è l’altra faccia del Secolo breve: non una storia mondiale illustrata dall’esperienza dell’individuo, ma la storia mondiale che conforma l’esperienza o meglio che offre un insieme mutevole ma sempre limitato di scelte (…)». Questa chiave di lettura trova ampie conferme nelle pagine del volume.

 

Le idee

I giovani e il futuro dell'Europa

di Giacomo Filibeck

«L’Unione deve diventare più democratica, più trasparente e più efficiente. Essa deve inoltre dare una risposta a tre sfide fondamentali: come avvicinare i cittadini – in primo luogo i giovani – al progetto europeo e alle istituzioni europee? Come strutturare la vita politica e lo spazio politico europeo in un’Unione allargata? Come trasformare l’Unione in un fattore di stabilità e in un punto di riferimento in un mondo nuovo, multipolare?». Dichiarazione di Laeken sul futuro dell’Unione europea.

 

Archivi del Riformismo

L'invenzione dell'opinione pubblica

di Massimiliano Panarari

«Opinione pubblica», quante volte ci capita di leggere o di usare comunemente e con familiarità questa espressione, perfetto esempio di quanto uno dei maggiori storici della contemporaneità, Eric J. Hobsbawm, non avrebbe, invece, esitato a definire l’«invenzione di una tradizione»? Un concetto per noi alquanto «scontato», ma dalla genesi lunga e complessa, che trova un affresco magistrale nel libro – da riscoprire e rileggere – dello statunitense Walter Lippmann intitolato «L’opinione pubblica», un autentico classico, pieno di intuizioni geniali e pionieristiche e attualmente un po’ trascurato, degli studi sulla comunicazione e la formazione delle «visioni del mondo» poste all’origine delle società contemporanee dell’Occidente.