Sanità, università e ricerca

Di Carlo Croce Mercoledì 01 Settembre 2004 02:00 Stampa

Lo stato deplorevole in cui sanità, università e ricerca si trovano oggi in Italia è una condizione purtroppo nota, dovuta in primo luogo alla mancanza di una cultura moderna che serva da motore. Continuiamo a glorificare la grande cultura del nostro passato, ma siamo incapaci di adeguarci al presente e al futuro. L’essere pragmatici è diventato una eresia: preferiamo girare intorno ai problemi, senza tuttavia fare niente per risolverli. I maggiori esponenti della nostra cultura, figure come Dante, Petrarca, Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Galileo, Bernini, Borromini e innumerevoli altre, sono vissuti secoli fa, quando intellettuali e artisti di tutto il mondo venivano in Italia per imparare e contribuire alla nostra cultura. L’arte, la cultura e la scienza erano apprezzati e stimolati, a differenza di quanto accade oggi.

 

Lo stato deplorevole in cui sanità, università e ricerca si trovano oggi in Italia è una condizione purtroppo nota, dovuta in primo luogo alla mancanza di una cultura moderna che serva da motore. Continuiamo a glorificare la grande cultura del nostro passato, ma siamo incapaci di adeguarci al presente e al futuro. L’essere pragmatici è diventato una eresia: preferiamo girare intorno ai problemi, senza tuttavia fare niente per risolverli. I maggiori esponenti della nostra cultura, figure come Dante, Petrarca, Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Galileo, Bernini, Borromini e innumerevoli altre, sono vissuti secoli fa, quando intellettuali e artisti di tutto il mondo venivano in Italia per imparare e contribuire alla nostra cultura. L’arte, la cultura e la scienza erano apprezzati e stimolati, a differenza di quanto accade oggi. Viviamo in un deserto culturale colmato solo dai proclami di individui molto più impegnati ad ascoltare la propria voce e a perseguire i propri interessi che quelli del paese. E siamo invece completamente incapaci di competere in una economia globale e della conoscenza. È dunque necessario interrogarsi sulle cause di questa situazione e sui possibili rimedi e le riforme in grado di modificarla.

Le ragioni sono in larga parte attribuibili al fatto che l’Italia è stata incapace di creare un’università moderna, fondata sulla ricerca, capace di generare nuova cultura. E non è stata in grado, in un’economia di mercato, di stabilire un sano rapporto tra privato e pubblico. I monopoli, sia economici che culturali, hanno avuto un effetto deleterio per il progresso del paese. L’industria di Stato ha incoraggiato l’inefficienza e la corruzione e ha permesso la concentrazione del potere nelle mani della classe politica, impedendo che potesse svilupparsi una fisiologica competizione.

Quale è dunque il ruolo dell’università? Due sono le funzioni principali e strettamente interdipendenti: educare i giovani a una esistenza produttiva, e generare nuove conoscenze. In Italia l’università è al contrario un monopolio dello Stato che promuove solo l’insegnamento in un’inefficiente macchina burocratica. Pretendere di crescere in un’economia della conoscenza, quando si è incapaci di preparare i giovani alle sfide del mondo moderno e di produrre nuove conoscenze, diventa quindi un obiettivo velleitario. La riforma radicale dell’università e dell’educazione dovrebbe rappresentare per il paese la priorità assoluta.

In molti, per primo il ministro Moratti, ritengono che l’università si basi principalmente o esclusivamente sull’insegnamento delle varie discipline, a prescindere dalla qualità dell’insegnamento: i professori devono fare più ore possibile di lezione e gli studenti devono parteciparvi. Non è rilevante come i docenti siano stati selezionati, se sulla base delle loro capacità scientifiche e della qualità dell’insegnamento, o se gli studenti sviluppino una capacità critica nelle loro materie di interesse. Il ministro, e coloro che ne condividono l’orientamento, non capiscono che un compito essenziale dell’università è quello di creare nuove conoscenze e che, solo se ciò si verifica, diventa possibile stimolare i giovani a utilizzare le loro capacità. La ricerca in qualunque campo scientifico è fondamentale affinché l’università possa svolgere appieno il ruolo che le compete. Sostenere che questo coincida solo con l’insegnamento significa quindi fraintenderne e sminuirne il ruolo in una società moderna.

Un altro elemento essenziale che manca all’interno dell’università italiana è la competizione. Negli Stati Uniti, paese all’avanguardia nell’innovazione e nella ricerca, esiste un sistema di competizione aperta, a cui possono partecipare studenti e professori di università sia pubbliche che private, per accedere ai fondi federali, locali e privati. Ed è questa la caratteristica che rende le università americane le migliori del mondo.

Il problema di una università essenzialmente monopolizzata dalla struttura statale non riguarda solo l’Italia, ma tutta l’Europa. Poiché l’istruzione dovrebbe essere aperta a tutti coloro che hanno la volontà e la capacità di seguire un percorso formativo, si ritiene spesso che essa debba essere appannaggio esclusivo dello Stato. In Europa, prevale infatti la tendenza a considerare l’istruzione universitaria statunitense eccessivamente costosa e quindi insostenibile per le possibilità di molti cittadini.

Contrariamente a questa opinione, in ogni Stato americano vi è almeno una università pubblica, con costi per gli studenti analoghi a quelli delle università europee, aperta indifferentemente ai cittadini dello Stato e a studenti non residenti, sebbene con alcune differenze di costi. In base al merito tuttavia gli studenti migliori sono esonerati dalle tasse. Le università private hanno costi superiori a quelle pubbliche, ma esiste per gli studenti più meritevoli la possibilità di ricorrere a prestiti d’onore a interessi molti bassi. A conferma che l’opinione diffusa in Europa secondo cui negli Stati Uniti solo le classi benestanti avrebbero accesso all’istruzione superiore è priva di fondamento. È del tutto comune infatti che figli di emigranti si laureino nelle università più prestigiose, a differenza di quanto accade invece in Europa e in particolare in Italia.

Ogni università stabilisce i propri standard per l’ammissione degli studenti. Le migliori hanno ovviamente gli standard più alti, ma a nessun cittadino è negata l’opportunità di poter accedere a una valida istruzione universitaria. Nelle università migliori e nella grande maggioranza di quelle statali la ricerca occupa un grande spazio accanto all’insegnamento. La ricerca viene finanziata per la maggior parte con contributi dei dipartimenti del governo federale sulla base dell’attività scientifica programmata, e in parte minore dagli Stati e dai privati. Un passaggio importante di questo processo è la verifica sull’utilizzo dei fondi. Il governo federale rende disponibili i fondi per le università e i centri di ricerca in base alla loro attività scientifica. Produrre innovazione e conoscenza è il presupposto vincolante per ottenere i finanziamenti governativi, a differenza di quanto accade in Europa e in Italia.

L’indipendenza da ogni orientamento governativo e l’autonomia di gestione delle università americane costituiscono un altro tratto fondamentale che le distingue da quelle europee. È sufficiente analizzare la produzione scientifica delle università americane ed europee per rendersi conto del divario che le separa e della superiorità del sistema statunitense. Inoltre, poiché in America è diffusa la convinzione che la ricerca sia fondamentale per il progresso e per l’economia del paese, il governo federale, i singoli Stati, i privati e l’industria investono risorse consistenti nella ricerca di base e applicata. Le differenze tra Europa e Stati Uniti, tuttavia, non sono solo strutturali. L’Italia investe solo lo 0,6-0,8% del prodotto interno lordo in ricerca, gli Stati Uniti più del 3%. Considerando la scarsità di risorse di cui possono disporre i ricercatori italiani i loro risultati sono sorprendenti, ma la differenza rispetto ai ricercatori francesi e tedeschi che dispongono di risorse tre-quattro volte superiori, è comunque notevole.

Nelle università italiane la mancanza di una impostazione che privilegi la ricerca e l’assenza di un legame diretto tra entità dei finanziamenti e risultati scientifici rende il sistema universitario inadatto a fornire ai giovani la preparazione necessaria per competere in una economia globale basata sulla conoscenza, con evidenti conseguenze negative sull’economia del paese. La qualità della sanità – e non è che un esempio – dipende non solo dalla sua organizzazione, ma anche dalla preparazione del personale sia medico che assistenziale, le cui carenze nella hanno ricadute negative dirette sui servizi forniti ai cittadini.

Anche nel campo medico e assistenziale il monopolio di fatto dello Stato è causa di un livello di efficienza molto basso, di scarsa qualità, di costi ingiustificati e di ritardi. L’unico ambito aperto alla concorrenza resta quello circoscritto alle cliniche private. Negli Stati Uniti esiste al contrario una forma di competizione assolutamente trasparente tra ospedali pubblici e privati che contribuisce alla ottima funzionalità del sistema sanitario americano. È dunque essenziale che l’Italia provveda a riformare il sistema universitario e della ricerca, promuovendo la qualità e stimolando la competizione tra strutture pubbliche e private.