Cambiare la PA, sfida riformista: la chance del PNRR per coniugare crescita e giustizia sociale

Di Renato Brunetta Mercoledì 22 Settembre 2021 16:06 Stampa
Cambiare la PA, sfida riformista: la chance del PNRR per coniugare crescita e giustizia sociale Istockphoto/Rost-9D

 

Una Pubblica amministrazione che funziona, efficiente, gentile e “facile” – uno Stato che si fa alleato dei cittadini – è il sogno più democratico che si possa immaginare. Ma è anche il più complesso e ambizioso da realizzare. Il momento per farlo è ora. Grazie al Next Generation EU (NGEU) il desiderio di innovare profondamente la macchina amministrativa non è più un’aspirazione utopistica o un esercizio retorico, ma un obiettivo a portata di mano. Il NGEU è il motore di un nuovo riformismo europeo, quello migliore, rimasto sottotraccia per troppi anni, schiacciato dalle politiche di rigore di Bruxelles.

Il traguardo che abbiamo davanti da qui al 2026 è chiarissimo: una Pubblica amministrazione agile ed efficace, in grado di sostenere e age­volare le due transizioni, digitale e ambientale, al centro del nuovo “rinascimento” europeo, e di dare prospettive concrete di lavoro e di benessere alle nuove generazioni, semplificando la vita quotidiana di famiglie e imprese. Una rivoluzione gentile, ma inesorabile, vantag­giosa per l’intero sistema sociale e produttivo, foriera di opportunità.

Rafforzare e riqualificare una PA depauperata di risorse e competenze è anche l’arma più efficace per contrastare le diseguaglianze e ridurre il gap tra chi può rivolgersi soltanto allo Stato per ottenere servizi, sa­nità, istruzione e giustizia, e chi ha la possibilità economica di acqui­stare gli stessi servizi sul mercato. Serve più Stato affinché ci sia più mercato. Lo dico da socialista liberale, convinto che occorra coniu­gare la crescita con la giustizia sociale, gli spiriti animali del mercato con le regole. Socialista liberale senza trattino, secondo la regola del trattino coniata da Francesco Cossiga a proposito del centro-sinistra come alleanza tra due mondi. Con ciò voglio significare come la na­tura della visione che tiene insieme teoria e prassi del mio impegno di ministro non ha parti “socialiste” e altre “mercatiste” da scegliere volta per volta dallo scaffale dell’ideologia, ma ha per riferimento dottrinale e operativo l’esperienza della grande rinascita europea che, elaborata e praticata anzitutto nella Germania federale, è stata chia­mata dai suoi artefici “Economia sociale di mercato”. Ho dedicato a questo tema un ampio intervento su “Il Foglio” del 5 luglio scorso,1 e non è qui il caso di dilungarmi oltre. Farei precedere un aggettivo all’usata definizione: “Nuova economia sociale di mercato”.

In questo senso il programma di cambiamenti strutturali nella Pub­blica amministrazione non è semplicemente un ambizioso progetto “tecnico”, ma è un piano ad alta intensità politica, divenendo il pre­supposto per realizzare pienamente i diritti individuati dalla Costi­tuzione.

Siamo partiti dalle persone per disegnare la riforma della PA nel Pia­no nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) che abbiamo inviato in Europa a fine aprile e che ha ricevuto il pieno plauso della Commis­sione: dieci “A” e una “B”. Il nostro paese ha dimostrato di saper rispettare i tempi e gli impegni, con ottimi risultati. Affidabile e cre­dibile: questa è l’Italia di Mario Draghi, che cresce a ritmi da boom economico. Perché la credibilità e la reputazione compongono un asset economico invisibile, che richiama gli spiriti animali del mercato e favorisce l’afflusso di capitali privati.

LA CONGIUNTURA ASTRALE

Stiamo vivendo una fase storica eccezionale, una congiuntura astra­le straordinaria scaturita paradossalmente da una imprevedibile crisi sanitaria ed economica.

La risposta dell’Europa allo shock della pandemia consacra Angela Merkel nel pantheon dei grandi statisti, perché, come tutti i grandi statisti, ha saputo cambiare idea: la Cancelliera tedesca aveva sempre contestato le proposte di indebitamento comune, ma ha invertito la rotta avallando il Next Generation EU, l’iniezione di solidarietà e fiducia da quasi 800 miliardi raccolti sul mercato che al Vecchio continente mancava e che finalmente è arrivata. Merkel, come fece Alexander Hamilton nel 1790 trasformando il debito comune nel collante degli Stati Uniti d’America, ha intercettato l’urgenza del cambiamento, consentendo all’Europa di abbandonare, speriamo per sempre, il suo volto più arcigno.

Frutto del “momento Merkel” è il nostro Piano nazionale di ripresa e resilienza da 235 miliardi, finanziato in gran parte da debito comune europeo. Il 22 giugno scorso il PNRR ha ricevuto valutazione lusinghiera da parte della Commis­sione presieduta da Ursula von der Leyen. È un piano di riforme accompagnate da investimenti, non il contrario. Il grimaldello per aggredire le debolezze strutturali del paese. Dopo il via libera da parte del Consiglio europeo al Piano, abbia­mo ottenuto l’anticipo di 25 miliardi di euro. Da qui al 2026, come ogni paese, l’Italia sarà sottoposta ogni sei mesi alla verifica degli obiettivi concordati e dei SAL (“Stati avanzamento lavori”), condizione perché i fondi siano erogati.

Oggi possiamo volare alto anche per un altro motivo. Abbiamo Ma­rio Draghi presidente del Consiglio, una figura dall’autorevolezza senza pari a capo di un governo di unità nazionale. E abbiamo la presidenza del G20, una vetrina speciale per raccontare al mondo cosa stiamo facendo.

CRESCITA E GIUSTIZIA SOCIALE, SFIDA RIFORMISTA

Crescita e giustizia sociale, ecco il binomio da cui non possiamo e non potremo prescindere. Sul primo punto saranno le condizionalità di Bruxelles, un bel vincolo esterno, a farci evitare passi falsi. Senza giri di parole, siamo coscienti che non potremo avere i finanziamenti del Recovery Plan senza le riforme e che per fare le riforme – Pubbli­ca amministrazione, semplificazioni, giustizia e concorrenza – dob­biamo essere capaci di rimuovere le incrostazioni che finora hanno impedito all’Italia di cambiare.

Il successo di questa operazione non si misurerà, però, soltanto in termini di PIL. Serve scommettere su un’Italia più giusta, più coesa, in grado di superare sterili contrapposizioni, ormai anacronistiche: Sud contro Nord, Stato contro privato, garantiti contro non garanti­ti. Una società dei diritti praticati ed esigibili in grado, per dirla con Émile Durkheim, di riscrivere la “coscienza collettiva”. Un’Italia che non lasci nessuno indietro.

Sono troppi anni che il nostro paese non conosce una fase espansi­va, di crescita non solo economico-produttiva, ma anche sociale e culturale. Per questo il PNRR non va inteso come un bancomat, ma come un “contratto” – un piano di riforme in cambio di soldi – per entrare in una nuova fase storica. Un incubatore di visioni praticabi­li, il vettore per traghettarci tra quello che siamo e ciò che vogliamo e possiamo diventare. L’Italia è la destinataria della maggiore quota di fondi del Next Generation EU. Ne discende che sulle sue spalle poggia la maggiore fetta di responsabilità. Un altro motivo per cui non possiamo fallire: ne va della nostra immagine internazionale, oltre che del futuro dei nostri figli.

Stiamo gettando le fondamenta per la rifondazione del paese, come avvenne nel dopoguerra. Il Piano Marshall segnò lo spartiacque tra un’Italia rurale che usciva a fatica dalle macerie della guerra e quella del boom, della crescita, del sogno, del benessere e del superamento di un atavico sistema di classi sociali immobili, impermeabili al cam­biamento. Allora l’Italia seppe immaginare il futuro e governare lo sviluppo con entusiasmo e lungimiranza. Dobbiamo farlo anche ora. Abbiamo finalmente gli strumenti, le risorse e l’intelligenza politica per cambiare rotta. E abbiamo un’Europa diversa, dalla nostra parte: un paradigma per nulla scontato, se pensiamo alle politiche di au­sterity che abbiamo subito nell’ultimo ventennio. Ma le istituzioni, la finanza e la politica da sole non bastano. Il riformismo ha bisogno dell’ossigeno culturale e del clima giusto in cui maturare.

La mia esperienza, in questo senso, parla da sola. Al mio primo man­dato da ministro per la Pubblica amministrazione, dal 2008 al 2011, avevo già ben chiaro quali fossero i cambiamenti necessari alla PA. Con i colleghi di governo mettemmo in piedi una riforma ambiziosa, duramente contestata perché provava a sciogliere grumi di conserva­zione resistentissimi. Fallimmo in parte, perché era un altro mondo, un’altra Italia e un’altra Europa, che di lì a poco avrebbe imbracciato le forbici per imporci il famigerato “lacrime e sangue”. L’esito è noto: blocco delle assunzioni, congelamento degli aumenti contrattuali, impoverimento dell’amministrazione pubblica. Impossibile, senza la linfa del contratto, produrre innovazione. Dopo decenni di buio e pessimismo, possiamo permetterci l’ottimismo della ragione e quello della volontà. Ci sono i numeri a sostenerci. La Commissione euro­pea ha rivisto al rialzo le stime di crescita dell’Italia con il PIL che nel 2021 sale intorno al +6%. Sono cifre da boom economico, ma l’Italia non può accontentarsi di un rimbalzo quasi fisiologico per poi tor­nare ai livelli di crescita precedenti. L’orizzonte cui tendere non è la normalità pre-Covid. Per questo sono necessari tutti gli investimenti e le riforme del PNRR per arrivare a una crescita stabile, duratura e sostenibile, che produca un cambiamento sostanziale del paese. Ed è necessaria una “appropriazione collettiva” dei progetti e dello spi­rito del Next Generation EU: stiamo lavorando all’organizzazione di Open Day in tutte le principali sedi universitarie per trasferire il Piano dalla finanza e dalle decisioni dei capi di Stato e di governo al vissuto quotidiano delle famiglie, delle imprese, di tutti i cittadini, e in particolare dei più giovani.

La scommessa è che le nuove generazioni possano ripagare il debi­to grazie a un’economia più forte, una società più giusta, un capitale umano pubblico competente e motivato, una burocrazia più “buona”. Mente chi sostiene che non esiste. La abbiamo vista all’opera con la campagna di vaccinazione, grazie al Commissario Figliuolo: organiz­zazione impeccabile, servizio eccellente, ma anche gentilezza e cortesia.

FAR VINCERE LA BUONA BUROCRAZIA

Il governo Draghi di unità nazionale è solido nella convinzione che per attuare gli obiettivi del PNRR bisogna liberare lo Stato dalle gab­bie della cattiva burocrazia, che strozza i cambiamenti. Una PA effi­ciente è l’olio senza il quale gli ingranaggi del futuro sono destinati a girare lentamente. E non possiamo più permetterci lentezza.

Circa il 70% dell’effetto totale stimato nel PNRR dalle riforme strut­turali è attribuibile alla riforma dell’amministrazione. La vera novità, rispetto al passato, è che stiamo lavorando a una riforma non solo legislativa: superiamo finalmente la taumaturgia della norma, e in­vestiamo in persone, processi e tecnologie. Interventi “chirurgici”, mirati, e non provvedimenti generali, di sistema, che richiederebbero lunghi tempi per l’attuazione. Tempi che non abbiamo. Soltanto la transizione amministrativa, con la semplificazione e reingegnerizza­zione dei processi, può assicurare la riuscita delle altre transizioni chiave, quella digitale e quella ecologica. Il 9 marzo ho illustrato in Parlamento le mie linee programmatiche annunciando un nuovo alfabeto per la Pubblica amministrazione: A come Accesso, B come Buona amministrazione, C come Capitale umano, D come Digitalizzazione. Il PNRR ita­liano è un’enorme scommessa sul capitale umano pubblico che va ringiovanito e riqualificato, do­tandolo di nuove competenze. Il 10 marzo abbia­mo siglato con i sindacati a Palazzo Chigi il Patto per l'innovazione del lavoro pubblico e la coesio­ne sociale, la cornice entro la quale è stata riavvia­ta la stagione dei rinnovi contrattuali del pubblico impiego, linfa vitale per il cambiamento.

In pochi mesi molto, moltissimo, abbiamo già fatto, rispettando il cronoprogramma negoziato con la Commissione europea. A maggio abbia­mo approvato il decreto legge su semplificazioni e governance, con la sburocratizzazione delle pratiche relative al superbonus 110% e il taglio dei tempi delle autorizzazioni ambientali e per la banda ultra­larga; il 3 giugno quello sul reclutamento del personale per il PNRR, che contiene anche le prime novità strutturali per il pubblico im­piego: riforma delle carriere, più formazione, più mobilità verticale e orizzontale, più osmosi tra pubblico e privato, valorizzazione del merito e della produttività, anche attraverso il superamento del tetto al salario accessorio. Entrambi i decreti sono stati convertiti in legge dal Parlamento prima della pausa estiva. Da agosto è attivo il Portale nazionale del reclutamento, Inpa.gov.it, dove è già possibile regi­strarsi e inserire il proprio curriculum: dall’autunno ospiterà i bandi e gli avvisi di selezione del personale PNRR e ci si potrà candidare con un clic.

La trasparenza resta la mia parola d’ordine, la stessa che sarà alla base del prossimo disegno di legge delega di riforma dell’anticorruzione: un’altra tappa prevista dal Piano, che semplificherà la normativa di prevenzione e contrasto della corruzione per razionalizzare gli oneri a carico delle amministrazioni e assicurare maggior rigore. Allo stesso modo, puntiamo ad affermare i princìpi del coordinamento e del­la programmazione dei controlli da parte delle amministrazioni, sul modello francese. La PA non deve risultare vessatoria, intralciare le attività controllate o, peggio, arrecare danni di immagine.

 


[1] R. Brunetta, Per un’Italia migliore, senza dogmi, in “Il Foglio”, 5 luglio 2021, disponibile su www.ilfoglio.it/politica/2021/07/05/news/per-un-italia-migliore-senzadogmi-2616340/.