La scuola di fronte all’emergenza

Di Giuseppe Bagni Giovedì 24 Settembre 2020 15:39 Stampa
La scuola di fronte all’emergenza ©iStockphoto.com/PeopleImages

Nei mesi difficilissimi che abbiamo attraversato con le scuole chiuse, l’obiettivo primario è stato quello di affermare la loro presenza anche in una situazione di emergenza mai vissuta. Stabilire un contatto con gli alunni e con le loro famiglie per evitare che, nell’isolamento in cui eravamo tutti costretti, prevalesse il vuoto. Conoscere e utiliz­zare nuovi strumenti di insegnamento è stato un arricchimento sia per gli studenti che per i docenti, ma solo per coloro che avevano ben chiaro che essi sono un mezzo, non un fine. Il fine della scuola, in ogni situazione, è l’apprendimento, che benché sia individuale è da intendersi come il successo personale in un’avventura collettiva giocata a scuola, «un luogo sociale animato dal desiderio», come ha scritto Miguel Benasayag. Il desiderio è quello di mettere alla pro­va le proprie attitudini e potenzialità scoprendo se stessi mentre si scopre il mondo in un contesto di socialità vera e faticosa, perché prevede una condivisione degli obiettivi prolungata nel tempo e ca­pace di coinvolgere due generazioni: quella degli studenti e quella degli insegnanti. Qualcuno ha scritto che nella scuola si incontrano la generazione dei padri e delle madri con quella dei figli non con­sanguinei. Nulla a che vedere con il carattere effimero della frequen­tazione senza regole dei social che molti adolescenti praticano e che può produrre un senso di solitudine ancora più grande.

Adesso è fondamentale che tutta la società dimostri con i fatti l’im­portanza della scuola facendo il massimo sforzo per riaprirla nel mas­simo della sicurezza. Si può fare a meno, per un periodo limitato, di una discoteca, o di una piscina, ma non della scuola. E i docenti de­vono essere consapevoli che ora più che mai è necessario dare senso al fare scuola quotidiano, privilegiando le relazioni, soprattutto quelle orizzontali; favorendo la discussione con i bambini e con i ragazzi, stimolando il confronto, la discussione. Dobbiamo saper utilizzare in positivo il vuoto che i mesi senza scuola hanno creato nella vita dei bambini e dei ragazzi. Molti di loro, quasi tutti, si sono trovati per la prima volta ad avere tanto tempo vuoto e a confrontarsi con l’incertezza e la paura, senza i filtri e i veli che la frenesia quotidiana pone. Dobbiamo adesso aiutarli a comprendere che ciò che è successo, e purtroppo ancora ci colpisce, costringe tutti a rivedere i propri comportamenti per il rispetto della sicurezza no­stra e altrui, ma offre anche l’opportunità preziosa per riflettere sui rapporti umani nel momento in cui il distanziamento sociale li ini­bisce, ma che può proprio per questo farci apprezzare maggiormente il valore che hanno nella vita di ciascuno.

La scuola non può ripartire sperando di chiudere una parentesi, ben­sì farsi forte e ancora più significativa grazie all’analisi, che deve aiu­tare a svolgere, del tempo che abbiamo attraversato e viviamo; di ciò che sta succedendo nel mondo; di quanto tutto questo abbia influito sugli stati d’animo di tutti, sia quelli positivi che quelli negativi che purtroppo non sono mancati; di come abbia cambiato la nostra espe­rienza di vita quotidiana. E con gli studenti più grandi anche degli ospedali pubblici e dell’importanza di investire nella ricerca, della so­lidarietà verso i più deboli ed esposti in un momento in cui abbiamo visto moltiplicarsi gesti in tal senso.

Ma allora non possiamo pensare – tantomeno desiderare – di tornare nella scuola di prima, magari con l’illusione che basti apprendere tec­niche nuove e “proseguire il programma” là dove è stato interrotto. Si tratta piuttosto di dare un senso ancora più forte allo stare insieme a scuola rispondendo ai bisogni dei bambini e dei ragazzi, facendoli con­sapevoli che l’avventura della scoperta, l’apprendimento, lo studio, la conoscenza, li aiutano a capire, li rendono più forti, sono gli strumenti indispensabili per scrivere il loro futuro. Mai come in questo momento gli allievi sono carichi di domande. Hanno bisogno di imparare a ri­conoscerle, a formularle. Dove se non a scuola? In una scuola che non deve ovviamente allontanarsi dal sentiero della scuola della Costituzio­ne, che pone a suo fondamento la rimozione degli ostacoli e la lotta alle diseguaglianze, un percorso che oggi appare ancora più impegnativo.

LE AZIONI DEL MINISTERO

Di fronte a una situazione drammatica e mai esperita, la politica ha rimosso per lunghi mesi il problema della scuola, senza rendersi conto che questo significava dimenticarsi del benessere dell’infanzia e dell’adolescenza. Le scuole italiane sono quelle che in Europa sono state chiuse per prime e saranno molto probabilmente le ultime a riaprire. Un tempo lunghissimo nel quale purtroppo non ci si è pre­occupati, come sarebbe stato necessario, di sce­gliere con chiarezza la strada da imboccare per la ripartenza. Commissioni, comitati tecnici e linee guida si sono rincorsi, accavallati e spesso scon­trati senza soluzione di continuità, con l’unico risultato tangibile di aumentare la confusione e il disorientamento. Le linee guida per la gestione della didattica a distanza nella fase d’emergenza hanno dato l’impressione di avere come obietti­vo la normalizzazione di un’esperienza scolastica che chiunque abbia vissuto in prima persona sa bene che di normale non aveva assolutamente niente: né il contesto e neppure i contenuti. È stato costituito un comitato tecnico scientifico, una task force, come è stata definita, per affrontare il rientro a scuola rispettando gli obblighi di sicurezza e il distanziamento necessari. Giustamente sono stati chiamati a dare il loro contributo esperti dei settori legati alla salute, all’edilizia, all’or­ganizzazione di sistemi complessi. Ma ci si sarebbe aspettati che tra i 18 membri che la compongono vi fosse una componente signi­ficativa di coloro che in quei sistemi complessi, con quelle norme di sicurezza per la salute di tutti e in quegli spazi, necessariamente da ripensare, sono chiamati a dare senso alla parola scuola. Invece di insegnanti nella commissione ce n’è uno. Non era mai successo, almeno negli ultimi cinquant’anni: solo una dimenticanza oppure il segnale che al ministero ci si illude di uscire dall’emergenza e ripren­dere la strada solo con mascherine, banchi a distanza di un metro e due o tre settimane per il “recupero” delle lacune?

Non sarà che manca completamente la consapevolezza che è neces­sario progettare un diverso modo di fare scuola, che aiuti in primis i suoi allievi a elaborare l’esperienza vissuta, non di rado drammatica e purtroppo non ancora superata? Si pensa di poter ripartire senza mettere a fuoco, collegialmente, i contenuti imprescindibili di cia­scuna disciplina e senza riflettere su nuovi modi di insegnare e ap­prendere, dopo un’esperienza di scuola a distanza che ha mostrato in forma eclatante quanto sono decisive l’intenzionalità e la motivazio­ne ad apprendere da parte degli alunni? Di fatto abbiamo raggiunto solo quelli di loro che hanno voluto essere raggiunti. Questo deve farci riflettere su cosa sta davvero alla base della scuola e dell’appren­dimento. La task force sulla scuola (senza la scuola) ha comunque fatto un lavoro utile e necessario, ma non ha sviluppato tali questio­ni quanto sarebbe stato necessario, e purtroppo non sembrano alla portata dell’attuale ministero, come è confermato dalle recenti linee guida sulla didattica digitale integrata.

Pur senza entrare nello specifico del documento ministeriale si deve segnalare come tutto il testo ignori la natura di strumento per la didattica della tecnologia digitale presentandola come se essa stessa fosse l’innovazione necessaria e sufficiente. Basta leggere l’apertura del capitolo “Metodologie e strumenti per la verifica” per averne con­ferma: «La lezione in videoconferenza agevola il ricorso a metodolo­gie didattiche più centrate sul protagonismo degli alunni, consente la costruzione di percorsi interdisciplinari nonché di capovolgere la struttura della lezione, da momento di semplice trasmissione dei contenuti ad agorà di confronto, di rielaborazione condivisa e di co­struzione collettiva della conoscenza. Alcune metodologie si adatta­no meglio di altre alla didattica digitale integrata: si fa riferimento, ad esempio, alla didattica breve, all’apprendimento cooperativo, alla flipped classroom, al debate».

La tesi sostenuta è priva di una minima argomentazione a sostegno, né dall’esperienza appena vissuta di didattica a distanza sono emerse evidenze di quanto sostenuto. Inoltre colpisce il ritorno, accanto alle metodologie più in voga al momento – ma che non si capisce perché dovrebbero essere facilitate dalle lezioni in videoconferenza e dalla didattica digitale integrata – della didattica breve, una metodolo­gia proposta nel lontano 1993, soprattutto pensata per l’università, rapidamente defunta senza grande rammarico da parte di nessuno. Lascia sbalorditi l’affermazione che una videoconferenza renda più facile il passaggio dalla trasmissione dei contenuti ad agorà di con­fronto, di rielaborazione condivisa e di costruzione collettiva della conoscenza. Se così fosse, se garantisse meglio delle attività in classe anche gli aspetti della condivisione e socializzazione della conoscen­za, allora non si vede perché dovrebbe limitarsi a integrare la didat­tica: potrebbe sostituirla in toto. Preoccupa questa enfasi sul digitale, che dimostra come si sia persa la visione sulla sua reale dimensione, che resta quella di uno strumento utile soprattutto se si affianca alla scuola.

La scuola, se dovesse viaggiare solo su piattaforma, non sarebbe più scuola. Sarebbe solo un pessimo surrogato che può essere scambiato per scuola solo da coloro che la vedono ancora come una successione di lezioni, poi di compiti e infine interrogazioni sui compiti e sul­le lezioni. Purtroppo è questa immagine che persiste nella opinione pubblica e non solo, e fa crescere la convinzione che in fondo quello che si fa a scuola non ha che una importanza relativa: quello che non si fa in un anno si recupererà con qualche lezione in più l’anno successivo. Invece non si tratta di qualche ora di lezione ma di un percorso di formazione personale e di apprendimento di bambini e ragazzi che si è interrotto e che bisogna prepararsi a riprendere.

OLTRE LA PANDEMIA

All’interno del CIDI molto ci siamo interrogati su come trasformare l’esperienza vissuta in un’opportunità di crescita umana e professio­nale, cercando di rileggere in modo propositivo ciò che sta avvenen­do, a partire dai punti di forza e dalle contraddizioni della scuola in presenza, che si sono inevitabilmente ripercosse, amplificandosi, sulla fase passata di didattica dell’emergenza. È fondamentale ana­lizzare le dinamiche con le quali i bambini e gli adolescenti rico­struiscono il loro rapporto con i processi conoscitivi, l’efficacia degli stimoli utilizzati per raggiungere la loro partecipazione, il ruolo dei mezzi tecnologici, le nuove forme di coinvolgimento dei genitori e del loro rapporto con gli insegnanti. In sostanza si deve riflettere sui processi dell’insegnamento/apprendimento ora che abbiamo potuto osservarli in una situazione in cui alcuni elementi sono emersi con maggiore evidenza, analizzando a fondo le dinamiche generative del percorso d’apprendimento che in questa fase sono emerse con grande evidenza: il livello di intenzionalità e di consapevolezza degli allievi nel lavoro scolastico, la meraviglia dell’apprendere, l’atteggiamento di cooperazione con i compagni, il livello di inclusione, la pratica di ascolto, di rispetto e di fiducia.

Perché ci sia apprendimento ci deve essere intenzionalità a imparare e consapevolezza di aver imparato. Nella situazione di distanza vissuta nei mesi di scuole chiuse, il gradiente di intenzionalità e di consa­ pevolezza è stato molto più visibile, e appare chiara la ricaduta sui risultati: per essere efficace la partecipazione deve essere intenzionale e l’apprendimento consapevole. L’intenzionalità e la consapevolez­za si costruiscono attraverso attività che abbiano un forte carattere laboratoriale, proponendo situazioni dotate di problematicità e di significato per l’allievo. È fondamentale che i bambini e i ragazzi svi­luppino significative domande e che su queste si ancori la proposta didattica. Nella condivisione di significato e di senso si gioca l’effi­cacia dell’azione da condividere. La motivazione non può che essere intrinseca all’attività da svolgere in corresponsabilità.

Particolare attenzione va posta a fare sì che tutti gli allievi si sentano coinvolti in prima persona nel processo di insegnamento/apprendi­mento. Ognuno deve essere riconosciuto nella propria singolarità e secondo questa attivato. Non bisogna dimenti­care, infatti, che quando si parla di inclusione si parla del diritto di ogni allievo di apprendere, ma soprattutto di partecipare. È ovvio che è ne­cessaria una particolare attenzione per chi si tro­va in qualche difficoltà (sociale o personale), e la mancanza di un ambiente comune di lavoro che può ripetersi anche nel prossimo periodo può approfondire le diseguaglianze. È augurabile che si riducano le situazioni di svantaggio dovute alla indisponibilità degli strumenti necessari e della qualità delle concessioni territoriali, ma inevita­bilmente rimarranno alunni con svantaggio, che vivono situazioni complesse e compromesse, non di rado senza figu­re di riferimento in casa in grado di seguirli. A rischio sono anche coloro che già a scuola facevano fatica, ma che nel rapporto diretto con insegnanti e compagni trovavano motivazione e supporto. Ora si perdono nel web non avendo le risorse materiali e le competenze sufficienti per reggere la scuola a distanza.

Anche per essere efficaci su questo non dobbiamo sottovalutare l’im­portanza di tempi distesi. Il tempo (come lo spazio) è una impor­tante variabile pedagogica che struttura il fare scuola. Il tempo della scuola sostiene il ritmo della vita in comune e costruisce la profon­dità verso il passato e il futuro nel senso delle conoscenze e nel senso delle azioni, di ciò che si è fatto e si deve fare. Serve sperimentare con flessibilità una nuova organizzazione temporale che aiuti gli al­lievi a diventare padroni e responsabili del loro tempo: è questo un grande esercizio di autonomia che aiuterà i nostri allievi a strutturare il tempo oltre i confini del tempo trascorso a scuola. Lo stesso vale per l’ambiente di apprendimento, che si moltiplica. Lo spazio, che era l’elemento più distintivo e condiviso del fare scuola si è aperto improvvisamente alle abitazioni, assumendo i connotati profonda­mente diversi specifici dell’ambiente digitale. È quindi importante riflettere sul rapporto che si instaura tra insegnanti e bambini e ado­lescenti e tra gli stessi allievi in ambienti in cui agiscono sollecitazioni diverse da quelle presenti nell’ambiente scolastico. Va posta con convin­zione al centro la qualità del curricolo. Occorre prendere definitivamente atto della insufficienza della “didattica del programma” e di come sia fondamentale il lavoro sul curricolo verticale, partendo dai nuclei fondanti delle discipline e tenendo conto del processo di apprendimento di bambini e ragazzi. I team di insegnanti, i consi­gli di classe e i dipartimenti dovrebbero farsene carico. È fondamentale interrogarci su che cosa vogliamo insegnare e soprattutto su come vogliamo insegnarlo, bi­sogna ragionare sul rapporto tra ciò che progettiamo di fare, ciò che l’alunno apprende e cosa significa valutare. Sono necessari quindi il raccordo e lo sviluppo prospettico tra i vari ordini di scuola in termi­ni di continuità di obiettivi didattici ed educativi, curando la verti­calità del curricolo. Uno degli obiettivi della scuola è infatti quello di accompagnare il bambino nella sua crescita rispettando la sua unicità e la sua esperienza.

Come utilizzare gli strumenti tecnologici su cui costruire le proposte? È fondamentale che rimangano “strumenti”. Bisogna usarne diversi scegliendoli sulla base della coerenza con gli obiettivi pedagogico-didattici che ci proponiamo. Le attività proposte in questi mesi d’e­mergenza hanno avuto un carattere improvvisato e sostanzialmente individuale. È venuta meno, in generale, una progettualità condivisa come team di insegnanti, consigli di classe, dipartimenti, collegio docenti, ed è mancato, soprattutto nella fase iniziale, un confronto sugli obiettivi da raggiungere e sulle modalità per attuarli. Ciò è si­curamente dovuto alle difficoltà oggettive e alla necessità di dare una risposta immediata al vuoto che aveva preso il posto del tempo della scuola dei nostri alunni, ma questa offre adesso l’occasione per riflet­tere su come devono cambiare i rapporti all’interno di ogni istituto scolastico. La scuola dovrebbe essere una comunità educante non solo nelle relazioni tra alunni e tra alunni e insegnanti, ma anche tra insegnanti: la situazione vissuta ha dimostrato invece quanta ineffi­cacia produca l’individualismo nella scuola.

Questa nuova modalità di fare didattica richiede precise e nuove competenze da parte dei docenti e soprattutto una progettazione delle attività che deve necessariamente essere condivisa da tutti gli insegnanti, curriculari e di sostegno. È quindi possibile imparare da questo momento di difficoltà nella speranza di fare nascere qualcosa di nuovo: la costruzione di un nuovo modo di fare scuola; una nuova didattica non tanto “digitale” quanto “con il digitale”.