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Autonomia differenziata? No, secessione dei ricchi.

Intervista di Giulia Gigante a Gianfranco Viesti - 27/03/2024

Le disparità regionali e le teorie della divergenza, lo sviluppo mancato del Mezzogiorno, le politiche di coesione territoriale e l’austerità asimmetrica, il ruolo delle politiche pubbliche e “la secessione dei ricchi” spacciata per autonomia differenziata. Da questi campi di ricerca Gianfranco Viesti, professore di Economia applicata presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Bari, ha estratto un motivo di lotta e un percorso di studio che coinvolge l’Europa, l’Italia e il Mezzogiorno dal XX al XI secolo. Presentissimo nel dibattito pubblico, Viesti è autore di due opere “Centri e periferie” e “Contro la secessione dei ricchi”, centrali per orientare i lettori nel confronto concordato per Orizzonti.

I falsi miti della pressione fiscale italiana

Spesso, nel tentativo di individuare interventi per ridare competitività al sistema produttivo italiano e stimolare la crescita, si propone di agire sulla leva fiscale, convinti che l’Italia abbia un livello di tassazione abnorme, soprattutto sul lavoro, e che sia possibile tagliare significativamente la spesa pubblica senza compromettere la qualità dei servizi. Una lettura meno superficiale evidenzia invece che le aliquote italiane sono in linea con quelle dei paesi simili e che i grandi ambiti di spesa – pensioni, sanità e istruzione – sono già stati colpitiduramente dai tagli. Anche l’idea, cavalcata a lungo dalla Lega, di una riduzione del carico fiscale al Nord possibile grazie all’eliminazione dei trasferimenti a beneficio del Sud viene smentita dai fatti. Da almeno una decina di anni, infatti, la pressione fiscale al Sud sta aumentando, fino ad annullare il differenziale con il Centro-Nord.

Orizzonte cittadinanza. Italiani e stranieri in tempi di crisi

Negli ultimi vent’anni la società italiana è profondamente mutata e gli stranieri residenti, il cui numero si è quadruplicato, sono diventati una parte fondamentale del tessuto socioeconomico del paese. La condivisione delle (scarse) risorse, la promozione di politiche interculturali vere, l’accoglienza dei richiedenti asilo, il rapporto con gli immigrati musulmani e con le seconde generazioni rappresentano le sfide principali che amministratori e società civile sono chiamati ad affrontare. L’associazionismo e il protagonismo delle nuove generazioni possono costituire al riguardo due fattori strategici per costruire finalmente coesione sociale.

Svolta e rilancio della Lega Nord

Nella sua storia la Lega Nord non ha avuto uno sviluppo dei consensi lineare, alternando momenti di crisi a fasi di rapida e considerevole crescita del sostegno elettorale e vedendosi più volte costretta a cambiare strategia e profilo politico. Oggi, con una nuova leadership e una proposta politica diversa, fortemente antieuropeista, vive l’ennesima stagione di rilancio. Quanto e come è cambiata la Lega dopo la svolta promossa da Salvini?

Il Veneto nell’interminabile transizione italiana

I distretti industriali sono dei sistemi produttivi locali formati da piccole e medie imprese situate in aree contigue. Essi spesso sono in grado di anticipare i fenomeni di cambiamento che poi investiranno l’intera comunità nazionale e risultano pertanto molto significativi per valutare anche l’evoluzione nel tempo delle tendenze di voto. Il caso del Veneto, la cui cultura politica costituisce per ragioni storiche un unicum nel panorama italiano, è in questo senso piuttosto emblematico, poiché permette di evidenziare il passaggio da una subcultura politica territoriale a una cultura politica locale, intesa come persistenza di significati e pratiche specifiche e tipica di una società priva di una forza politica realmente dominante.

Cambia il nord, cambia il welfare

In un paese che registra grandi differenze tra le sue varie aree in merito alle dinamiche del sistema produttivo e alla distribuzione della spesa pubblica, la crisi economica ha generato problemi diversi, che richiedono risposte e modelli di intervento adeguati. Al Nord il problema principale è dato, più che dal calo dell’occupazione, dalla perdita di qualità del lavoro, che accresce il numero dei soggetti esposti al rischio di disagio economico e sociale. Ed è proprio in quelle Regioni che la sperimentazione di nuove forme di intervento basate sul contributo di attori e risorse non pubbliche ha permesso di affiancare ai provvedimenti di policy più tradizionali un secondo welfare, più flessibile e adattabile a profili specifici.

Criminalità organizzata e imprese, un rapporto stabile e strutturale

Alcune indagini recenti hanno confermato in maniera clamorosa la diffusa e radicata presenza delle mafie, in particolare della ‘ndrangheta, nell’economia settentrionale. La drammatica novità è data dal fatto che sono ora gli stessi imprenditori a cercare la criminalità organizzatae a richiederne i servizi, creando con essa un rapporto stabile e strutturale. Scopriamo così, purtroppo, che una parte consistente delle forze produttive del Nord Italia ha scelto di affrontare la crisi con l’uso dell’illegalità. E questo è un problema che tocca tutti, che dovrebbe riguardare la politica prima ancora delle forze dell’ordine e della magistratura.

Se il Nord (Italia) si scopre Sud (Europa)

In questi lunghi anni di crisi anche le imprese del Nord, come del resto tutta l’economia italiana, hanno patito gli effetti del crollo dei consumi interni e degli investimenti, oltre alle conseguenze delle scelte economiche compiute da Bruxelles. Hanno così imparato a loro spese quanto oggi possa costare la mancata crescita produttiva del Mezzogiornoe cosa significhi essere trattati da Sud di un’Europa che sembra avere smarrito il senso di un destino comune.

Fare società al Nord. Rancore, paura e disincanto operoso

Innescato dalla crisi del 2008, il declino del postfordismo italico imperniato sull’egemonia del capitalismo molecolare, cioè su quel modello di sviluppo basato sull’operosità e i saperi delle comunità locali soprattutto del Nord Italia, ha prodotto il collasso delle rappresentanze sociali di categoria e il conseguente dissolvimento della società di mezzo. Ciò non vuol dire però che sia scomparsa la dimensione del territorio come spazio di organizzazione economica. Stanno infatti emergendo diverse configurazioni territoriali, abitate da un nuovo tipo di capitalismo, il capitalismo delle reti, ancora in attesa di una adeguata e innovativa politica di accompagnamento e raccordo.

Prima le persone: Investire in formazione, innovazione e ricerca

L’esperienza dimostra che l’unica vera forza in grado di muovere un’economia e garantire lo sviluppo sono le persone. In una società come quella attuale, in cui la globalizzazione e le tecnologie hanno profondamente cambiato le dinamiche socioeconomiche, risulta di capitale importanza innalzare la capacità di ognuno di comprendere la complessità della realtà per poter divenire cittadini consapevoli e lavoratori in grado dicontribuire al generarsi e al consolidarsi di quelle innovazioni sociali ed economiche che costituiscono il motore dello sviluppo. Occorre pertanto tornare a investire in cultura, istruzione e, ora che l’Europa sta per fortuna riscoprendo la centralità della manifattura, anche in formazione tecnico-professionale.

 

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