Come valorizzare la formazione dei migranti per rispondere al fabbisogno del paese

Di Ugo Melchionda Lunedì 18 Dicembre 2023 12:46 Stampa
Come valorizzare la formazione dei migranti per rispondere al fabbisogno del paese ©iStockphoto/cienpies con elaborazione grafica di Emanuele Ragnisco

La legislazione italiana in materia di ingresso e soggiorno dei lavoratori migranti, che aveva trovato il suo primo nucleo nel 1986, quando la legge 943/1986 ha recepito la convenzione OIL 143 del 1975 relativa al divieto di discriminazione dei lavoratori, ha trovato la sua prima espressione organica nel 1998 con il Testo unico sull’immigrazione (legge 286/1998) che ha stabilito i principi generali e le forme specifiche di autorizzazione all’ingresso e al soggiorno dei lavoratori stranieri e dei loro familiari. Questo Testo unico, con il suo regolamento di attuazione (legge 339/1999), è ancora oggi, nonostante le numerose modifiche apportate nel corso degli anni, il testo fondamentale che regola l’ingresso e il soggiorno dei migranti in Italia.

Secondo questo testo, la politica italiana in materia di immigrazione economica si compone di tre strumenti: a) un documento di programmazione triennale, basato sulla stima delle tendenze generali dell’andamento del mercato del lavoro e sulla previsione delle carenze di manodopera registrate dalle imprese; b) l’emanazione annuale di un cosiddetto “decreto flussi” da parte del presidente del Consiglio, che definisce, entro il termine del 30 novembre dell’anno precedente a quello di riferimento del decreto, le quote massime di lavoratori stranieri ammessi nel territorio dello Stato, sia per lavoro stagionale che non stagionale, dipendente o autonomo (articolo 3); c) le liste dei lavoratori disponibili a emigrare in Italia, realizzate grazie ad accordi di cooperazione tra l’Italia e «gli Stati non appartenenti all’Unione europea con i quali i ministri degli Affari esteri, dell’Interno o del Lavoro hanno stipulato accordi migratori volti a regolare i flussi di ingresso e le procedure di riammissione».

L’intero approccio italiano all’immigrazione può essere efficacemente e sinteticamente caratterizzato da un’affermazione del più recente documento di programmazione triennale (di fatto l’ultimo benché vecchio di quasi venti anni): «Il cuore dell’approccio italiano all’immigrazione si concentra nelle politiche del lavoro, per garantire che l’ingresso nel territorio dello Stato comporti un lavoro legale, basato su un corretto rapporto con il datore di lavoro e con lo Stato, che comprenda il pagamento delle tasse e dei contributi sociali, la disponibilità di un alloggio adeguato, un’idonea formazione professionale e l’opportunità di una piena integrazione nella società italiana».1 Questa breve dichiarazione contiene quasi tutti gli elementi centrali della politica migratoria: il legame tra presenza regolare e lavoro, il diritto alla piena integrazione, la scelta di programmare i flussi di ingresso per lavoro, ed espone anche il vero nucleo della politica di formazione pre-partenza dei lavoratori migranti.

Secondo il Testo unico sull’immigrazione (TUI), gli imprenditori che intendono assumere uno o più lavoratori stranieri dall’estero devono attendere la pubblicazione del “decreto flussi” sulla Gazzetta Ufficiale e la ripartizione provinciale delle quote. Successivamente, potranno richiedere l’autorizzazione all’assunzione dei lavoratori stranieri allo Sportello unico per l’immigrazione realizzato congiuntamente dalle prefetture e dalle direzioni provinciali del ministero del Lavoro.

Nei primi anni successivi al 1998 erano state previste quote dedicate per i lavoratori ammessi in Italia per “ricerca di lavoro”, ma nel 2002, tali norme sono state cancellate dalla legge 189/2002, la cosiddetta “Bossi-Fini”, che ha introdotto una nuova possibilità di ammissione: il visto d’ingresso per quei lavoratori che hanno frequentato corsi di formazione pre-partenza nel paese d’origine e, inoltre, al fine di facilitarne l’assunzione, il diritto di essere preferiti, a parità di condizioni, dai datori di








lavoro interessati ad assumere lavoratori dall’estero. Questi corsi, disciplinati dall’articolo 23 del TUI, devono essere riconosciuti da enti autorizzati e mirano all’inserimento lavorativo in Italia o nel paese di origine o all’inserimento in progetti di cooperazione gestiti da enti italiani. Le imprese che vogliono assumere lavoratori stranieri possono richiederli direttamente o tramite liste diplomatiche, previa verifica della mancanza di lavoratori locali qualificati, solo dopo che il decreto flussi ne ha quantificato il numero e il ministero del Lavoro li ha ripartiti tra Regioni e Province.

Nel 2004 e 2006 sono state stabilite norme dettagliate sui corsi pre-partenza, compresi l’insegnamento dell’italiano e nozioni di sicurezza sul lavoro. Nel 2013 è stata abbassata la soglia di lingua italiana richiesta per l’iscrizione nelle liste di prelazione all’estero dal livello A2 del quadro di riferimento europeo delle lingue (Common European Framework of Reference for Languages-CEFR) al livello A1. Da allora, annualmente, sono state riservate, con l’eccezione del 2019, nel decreto flussi quote di lavoratori formati all’estero con valori oscillanti tra 4000 e 100 (Figura 1).

Infine, nel 2023, il decreto legge 20/2023, convertito nella legge 50/2023, insieme a numerose norme assai discutibili e in parte dichiarate illegittime da numerosi giuristi e da alcune sentenze di tribunali relativi ai richiedenti asilo, ai loro diritti, alle condizioni e modalità per procedere all’escussione delle domande di asilo, ha meritoriamente escluso dalle quote del decreto flussi i lavoratori stranieri che hanno completato i programmi di formazione pre-partenza, facilitandone così l’ingresso in Italia, previa stipula di un contratto di soggiorno con imprenditori italiani.

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In particolare, la legge 50/2023 prevede che: a) il decreto flussi abbia validità triennale (di fatto assimilato al documento programmatico); b) abbiano la preferenza paesi che si sono impegnati in campagne di comunicazione sulla migrazione irregolare e lavoratori che abbiano preso parte a corsi di formazione professionale e linguistica pre-partenza per i quali sono previsti ingressi fuori quota. Successivamente il decreto della direzione generale del ministero del Lavoro del 7 luglio 2023 ha indicato le linee guida che regolamentano le proposte di formazione pre-partenza in paesi terzi predisposte da Regioni ed enti locali, organizzazioni datoriali e sindacali o loro organismi paritetici, organizzazioni internazionali o intergovernative e associazioni ed enti senza scopo di lucro, enti di formazione ecc.

Tra le condizioni per l’approvazione, i progetti devono rispettare precise caratteristiche di definizione dei programmi formativi e capacità dei soggetti proponenti, devono presentare una determinazione puntuale dei fabbisogni occupazionali delle imprese nei territori di riferimento, che motivano tali progetti, e prevedere una selezione dei beneficiari secondo criteri di parità di opportunità, trasparenza e completa gratuità della formazione, oltre che dichiarare la convincente definizione delle forme di autofinanziamento del progetto.

Tra gli ulteriori elementi di novità contenuti nella legge, si indicano la possibilità di proporre un progetto di formazione indipendentemente dalle quote del decreto flussi e dai bandi finanziati, con una tempistica indipendente dai calendari di esame degli enti certificatori se i test finali vengono realizzati dal soggetto proponente in accordo con essi e progettato su misura per specifiche esigenze di aziende interessate sulla base di specifici fabbisogni individuati.

ESPERIENZA E RISULTATI DEL PASSATO
Di fronte a circa 22.000 permessi di ingresso in Italia per lavoratori formati all’estero offerti tra il 2006 e il 2022, è importante valutare l’effettiva realizzazione dei corsi formativi e le loro prospettive, soprattutto oggi che gli ingressi per formazione sono stati posti fuori quota. Provando a sintetizzare venti anni in poche righe, possiamo dire che la formazione pre-partenza si divide grosso modo in tre cicli, di cui il 2022 ha segnato la conclusione definitiva: il primo ciclo pilota, sviluppato tra il 2002 e il 2005, è stato realizzato direttamente dal ministero del Lavoro, in collaborazione con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), Italia Lavoro (agenzia in house dello stesso ministero del Lavoro, oggi ANPAL servizi) e alcuni enti regionali o provinciali; il secondo ciclo, che parte dagli stessi anni ma si sviluppa ampiamente tra il 2006 e il 2008, che vede la fase matura della formazione all’estero, con progetti cofinanziati dal ministero del Lavoro e da fondi europei e un ruolo essenziale di alcune Regioni; il terzo ciclo, iniziato nel 2010 e praticamente concluso negli anni tra il 2018 e il 2020, ma definitivamente e formalmente chiuso dalla legge 50/2023 in cui, nonostante le quote per lavoratori stranieri siano state ancora presenti all’interno dei decreti flussi, la formazione pre-partenza era diventata sempre più uno strumento di pre-integrazione dei familiari ammessi al ricongiungimento con il lavoratore già presente in Italia, piuttosto che uno strumento di reclutamento di lavoratori rispondenti alle carenze del mercato del lavoro.

Nel primo ciclo pilota si è intervenuto in Tunisia, Moldavia e Sri Lanka. La Tunisia e la Moldavia sono state scelte per motivi di cooperazione, facilità linguistica e vicinanza geografica. I progetti pilota hanno coinvolto diversi partner, inclusi l’OIM, la Società Dante Alighieri e le amministrazioni regionali, e hanno toccato settori specifici come l’edilizia, i servizi alla persona e l’industria. In Moldavia, inoltre, la vicinanza della lingua all’italiano (si parla rumeno, una lingua neolatina) ha facilitato l’apprendimento, e iniziative locali come quelle della Provincia di Piacenza che hanno promosso attivamente l’integrazione dei lavoratori, fornendo supporto per alloggio e servizi bancari, hanno prodotto il successo del progetto.

Il progetto realizzato nello Sri Lanka costituisce un caso particolare a causa dell’intervento dello tsunami del 2004, che ha creato ritardi e complicazioni nella formazione e nelle procedure di immigrazione. La distanza culturale e la barriera linguistica hanno richiesto ulteriori corsi di formazione in Italia, specialmente nel settore dell’assistenza agli anziani, spesso tenuti in lingua sinhala per facilitare l’apprendimento, con un intervento rilevante della Regione Toscana che ha sostenuto l’iniziativa.

Il successo delle prime esperienze pilota ha portato a una maggiore enfasi sulla formazione all’estero, con fondi messi a disposizione dal ministero del Lavoro e corsi di formazione linguistica e culturale realizzati in diversi paesi da agenzie formative regionali nel secondo ciclo. In questo periodo, agenzie di lavoro temporaneo come Obiettivo Lavoro si sono impegnate nell’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro qualificato formatosi all’estero.

La formazione pre-partenza ha subito un’evoluzione, passando dall’essere una politica attiva del lavoro a un mezzo per supportare l’integrazione dei familiari dei lavoratori immigrati nel terzo ciclo, seguente alla crisi finanziaria del 2008. Questo cambio di paradigma si è concretizzato nei progetti pilota realizzati dall’OIM in Marocco, con il Progetto E-Bosla, che ha affrontato sfide significative, tra cui le barriere culturali e di genere. Successivamente, il ministero dell’Interno ha ampliato queste iniziative di formazione con i fondi AMIF, focalizzandosi sui familiari dei lavoratori già presenti in Italia. I dati disponibili indicano che, nonostante la previsione di ammissioni per 22.000 lavoratori formati nei corsi pre-partenza dal 2006 al 2022, solo un numero limitato ha completato tali corsi e un numero ancora inferiore ha ottenuto autorizzazioni di lavoro in Italia.

Si pone quindi la questione di quali siano state le reali opportunità di ingresso e lavoro per i partecipanti alla formazione. La distribuzione settoriale mostra che, mentre l’industria manifatturiera e le costruzioni hanno ricevuto il maggior sforzo formativo, la crisi del 2008 ha inciso negativamente su queste aree, riducendo le opportunità di lavoro. Al contrario, i settori dei servizi e del lavoro domestico hanno mostrato una migliore corrispondenza tra formazione e assunzioni, suggerendo che potrebbero essere aree più resistenti alle fluttuazioni economiche e quindi più ricettive nei confronti dei lavoratori formati all’estero.

In generale però la formazione pre-partenza come politica attiva del lavoro si è rivelata un meccanismo complicato, la cui efficacia è stata mitigata da cambiamenti legislativi, economici e sociali, richiedendo una riflessione più profonda su come migliorare l’allineamento tra formazione, bisogni del mercato del lavoro e politiche migratorie.

PROSPETTIVE FUTURE
Oggi che è stata finalmente liberata dalle pastoie del decreto flussi e delle quote, tale tipologia di azioni potrebbe rinascere come volano non solo per un ampliamento della politica migratoria in risposta a fabbisogni del mercato del lavoro italiano, ma anche come alternativa alla migrazione irregolare. Grazie alle novità previste nella legge 50/2023 infatti non è più necessario sottoporsi alla trafila schizofrenica del click day, per cui si obbliga l’imprenditore ad attendere la quota annuale e la ripartizione delle quote su base regionale e provinciale prima di poter fare domanda di nulla osta per l’assunzione di un lavoratore, per poi trovarsi di fronte a una disponibilità di posti di lavoro nella provincia di residenza o di svolgimento dell’attività per pochissimi lavoratori; non è più necessario verificare presso il competente Centro per l’impiego l’indisponibilità di lavoratori già presenti sul territorio nazionale, come previsto dall’articolo 22 del TUI; si evita, altresì, grazie a una serie di misure di semplificazione, di dover dimostrare in sede di domanda di nulla osta la disponibilità da parte del datore di lavoro di mezzi finanziari per l’assunzione di più di un lavoratore.

Sono tutte misure positive, ma per completare il quadro è necessario che alla “liberalizzazione” dei corsi organizzati e magari autofinanziati da partenariati di imprenditori ed enti di formazione all’estero, si aggiungano pochi elementi che, grazie al controllo preventivo, già previsto dalla legge, dell’identità e della clearance di sicurezza dei lavoratori formati, per esempio offra la possibilità, per chi ha seguito il corso e superato l’esame finale di lingua italiana e del corso professionale specifico, di poter entrare in Italia con un permesso che gli consenta di cercare un datore di lavoro. Utopia oggi, forse, ma non più di quanto potesse sembrare fino all’anno scorso poter fare entrare in Italia lavoratori al di fuori delle quote programmate.


[1] Documento programmatico sulle politiche dell’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato per gli anni 2004-2006.