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Pedro Sánchez, el guapo

“El guapo” (il bello) è il nomignolo popolare di Pedro Sánchez, premier di Spagna dallo scorso giugno e segretario del Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE). Nato a Madrid il 29 febbraio 1972 da genitori militanti socialisti, sposato con María Begoña Gómez esperta di marketing, padre di due figlie (Ainhoa e Carlota), alto un metro e novanta, iscritto al partito già nel 1993 con Felipe González e José Luis Rodríguez Zapatero come punti di riferimento (i suoi predecessori nel ruolo di primi ministri), tifoso dell’Atlético Madrid, immagine sportiva e accattivante (un passato da giocatore accanito di basket), abile politicamente, ottimo oratore, Sánchez sembra avere tutti i requisiti del leader nell’era in cui oltre alle virtù politiche contano quelle dell’immagine. È stato facile per lui dare la spallata decisiva a Mariano Rajoy, leader stanco e opaco di un Partito Popolare (PP) in declino sotto i colpi delle sentenze giudiziarie per i molti casi di corruzione e che deve subire la concorrenza elettorale a destra di Ciudadanos, radicale e moderno partito nato sull’onda di un civismo moderato (sembra di assistere al replay del rapporto Forza Italia-Lega in salsa spagnola).

Misuriamoci insieme con la novità del futuro

Caro Massimo, mi sono capitati sott’occhio in questi giorni gli appunti che mi ero fatto mentre leggevo il libro di Pierre Lellouche sul “Nuovo mondo”. Stavo preparando una relazione sull’Europa e sui cambiamenti che essa doveva affrontare in un mondo tanto diverso da quello in cui era cresciuta negli anni dell’economia fordista e della geopolitica dominata dal bipolarismo sovietico-americano. I miei appunti rivelano che dei tanti cambiamenti trattati in quel libro a testimonianza del disordine (e non dell’ordine) mondiale che si stava preparando, io feci una istintiva selezione: le nuove condizioni socioeconomiche, e quindi le grandi ricchezze, i grandi divari e le diffuse incertezze che esse stavano generando tutto intorno a noi e anche nelle nostre società (che stavano diventando società del rischio e non più della stabilità); i nostri nuovi rapporti con l’Est europeo,destinato in parte crescente a ritornare a essere Europa e quindi a condividere con noi i nostri mercati dei prodotti, il nostro mercato del lavoro e le nostre risorse comuni; la bomba demografica sempre più vicina a esplodere ai nostri confini meridionali, con milioni e milioni di poveri che per alcuni decenni avrebbero continuato a lievitare, ponendo noi davanti a un drastico dilemma: attrezzarci a fronteggiare flussi migratori incontenibili (accompagnati da scoppi di conflittualità forse altrettanto incontenibili nei paesi di origine), o attrezzarci a una efficace redistribuzione dello sviluppo.