Elezioni 2013: leggere la protesta

Di Massimo Bray Lunedì 18 Marzo 2013 16:51 Stampa

Primi ma non vincitori. Si potrebbe sintetizzare così l’esito, per il Partito Democratico, di una tornata elettorale che, in un certo senso, non ha deluso le attese. Doveva segnare un passaggio storico e lo ha fatto. Purtroppo, non nel senso che avremmo auspicato.

Primi ma non vincitori. Si potrebbe sintetizzare così l’esito, per il Partito Democratico, di una tornata elettorale che, in un certo senso, non ha deluso le attese. Doveva segnare un passaggio storico e lo ha fatto. Purtroppo, non nel senso che avremmo auspicato.

Non ci soffermeremo in questa sede sulle performance (che pure meriterebbero un maggiore approfondimento) del PDL di Silvio Berlusconi, erroneamente dato per spacciato e invece capace di una rimonta (pur se molto ridimensionato rispetto al 2008, quando PDL e Lega raccolsero insieme il 45% dei voti) e della lista capeggiata da Mario Monti, che ha ottenuto un consenso molto inferiore alle previsioni.

Il dato numericamente più importante e politicamente più rilevante è infatti dato dall’exploit del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, che con il 25,55% dei voti alla Camera e il 23,79% al Senato esordisce in Parlamento con un ruolo da protagonista della scena politica nazionale. Nel momento in cui scriviamo i termini della partecipazione del M5S alle decisioni di governo del paese sono ancora indefiniti. Chiari appaiono invece gli elementi che hanno permesso questo enorme successo. Un successo non auspicabile e, nei termini macroscopici in cui si è presentato, forse neanche prevedibile, ma sicuramente non inatteso.

Già alcuni mesi fa, sulle pagine di questa rivista, alla luce del buon risultato registrato dal Movimento nell’ultima tornata di amministrative, ci interrogavamo su quali fossero le ragioni del crescente consenso per una forza all’epoca liquidata dai più con sprezzante sufficienza. Era chiara sin da allora la sua capacità di raccogliere consenso fra i delusi e gli scontenti, di proporsi come strumento di contestazione e protesta verso i partiti tradizionali, così ingessati, a giudizio del quarto di votanti che ha sostenuto il M5S, nelle loro logiche di potere.

Nel dopo-elezioni si è scritto molto di un voto di rabbia e protesta, ma forse non si è capito che, dietro quel volto, c’è molto dolore: il dolore di non arrivare a fine mese, di sentirsi senza futuro e inutili al mondo, ossessionati da uno Stato che sa solo chiedere il conto – attraverso tasse e balzelli –, assaliti da promesse false e offensive o rassicuranti, nell’evidente difficoltà di indicare la via per un reale cambiamento.

Le responsabilità della politica nell’alimentare il fuoco della protesta sono evidenti. Non solo non ha fatto abbastanza per rinnovarsi, per rendere più trasparenti i processi decisionali, per tagliare i costi a essa imputabili e rendersi più sobria. Soprattutto non ha saputo proporre risposte credibili a una crisi economica che, con le sue durezze, alimenta lo scontento popolare, che si trasforma in rabbia. I temi sociali, la mancanza del lavoro, il progressivo impoverimento delle famiglie, l’assenza di prospettive per le giovani generazioni, l’immiserimento di quelle più anziane, l’allargamento della forbice delle disuguaglianze, la crisi del welfare State, le ricette per uno sviluppo sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale non sono stati al centro della campagna elettorale. Neanche di quella del Partito Democratico, che avrebbe potuto dare più corpo al bello slogan “L’Italia giusta” invece di inseguire gli avversari sui temi fiscali. Forse le nostre antenne non sono state capaci di raccogliere le voci che si levavano, e quelle voci sono andate altrove, a trovare una eco. Il cambiamento richiesto è profondo, riguarda i comportamenti, ma anche il coraggio di svoltare. Chi si siederà in Parlamento dovrà trovare questo coraggio.

Rinnovamento vero della politica e proposte concrete e credibili per uscire dalla crisi, economica e sociale, sono le strade da percorrere per rispondere all’onda di protesta che si leva dal paese e per uscire dall’impasse attuale in modo costruttivo. Potrebbe non esserci, in futuro, un’altra occasione per farlo.

 

Il voto per la scelta del Parlamento e del presidente della Regione non ha esaurito, per il Lazio, la serie degli appuntamenti elettorali. Il 26 e 27 maggio prossimi si terranno infatti, a Roma, le elezioni per la scelta del sindaco. In vista di questo importante appuntamento e proseguendo lungo il filone di indagine dedicato, nei mesi scorsi, ai temi del governo delle città, abbiamo scelto di concentrarci sull’analisi delle problematiche che affliggono la capitale. Gli esiti di questa riflessione sono raccolti nell’ampia rubrica “Per la rinascita di Roma”, contenuta in questo numero di “Italianieuropei”, un numero doppio che sarà disponibile fino alla vigilia del voto amministrativo di maggio.

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