Verso la pace in Ucraina

Di Danilo Türk Martedì 23 Maggio 2023 11:09 Stampa
Verso la pace in Ucraina ©iStockphoto/francescoch

«Iniquissimam pacem iustissimo bello antefero».
Marco Tullio Cicerone



Quattordici mesi dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, diversi attori internazionali iniziano a parlare di pace. Le loro visioni della pace includono o la convinzione che la guerra si concluderà con una completa vittoria militare dell’Ucraina contro l’aggressore, oppure alcune proposte di mediazione. Sembra che nessuno si aspetti una vittoria russa. La situazione sul campo di battaglia è incerta e le aspirazioni di pace non sono ancora chiare. Pertanto, le attuali attività diplomatiche possono essere descritte come “esplorazioni”.
Gli sviluppi politici degli ultimi mesi riflettono l’attuale livello di incertezza. Il 24 febbraio, la Cina ha pubblicato un documento di posizionamento sulla soluzione politica della crisi ucraina. Erroneamente definito dai media internazionali “Piano di pace cinese”, il documento ha suscitato aspettative su un possibile ruolo della Cina come mediatore nel conflitto. La confusione terminologica nascondeva un equivoco più profondo. I leader cinesi sono abbastanza realisti da capire che non esistono ancora le condizioni per una mediazione di successo. Al momento non hanno offerto un vero e proprio piano di pace. Il loro documento offre comunque un quadro concettuale che sarà necessario in seguito, quando arriverà il momento di un’iniziativa di pace più sviluppata.
A marzo, il presidente Xi Jinping ha visitato Mosca. La sua visita non ha lasciato dubbi su da che parte stia la Cina. Ci si può chiedere se la Cina sia sufficientemente neutrale per svolgere il ruolo di mediatore. Tuttavia, una stretta neutralità non è un requisito indispensabile per il successo della mediazione. Ciò che è più necessario è l’autorità del mediatore. Una forte autorità è essenziale, come dimostrato dalle trattative di successo condotte dagli Stati Uniti in Medio Oriente negli anni Settanta e nella guerra in Bosnia-Erzegovina negli anni Novanta. In entrambe le situazioni, gli Stati Uniti non erano neutrali, ma sostenevano una parte, mentre l’altra era sufficientemente interessata a porre fine alla guerra.
Quando una situazione è matura per la mediazione? Nella guerra dello Yom Kippur del 1973, la mediazione degli Stati Uniti è iniziata quasi immediatamente, mentre in Bosnia gli Stati Uniti hanno aspettato tre anni. L’attuale situazione in Ucraina non sembra matura per una soluzione immediata. La dichiarazione rilasciata da Mosca all’inizio di aprile, secondo cui la Russia non è disposta ad accettare una mediazione, ha solo confermato ciò che i diplomatici sapevano già.
Nel frattempo, le esplorazioni sono proseguite. Il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez e il presidente francese Emmanuel Macron, durante le loro visite in Cina a fine marzo e inizio aprile, hanno suggerito al presidente Xi di chiamare il presidente ucraino Zelensky. Non sorprende che la parte cinese abbia adottato un approccio cauto. Il presidente Xi ha dichiarato che tale telefonata sarebbe potuta avvenire quando “il tempo e le condizioni [saranno] giusti”. La Cina non è stata in nessuno modo il domandeur della telefonata. Quando il 26 aprile questa ha avuto luogo, il presidente cinese, come prevedibile, ha sottolineato la complessità della guerra e ha ribaditoi principi generali entro i quali dovrebbe procedere la ricerca della pace. A livello più pratico, l’invio di un emissario cinese in Ucraina e il ricevimento di un nuovo ambasciatore dell’Ucraina a Pechino sembrano passi successivi ragionevoli.
Il documento cinese del 24 febbraio rimane rilevante e offre un utile quadro concettuale per la futura ricerca della pace. I commenti sprezzanti che il documento ha ricevuto da molti commentatori occidentali(ma non dall’Ucraina) sono irrilevanti. Ciò che conta è la sostanza del documento e l’autorità del suo autore. La Cina possiede entrambe.
Un’ulteriore questione da considerare è se il sostegno collettivo di un piccolo numero di attori non allineati possa essere d’aiuto. Alcuni Stati, tra cui il Brasile, l’India e, forse, il Sudafrica e l’Indonesia, hanno buone ragioni per consultarsi, al fine di promuovere idee di pace. Certo, questo approccio appare attualmente controverso. Le proposte in questa direzione avanzate dal presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva sono state contrastate da reazioni negative a Washington e Bruxelles, oltre che in Polonia e negli Stati baltici. Questo non è sorprendente, né rappresenta un ostacolo insormontabile peri progressi futuri. Molto dipenderà dall’evoluzione della situazione militare sul campo. Finché questa non sarà più chiara, le attuali esplorazioni diplomatiche rimarranno ciò che sono ora: “un inizio dell’inizio”. Saranno necessarie ulteriori esplorazioni e riflessioni per avvicinarsi a una diplomazia efficace e a potenziali soluzioni. Sarà necessario andare oltre la visione riduzionista secondo cui l’autodifesa contro un’aggressione è l’intera spiegazione della guerra e che questa spiegazione riduzionista possa produrre un percorso verso la pace. I diplomatici e i loro capi politici dovranno affrontare in modo più completo la questione fondamentale delle origini e della natura della guerra in Ucraina. Solo così potrebbero crearsi le condizioni necessarie per contribuire alla progettazione di un’azione diplomatica efficace per costruire una struttura realistica della pace futura.

LE ORIGINI E LA NATURA DELLA GUERRAIN UCRAINA
Una discussione esaustiva sulle origini e sulla natura della guerra in Ucraina è difficile per una serie di ragioni. Il pesante fardello della storia e l’intensità emotiva della politica che hanno portato alla guerra sono tra queste. La mancanza di un quadro chiaro della situazione sul campo – la “nebbia della guerra” – è un’altra. E poi c’è uno spesso strato di propaganda che rende quasi impossibile una discussione razionale.
La propaganda della parte russa è particolarmente estrema. Dipingere il governo ucraino come “nazista” è palesemente sbagliato. È calcolata per mobilitare forti emozioni e sostegno alla guerra tra il pubblico russo e per giustificare l’uso schiacciante della forza da parte della Russia. Allo stesso tempo, rende difficile una seria discussione sulla pace.
Le definizioni errate non sono estranee nemmeno alla parte occidentale. Il mantra secondo cui l’aggressione russa è stata “non provocata” incarna questa caratteristica. Se è vero che l’aggressione russa non è stata giustificata da un precedente uso della forza militare contro la Russia, la teoria dell’“aggressione non provocata” cerca di evitare la discussione su una serie di attività dell’Occidente nel suo insieme chela Russia ha legittimamente percepito come ostili – e provocatorie. La più importante tra queste attività è stata la spinta all’espansione verso est della NATO che avrebbe incluso l’Ucraina. La Russia ha imparato a convivere con l’adesione alla NATO dei paesi dell’ex Patto di Varsavia, più i quattro Stati successori dell’ex non allineata Jugoslavia e, soprattutto, con l’adesione alla NATO dei tre Stati baltici. L’Ucraina, invece, è sempre stata dall’altra parte della “linea rossa” russa.
Per anni, molti analisti occidentali, compresi luminari come Henry Kissinger, hanno messo in guardia dai tentativi di far entrare l’Ucraina nell’Alleanza. Tuttavia, la ripetizione dell’ottuso suggerimento che ogni paese ha il diritto di scegliere il proprio assetto di sicurezza, compresa l’alleanza militare, ha guadagnato terreno a spese della sicurezza dell’Europa nel suo complesso. Questo approccio ha reso reale e radicale il classico dilemma della sicurezza: un’eccessiva espansione della sicurezza di una parte (l’Occidente) creava una pericolosa insicurezza dall’altra parte (la Russia). Il compito di mantenere la pace richiede che nessun paese o gruppo di paesi espanda la propria sicurezza a spese di quella degli altri. Questa condizione fondamentale è stata esplicitamente riconosciuta dai vertici dell’OSCE di Istanbul (1999) e di Astana (2010). La promessa di adesione alla NATO fatta all’Ucraina (e alla Georgia) nel 2008 non è mai stata ritirata. I preparativi pratici per l’adesione dell’Ucraina alla NATO si sono svolti anche in assenza di un piano d’azione per tale processo. L’ammissione da parte di Angela Merkel e di Francois Hollande che gli accordi di Minsk del 2014 non sono stati firmati in buona fede, ma come tentativo di guadagnare tempo per consentire all’Ucraina di prepararsi alla prossima guerra, la dice lunga sull’affidabilità degli sforzi occidentali per costruire la stabilità e la pace.
Nessuno di questi sviluppi giustifica l’aggressione russa del 24 febbraio2022. Tuttavia, nella ricerca della pace sarà necessario considerare tutti i fatti rilevanti e tutte le rimostranze che si sono accumulate nel tempo da entrambe le parti. Un approccio che tenta di ridurre la complessità della guerra in Ucraina all’aggressione russa può andare bene per la propaganda, ma è certamente inadeguato come base per un serio sforzo di costruzione della pace e di ripristino della sicurezza in Europa. La pace non si conclude mai tra amici. Richiede un dialogo con il nemico e una comprensione della situazione nel suo complesso. I potenziali mediatori ne sono consapevoli. Ciò è particolarmente importante alla luce dei retaggi storici che hanno contribuito alla tensione e al conflitto armato in Ucraina. Storicamente, l’Ucraina è stata uno dei principali campi di battaglia dell’Europa e uno spazio di conflitto di due narrazioni storiche –una della Russia e l’altra dell’Ucraina. Tuttavia, la guerra tra Russia e Ucraina non era inevitabile. Le guerre non sono mai inevitabili. L’essenza di una leadership saggia sta nella capacità di risolvere i problemi e le tensioni senza ricorrere alla forza militare e alla guerra.
I leader politici dell’Ucraina hanno ereditato una realtà storica di differenze tra la parte orientale e quella occidentale del paese, nonché i difficili problemi della transizione postsovietica. Tuttavia, hanno mostrato scarsa comprensione per la contrattazione politica, il compromesso e la condivisione del potere. Piuttosto, la politica in Ucraina è stata un teatro disordinato di politica di partito e un esercizio di imposizione della volontà del partito vincente sulle parti recalcitranti del paese. Le varie fazioni erano anche suscettibili di influenze straniere, motivate da interessi geopolitici della Russia o dell’Occidente – quest’ultimo guidato dagli Stati Uniti. Tutto ciò si è gradualmente trasformato in un pericoloso mix in cui il potenziale di guerra continuava a crescere.
L’Unione europea ha fatto la sua parte. Nel 2009, in seguito alla decisione del vertice NATO di Bucarest del 2008 di far diventare l’Ucraina un membro dell’alleanza, l’UE ha lanciato l’Iniziativa di partenariato orientale. L’iniziativa coinvolgeva sei Stati postsovietici, tra cui l’Ucraina, ma non la Russia. L’iniziativa dichiarava l’“importanza strategica” dei partner partecipanti per l’UE e poneva l’accento della loro cooperazione su priorità quali i diritti umani, i valori comuni e la promozione della democrazia. In Russia, questa iniziativa è stata interpretata, a torto o a ragione, come l’ennesimo tentativo di accerchiamento.
Il processo di negoziazione dell’Accordo di associazione dell’UE con l’Ucraina (2008-13) è stato particolarmente importante. Tutte le parti ucraine erano interessate e, almeno inizialmente, la Russia non si è opposta. Poi, come ha commentato Henry Kissinger nel marzo2014: «L’Unione europea deve riconoscere che la sua dilatazione burocratica e la subordinazione dell’elemento strategico alla politica interna nel negoziare il rapporto dell’Ucraina con l’Europa hanno contribuito a trasformare un negoziato in una crisi». Invece di costruire un ponte tra l’UE e la Russia con l’entrata dell’Ucraina nell’Unione, la situazione si è trasformata in un pericoloso gioco di scelte: il futuro dell’Ucraina deve essere con l’UE o con la Russia? Questo gioco di scelte ha raggiunto il suo apice alla fine del 2013 e all’inizio del2014 con la questione dell’aumento del debito nazionale ucraino, che secondo quanto riferito, si aggirava intorno ai 15 miliardi di dollari. L’UE si è incautamente rifiutata di collegare tale questione ai negoziati in corso per l’accordo di adesione con l’Ucraina e di cercare soluzioni in tale contesto. La Russia, ancora più incautamente, si è offerta di aiutare l’Ucraina a condizione che questa abbandonasse i negoziati con l’UE.
Il ritiro dell’Ucraina dai colloqui sull’accordo di adesione alla UE ha trasformato la crisi in un’esplosione che ha portato al rovesciamento violento di Viktor Janukovič, allora presidente dell’Ucraina, il 20 febbraio 2014. La rivolta e la violenza che ne sono seguite nel Donbass hanno raggiunto il livello di conflitto armato. Anche i nazionalisti ucraini estremisti hanno commesso gravi atti di violenza. La Russia ha conquistato la Crimea – senza combattere – mentre il conflitto armato si intensificava nel Donbass.
Gli sforzi per fermare la guerra nel Donbass sembravano aver avuto un certo successo con i due accordi raggiunti a Minsk nel corso dell’anno, con l’assistenza della Cancelliera tedesca Angela Merkel e del presidente francese François Hollande. Per un po’ è sembrato che una soluzione potesse essere possibile e che gli accordi di Minsk potessero contribuire a stabilire un’autonomia per il Donbass all’interno dell’Ucraina e, almeno forse, a rendere l’Ucraina un ponte tra l’Occidente e la Russia, piuttosto che parte del conflitto dell’Occidente con la Russia. Il destino della Crimea è invece stato escluso dagli accordi proposti per il Donbass e non è stato affrontato. Tuttavia, la “formula di Minsk” si è rivelata un’illusione. I successivi negoziati, sia all’interno dell’Ucraina che a livello internazionale non hanno prodotto alcun risultato. Come già detto, Angela Merkel e François Hollande hanno recentemente ammesso di non aver mai creduto nel prodotto della loro mediazione e che lo scopo degli accordi di Minsk era solo quello di guadagnare tempo, in modo che l’Ucraina si preparasse a riprendere i territori del Donbass e della Crimea con la forza militare. In questo modo, è stato preparato il palcoscenico per un conflitto internazionale di grandi proporzioni. La guerra che sta infuriando in Ucraina è una guerra a tre livelli. In primo luogo, si tratta di una guerra per il territorio e di una guerra di identità tra Ucraina e Russia, la quale è l’aggressore. La prima, insieme ai suoi sostenitori internazionali, è in parte corresponsabile della cattiva gestione della situazione precedente che ha portato alla guerra. Gli accordi di Minsk hanno provato a fornire la speranza di una risoluzione pacifica, ma l’opposizione agli accordi in Ucraina e la malafede degli attori internazionali li hanno resi inutili. La ricerca russa del dominio sull’Ucraina, in particolare in Crimea e nel Donbass, le zone tradizionalmente russofone dell’Ucraina, è motivata sia dalle preoccupazioni della Russia per la propria sicurezza sia dall’ambizione di una grande potenza (lo status che l’Occidente continua a negare alla Russia) di ritagliarsi una propria zona di influenza. In secondo luogo, la guerra in Ucraina è anche una guerra tra Europa e Russia. Il sostegno europeo all’Ucraina comprende incoraggiamento politico, aiuti militari e sanzioni economiche senza precedenti contro la Russia. Anche se formalmente non è stata dichiarata una guerra, il confronto ne ha la maggior parte delle caratteristiche. Le ragioni etiche dell’assistenza militare europea all’Ucraina, vittima dell’aggressione russa, sono comprensibili. Tuttavia, gli effetti geopolitici di tale assistenza e il futuro geopolitico europeo sono meno chiari. Tali effetti dipenderanno soprattutto dal ruolo degli Stati Uniti. Il terzo livello della guerra in Ucraina è una guerra globale che coinvolge la più potente tra le grandi potenze della nostra epoca, gli Stati Uniti d’America. Gli Stati Uniti hanno promosso la promessa fatta nel 2008 di includere l’Ucraina tra i membri della NATO e da allora hanno sostenuto militarmente l’Ucraina. Il 10novembre 2021, mentre le tensioni si aggravavano, i ministri degli Esteri dell’Ucraina e degli Stati Uniti hanno firmato la Carta del partenariato strategico tra Stati Uniti e Ucraina. In questo documento giuridicamente vincolante, ma di cui si parla poco, firmato a Washington, gli Stati Uniti si sono impegnati ad applicare “tutte le misure pertinenti” (un eufemismo per indicare il sostegno militare) per il ripristino dell’integrità territoriale dell’Ucraina all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti. Nei mesi successivi, gli Stati Uniti hanno tenuto fede a questo impegno legale e hanno sostenuto l’Ucraina in tutti i modi possibili dal punto di vista militare, tranne che con la presenza massiccia di statunitensi “scarponi sul campo”. Gli sviluppi futuri non sono facili da prevedere. Molto dipenderà dalla prossima offensiva militare dell’Ucraina nel sud e nell’est del paese. Tuttavia, gli obiettivi di Russia e Stati Uniti non sono troppo difficili da individuare. Se la Russia vincesse la guerra, potrebbe essere in grado di stabilire la sua zona di influenza su una parte o sull’intera Ucraina e confermare il suo status di grande potenza. D’altra parte, se l’Ucraina, con l’aiuto decisivo degli Stati Uniti e dell’Occidente, vincesse la guerra, questo cambierebbe sostanzialmente la geopolitica dell’Europa. L’Ucraina diventerebbe probabilmente un membro dell’UE e un’Unione così allargata dipenderebbe più che mai dalla protezione militare americana ai confini con l’ostile Russia. Se le ostilità si concluderanno con una lunga fase di stallo, senza una chiara vittoria per nessuna delle due parti, le tensioni rimarranno più o meno permanenti, assomigliando alla situazione della guerra fredda.

PERCORSI DI PACE
Gli scenari sopra descritti potrebbero non concretizzarsi in forma netta. Le guerre della nostra epoca tendono a durare anni e la guerra in Ucraina ha il potenziale per diventare una guerra di lunga durata. Sarà difficile porvi fine a causa della sua intensità emotiva e politica e dell’elevata posta in gioco politica, di sicurezza ed economica. L’uso di armi nucleari e il conseguente cataclisma globale, pur sembrando al momento improbabile, non possono essere esclusi. La fine della guerra richiederà il coinvolgimento di tutte le grandi potenze del nostro tempo nel tentativo di sviluppare una pace duratura e un sistema di sicurezza sostenibile per l’Europa del futuro. Quest’ultimo compito può richiedere decenni e il nuovo sistema potrebbe essere conflittuale piuttosto che cooperativo per molto tempo. Tuttavia, le strade verso la pace devono essere esplorate ulteriormente. Certo, l’imminente “controffensiva” ucraina potrebbe ritardare le prospettive di un cessate il fuoco o, in caso di vittoria dell’Ucraina, potrebbe addirittura porre fine alla guerra. Tuttavia, una vittoria netta e totale di una delle due parti non sembra probabile.
Una delle questioni critiche da considerare in tale situazione sarà come progettare la cessazione delle ostilità in Ucraina in modo che ciò porti a una pace duratura piuttosto che a un periodo prolungato di “né guerra né pace”. Le esperienze della seconda metà del XX secolo offrono alcuni ammonimenti. Lo scenario peggiore da tenere a mente è il destino della penisola coreana, dove le ostilità sono terminate con l’accordo di armistizio concluso nel 1953, ma non è seguita una soluzione di pace. Mentre entrambi gli Stati coreani sono diventati membri delle Nazioni Unite nel 1991, un fatto che potrebbe essere interpretato come la fine dello stato di guerra nella penisola coreana, una conclusione formale della pace è ancora all’ordine del giorno per i futuri colloqui sulla normalizzazione. L’esempio coreano è ovviamente specifico, ma la questione centrale è importante per ogni sforzo diplomatico volto a porre fine a una guerra e a costruire la pace. Le guerre spesso dimostrano che non ci sarà una vittoria chiara da entrambe le parti. Quando la stanchezza della guerra si fa sentire ed emergono le condizioni per discutere un “cessate il fuoco”, i diplomatici si trovano solitamente di fronte a una questione fondamentale. Come porre fine alle ostilità in termini e condizioni tali da consentire il successo dei negoziati successivi e il progresso verso una pace duratura? In assenza di tali progressi, la situazione rimane una polveriera in grado di esplodere in nuovi cicli di ostilità.
L’esperienza della fase iniziale dell’attuale guerra in Ucraina – nel marzo 2022 – offre alcuni indizi. A quel tempo sembrava ancora che i colloqui tra Ucraina e Russia, assistiti dalla Bielorussia e successivamente dalla Turchia, potessero riuscire a porre fine alle ostilità e ad avviarsi verso colloqui di pace. Tuttavia, le potenze esterne interessate al proseguimento della guerra e all’indebolimento della Russia hanno convinto l’Ucraina a continuare a combattere fino alla vittoria finale. Al vertice straordinario del 24 marzo, i leader della NATO hanno insistito sul fatto che la Russia deve dimostrare la sua credibilità in ogni futuro colloquio con un cessate il fuoco sostenibile e, soprattutto, con un “ritiro completo” delle sue truppe dal territorio ucraino. Il ritiro delle forze russe dalle vicinanze di Kiev, dichiarato il 29 marzo, è stato completato il 6 aprile. Questo ha allentato la pressione sul governo ucraino e reso meno urgenti ulteriori colloqui di pace per l’Ucraina. La successiva scoperta di fosse comuni a Bucha ha reso impossibile qualsiasi considerazione sul proseguimento dei colloqui. Questa è la situazione ancora oggi, a più di un anno di distanza. Tuttavia, l’esperienza dei colloqui del marzo 2022 rimane rilevante. Due questioni si sono dimostrate critiche: il futuro status politico dell’Ucraina e le garanzie di sicurezza. Esse sono strettamente interconnesse: natura delle garanzie di sicurezza definirà sostanzialmente lo status generale dell’Ucraina. L’idea di una neutralità permanente sembra essere fuori discussione, almeno per ora. Questo è un peccato: prima della guerra sembrava che un’Ucraina neutrale e con una sostanziale autonomia per il Donbass, potesse diventare una soluzione possibile e un ponte tra l’Occidente e la Russia. Ora questa opzione sembra improbabile. Sembra necessario un qualche tipo di rapporto dell’Ucraina con la NATO attraverso un sistema di garanzie di sicurezza. La questione del futuro status dell’Ucraina dovrà essere affrontata in anticipo, anche se solo indirettamente, attraverso la questione delle garanzie di sicurezza. La Russia, ed eventualmente la Cina, saranno tra i garanti? La NATO parteciperebbe alle garanzie di sicurezza per l’Ucraina come alleanza o attraverso (alcuni) dei suoi Stati membri? I garanti deciderebbero all’unanimità o a maggioranza? E, più in generale, come funzionerebbe il meccanismo di attivazione delle garanzie di sicurezza – come meccanismo permanente, come sistema di incontri periodici, come sistema attivato su iniziativa di uno o più Stati, su iniziativa della sola Ucraina, eccetera? Un’attivazione automatica della protezione militare dell’Ucraina non sembra possibile, dato che anche la NATO, in base all’articolo 5, richiede decisioni da parte degli Stati membri per attivare azioni di autodifesa in caso di attacco a uno Stato membro dell’alleanza. Queste questioni, pur non essendo attualmente al centro della discussione, dovranno essere affrontate al più presto. La questione dello status internazionale dell’Ucraina sarà determinata alla luce delle risposte a queste domande e solo dopo la fine della guerra. L’ammissione dell’Ucraina nella NATO durante la guerra non sembra probabile, anche se talvolta viene menzionata in pubblico – probabilmente come una delle promesse fatte agli ucraini e nel tentativo di incoraggiarli durante l’attuale fase della guerra. Le questioni dei confini e dell’autodeterminazione dovranno essere affrontate una volta messe a tacere le armi. L’aggressione russa ha violato l’integrità territoriale dell’Ucraina e ha creato un problema apparentemente irrisolvibile. Il documento che esprime la posizione cinese del 24 febbraio 2023, nel suo primo paragrafo, insiste: «La sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale di tutti i paesi devono essere effettivamente sostenute». È possibile raggiungere un tale risultato in Ucraina dopo il fallimento degli accordi di Minsk del 2014e senza la completa sconfitta della Russia e il ritiro delle forze russe da tutte le parti del territorio ucraino? La situazione etnica in Ucraina è e sarà rilevante. Lo è stata fin dalle prime fasi dell’attuale conflitto, dal2014 in poi. Al momento del conflitto in Crimea, circa il 60% della popolazione era di lingua russa e si dichiarava russa. Nel Donbass, la percentuale potrebbe essere stata più bassa e la situazione etnica più complessa. Tuttavia, l’Ucraina orientale è sempre stata in gran parte russofona e ha gravitato verso la Russia. La guerra in corso cambierà probabilmente la mappa etnografica dell’Ucraina. L’identità ucraina e l’omogeneità etnica saranno rafforzate nella maggior parte del paese, ma non dovunque. D’altra parte, molti degli otto milioni di ucraini che, secondo le stime, hanno già lasciato il paese (un quinto della popolazione totale), non torneranno. I membri delle minoranze etniche, come gli ungheresi, che hanno lasciato l’Ucraina, rimarranno all’estero. La natura multietnica e multiculturale dell’Ucraina di un tempo rischia di trasformarsi in parti monoetniche a ovest e a est del paese. I pacificatori dovranno elaborare soluzioni praticabili per la coesistenza di queste diverse parti in futuro.
Problemi di questo tipo non sono nuovi e il periodo successivo alla guerra fredda ha portato nuove soluzioni. Gli accordi nei Balcani hanno dimostrato che l’integrità territoriale di un paese (la Bosnia-Erzegovina) può esistere come un sistema di “due entità” (Federazione di Bosnia-Erzegovina e Repubblica Srpska), ciascuna dotata di uno status che va oltre quello tradizionale di unità federale. Inoltre, l’esempio del Kosovo ha dimostrato che una minoranza etnica – gli albanesi del Kosovo che hanno la loro base etnica nella vicina e sovrana Albania – può rivendicare legalmente l’indipendenza e la statualità e almeno in parte riuscirci. I recenti risultati nei Balcani, tradizionale laboratorio di relazioni etniche, pur non essendo un modello per gli altri, potrebbero essere rilevanti nella ricerca della fine della guerra in Ucraina. Nel tentativo di trovare soluzioni ai problemi di autodeterminazione e di confini si possono utilizzare diversi metodi. Che possono includere o meno referendum sponsorizzati a livello internazionale o, in alternativa, qualche altra forma di consultazione con le popolazioni in questione. Le questioni territoriali e la volontà delle persone che vivono nel territorio dato, sono strettamente legate.

PACE E GIUSTIZIA
La ricerca della pace è solitamente accompagnata dal desiderio di giustizia. Non sorprende che la più recente risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sull’Ucraina metta al centro delle sue richieste la ricerca di una pace giusta e duratura. Tuttavia, raramente la pace porta con sé la giustizia. Gli accordi di pace sono solitamente insoddisfacenti per una o più delle parti in conflitto. La pace è una situazione che pone fine a una guerra e che crea una nuova situazione in cui le parti in conflitto sono meno infelici di quanto lo sarebbero se la guerra continuasse. La giustizia rimane un ideale elevato, ma la sua realizzazione può richiedere generazioni. La pace è una questione complessa e la giustizia è la sua componente più difficile. Per comprendere la complessità delle questioni relative alla guerra e alla giustizia è necessario distinguere tre aspetti correlati, ma diversi, e affrontarli separatamente: la legalità e la legittimità della guerra stessa (ius ad bellum), la legalità della condotta di guerra (ius in bello) e le conseguenze legali nel dopoguerra (ius post bellum). Una discussione completa di questi aspetti nel caso della guerra in Ucraina supererebbe di gran lunga lo scopo del presente scritto. Tuttavia, alcune riflessioni di base sono possibili e necessarie.
Ci sono pochi dubbi sul fatto che l’aggressione russa all’Ucraina non soddisfi i criteri di una guerra legittima e legalmente difendibile. La Carta delle Nazioni Unite ha bandito le guerre di aggressione nel1945. Sebbene sia necessario comprendere i vari fattori che hanno portato all’attuale guerra per consentire la cessazione delle ostilità e la costruzione della pace, l’illegalità e l’inaccettabilità morale dell’aggressione russa sono fuori discussione. Il fatto che, negli ultimi decenni, anche la maggior parte delle altre grandi potenze abbia commesso atti di aggressione e condotto guerre per espandere le proprie sfere di influenza non può servire da giustificazione all’aggressione russa contro l’Ucraina – o a qualsiasi altra aggressione. L’aggressione deve essere condannata. Ma la condanna di per sé non stabilirà la pace, né tanto meno la giustizia. La pace deve essere perseguita come valore in sé e come condizione necessaria per stabilire una misura di giustizia. La condotta della guerra incorso in Ucraina è stata caratterizzata da crimini di guerra, soprattutto – anche se non solo – da parte russa. Le violazioni dello ius in bello, cioè le violazioni delle leggi e delle consuetudini di guerra, vengono identificate solo in parte durante la guerra e ci vuole tempo prima di conoscere l’intero quadro. L’aspetto più complesso della giustizia è lo ius post bellum. La punizione dei responsabili dei crimini di guerra deve essere una priorità o il consolidamento della pace deve avvenire prima? Come ha spiegato lo scienziato sociale Michael Walzer, la giustizia in senso stretto, quella che viviamo nella società civile e nella vita di tutti i giorni, viene meno non appena iniziano i combattimenti. La guerra è un’area di coercizione radicale, in cui la giustizia è sempre sottotraccia. Un certo livello di giustizia può essere ripristinato solo dopo la guerra. Tuttavia, la restituzione dello stato di giustizia precedente alla guerra può non essere possibile e le conseguenze dei crimini di guerra continuano a persistere. Inoltre, la ricostruzione e la normalizzazione dopo la guerra potrebbero portare nuove ingiustizie che devono essere affrontate con urgenza. L’era postbellica ha rafforzato l’aspirazione a un sistema più forte di giustizia penale internazionale, alla responsabilità degli autori dei crimini e delle violazioni dei diritti umani più in generale. Il desiderio di giustizia penale è stato espresso con particolare forza: “No all’impunità!” è diventato il grido d’allarme, prima nel mondo delle ONG per i diritti umani e poi nella comunità internazionale in senso lato. L’istituzione di una serie di tribunali penali internazionali ad hoc e della Corte penale internazionale negli anni Novanta sono espressione di questo rafforzato desiderio di giustizia. Tuttavia, queste istituzioni non godono di un sostegno universale. Alcune delle principali potenze del nostro tempo non sono parti dello statuto della Corte penale internazionale adottato a Roma nel 1998. La totale ostilità nei confronti della Corte, prima da parte degli Stati Uniti e ora da parte della Russia, ha dimostrato ancora una volta la complessità politica della ricerca della giustizia penale a livello internazionale. Inoltre, esistono limiti intrinseci a ciò che la giustizia penale può raggiungere. L’esperienza degli ultimi decenni ha dimostrato che la giustizia penale, cioè la giustizia retributiva come la conosciamo nei sistemi di diritto penale dell’Occidente, non è sempre la risposta migliore alle complesse questioni della normalizzazione e dell’istituzione della giustizia dopo una guerra. Si può argomentare a favore degli sforzi per la riconciliazione e la “giustizia riparativa” che devono integrare la necessaria giustizia penale retributiva. Le complesse questioni dello ius post bellum possono essere affrontate adeguatamente solo quando cessano i combattimenti. La pace è una condizione per l’instaurazione della giustizia nel senso che essa ha nella normale vita quotidiana. Questa consapevolezza non è nuova. Marco Tullio Cicerone, il grande giurista, filosofo e politico dell’antica Roma, l’ha espressa in un modo forte e un po’ provocatorio: iniquissimam pacemjustssimo bello antefero. Si potrebbe aggiungere: la pace è la prioritàprincipale che rende possibile tutto il resto, compresa la giustizia.1

 


[1] Le opinioni contenute in questo articolo sono espresse dall’autore a titolo personale.