Ri-costruire e consolidare La pace. Spunti dal magistero della Chiesa

Di Angelo Vincenzo Zani Martedì 23 Maggio 2023 11:09 Stampa
Ri-costruire e consolidare La pace. Spunti dal magistero della Chiesa ©iStockphoto/francescoch

L’invasione dell’Ucraina ha portato all’evidenza processi già in corso negli anni precedenti e ha contribuito a trasformare il conflitto armato in sistema per risolvere le controversie, come sta verificandosi in varie altre zone del mondo. Va osservato che la spesa militare complessiva a livello mondiale, in seguito a un’ascesa cominciata nel 2015, ha superato i 2000 miliardi di dollari l’anno;1 anche gli Stati dell’Unione europea, dopo i fatti dell’Ucraina, hanno cominciato la rincorsa.
Insieme a questo dato non si può ignorare un altro fattore, iniziato ben prima dell’invasione dell’Ucraina, e cioè la costruzione di muri e recinzioni per cercare di separare ciò che in realtà è strutturalmente unito. Oggi esistono nel mondo 80 muri per quasi 50.000 chilometri, l’equivalente della circonferenza dell’intero pianeta. Sui confini europei nel 1990 non esistevano muri, nel 2014 vi erano 315 chilometri di barriere e a fine 2022 si contano 2048 chilometri. Anche la Finlandia ha cominciato a costruire un muro sulla lunga frontiera con la Russia e molte altre barriere sono previste in diversi Stati per far fronte al fenomeno migratorio.2
Accanto all’occupazione dei territori dell’Ucraina, vi sono diverse guerre civili con pesanti implicazioni e drammatiche conseguenze, come in Afghanistan, Yemen, Siria, Etiopia, Congo, Sudan, Myanmar e in altre zone con terrorismi cronici. In ogni conflitto locale si innestano altri fattori come il controllo delle fonti energetiche e delle materie prime, la definizione delle sfere di influenza tra le diverse potenze regionali e mondiali e sovente anche il rapporto tra le grandi religioni.
Il mondo si sta, dunque, avvitando in una spirale in cui la convinzione che le armi e i conflitti siano una soluzione ai problemi della convivenza umana guadagna terreno ogni giorno e conferma una situazione che più volte papa Francesco ha qualificato come «terza guerra mondiale a pezzi». Dinanzi a questo scenario di crescenti ingiustizie sistemiche, dove si manifesta la pretesa di governare il mondo con la violenza, con le guerre, con le armi, con la distruzione dei popoli, tutti si interrogano su quali debbano essere le strategie da mettere in atto da parte degli Stati, dagli organismi internazionali e in particolare dall’Europa per evitare conseguenze tragiche.

 

GLI INSEGNAMENTI DELLA CHIESA DELL’ULTIMO SECOLO
L’approccio delle presenti considerazioni alle problematiche testé accennate si pone nell’ottica del pensiero sociale della Chiesa che, sin dall’epoca della prima rivoluzione industriale, ha accompagnato l’evoluzione delle nuove questioni sociali che, a partire dal contesto occidentale, sono diventate gradualmente globali.
Nell’era moderna, segnata da conflitti sempre più pericolosi, in particolare a partire dalla prima guerra mondiale ad oggi, i papi che si sono succeduti hanno svolto un ruolo centrale nella costante promozione e difesa della pace. Nella stessa linea si è posto papa Francesco il quale, con insistenza attraverso il magistero del suo decennale pontificato, pone chiaramente in evidenza che la costruzione della pace non si fa con superficiali e innocui proclami, ma richiede uno studio della complessità della realtà esistente, con la capacità di smascherare tutte le mistificazioni a cui la violenza e la propaganda di guerra fanno ricorso. Credo sia utile, pertanto, rintracciare sinteticamente il filo rosso che lega tra loro i numerosi interventi a favore della pace, intesa come unica condizione per salvaguardare i diritti di ciascuno e costruire il bene comune dell’umanità. In questa medesima linea vanno letti, in particolare, i pronunciamenti di papa Francesco relativi alla situazione dell’Ucraina e ad altre zone in cui insistono focolai bellici. L’avvio degli interventi specifici sul tema della pace inizia con Benedetto XV il quale, dopo lo scoppio della Grande guerra (1915), rivolse un’esortazione ai belligeranti e inviò un’importante “Nota” ai capi delle nazioni coinvolte (1° agosto 1917). Terminato il con flitto mondiale, pubblicò l’enciclica “Pacem Dei” (1920). Pio XII è rimasto famoso per i suoi messaggi di Natale, in particolare quelli pronunciati durante la seconda guerra mondiale. Giovanni XXIII scrisse l’enciclica “Pacem in terris” (1963) che suscitò viva attenzione, soprattutto presso le Nazioni Unite. Con questo documento, pubblicato pochi anni dopo la costruzione del muro di Berlino in piena guerra fredda, egli si proponeva di esporre il bene della pace, analizzando e denunciando i mali che la contrastano in campo sociopolitico, ambientale, economico-finanziario, alimentare, occupazionale, familiare. La casa della pace, per papa Roncalli, non è basata sul pacifismo, non nasconde una concezione vile e pigra della vita, ma proclama i più alti e universali valori sui quali si fonda: la verità, la giustizia, la solidarietà operante e la libertà. Si trattava della prima enciclica rivolta non solo ai cattolici, ma a «tutti gli uomini di buona volontà». Il leader sovietico Kruscev dichiarò alla “Izvestija” di averla letta «con interesse, perché Giovanni XXIII ascolta la voce della ragione». Per la prima volta un dirigente sovietico si esprimeva favorevolmente riguardo al papa.3
Questa enciclica, di cui ricorre quest’anno il 60° anniversario, rappresentò un evento storico e diede nuovo impulso alla dottrina della Chiesa sulla pace, sviluppata nel Concilio Vaticano II che si svolgeva in quegli stessi anni, e al magistero dei pontefici. Seguendo l’insegnamento di Giovanni XXIII, l’8 dicembre 1967 Paolo VI annunciava l’istituzione della Giornata per la pace da celebrarsi ogni anno il 1° gennaio. «La pace si fonda soggettivamente sopra un nuovo spirito, che deve animare la convivenza dei popoli, una nuova mentalità circa l’uomo e i suoi doveri e i suoi destini», scriveva papa Montini4. Questa nuova mentalità è assolutamente necessaria per superare l’illusoria pretesa della possibilità di una guerra giusta, ma anche l’idea totalmente errata per la quale le guerre possano finire con la firma di armistizi e trattati di pace. Soprattutto a partire dal XX secolo, tutte le guerre hanno avuto la capacità di ipotecare il futuro sia coltivando e facendo crescere odii, che hanno bisogno di molte generazioni per avviarsi a estinguersi, sia creando un debito pubblico per spese militari e armamenti, e per ricostruzioni di infrastrutture distrutte, che non permetterà per decenni di investire in servizi civili e assistenze sociali. La logica della guerra resta sempre un fallimento secco e irreparabile di umanità.
I “Messaggi di pace” pubblicati annualmente dai pontefici, a partire dal 1° gennaio 1968, hanno avuto una notevole risonanza in seno alla Chiesa, presso gli esponenti di governo e l’opinione pubblica. I pontefici vengono per questa ragione identificati con la causa della pace e dei diritti umani, e oggi centonovanta paesi e venti organizzazioni internazionali governative dispongono di una rappresentanza diplomatica presso la Santa Sede a riprova del grande peso che essi annettono alla particolare missione del papato moderno. Per sottolineare ancor di più l’interesse della Chiesa per i problemi legati alla giustizia, alla pace, allo sviluppo e ai diritti umani, Paolo VI creò nel 1967 il Pontificio Consiglio “Iustitia et pax”, che oggi è confluito nel Dicastero per la promozione dello sviluppo umano integrale.
È in tale prospettiva che va letto l’intenso magistero di papa Francesco e in particolare i numerosi interventi pronunciati dopo la guerra d’invasione russa dell’Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022. Nella complessità dell’odierno scenario mondiale, quella di Bergoglio è una “voce” non limitata a rendere la Chiesa partecipe nei rapporti tra i popoli e nelle loro istituzioni comuni, ma finalizzata a declinare la possibilità che la Chiesa ha di incidere in concreto nella comunità internazionale. Per il papa venuto “dalla fine del mondo” la volontà di concorrere con i fatti alla vita internazionale non si limita agli appelli alla pace, alla richiesta di necessarie ed efficaci forme di cooperazione allo sviluppo, e nemmeno ad accorati interventi perché la dignità delle persone, con i suoi diritti e le sue libertà, sia promossa e protetta.5
Francesco è cosciente che «la società mondiale ha gravi carenze strutturali che non si risolvono con rattoppi o soluzioni veloci meramente occasionali. Ci sono cose che devono essere cambiate con reimpostazioni di fondo e trasformazioni importanti. Solo una sana politica potrebbe averne la guida, coinvolgendo i più diversi settori e i più vari saperi ».6 Correttezza, trasparenza, formazione sono, secondo il pontefice, le doti richieste, ma hanno poca possibilità di incidere senza inventiva, senza quel «coraggio creativo» che emerge soprattutto quando si incontrano difficoltà. È l’invito a non arrendersi e proseguire il cammino con tenacia, ingegnandosi in qualche modo.
Quanto questo sia vero per i rapporti internazionali, il papa lo ha fatto percepire a una umanità rinchiusa nell’affannosa emergenza del contagio pandemico, intercettando la realtà del nostro essere di fronte al bivio: accettare un destino di paura e scoraggiamento o scoprire il desiderio di contribuire al nuovo che avanza e forse solo si intravede. Ma l’invito ad avere il coraggio di una nuova inventiva che sappia cambiare l’ordine delle cose Francesco l’ha ribadito costantemente, soprattutto dopo le vicende dell’Ucraina e dei più recenti conflitti che presentano alla mente del papa un atlante di crisi e di muri.

 

LA PACE SECONDO FRANCESCO
Occorre aprire gli occhi sulla realtà e affrontarla, senza partire con un’idea a priori da applicare come una gabbia o come una etichetta. Francesco, coerentemente con questa impostazione, non è un idealista, ma un uomo molto concreto che ama la realtà. E benché sia tra gli scopi verso cui orienta la sua azione politica sullo scacchiere internazionale, sa perfettamente che la pace, di per sé, non esiste, che l’uomo non ha mai vissuto la pace. La conflittualità è un elemento caratteristico della natura umana, quindi l’uomo deve sempre affrontare il conflitto; è un fattore ineliminabile nella dinamica dei rapporti umani e quindi anche di quelli internazionali.7 Anzi, la stessa pace «comporta una vera e propria lotta».8
La pace, per Bergoglio, significa in concreto agire sui quadranti più delicati della politica internazionale in nome degli “scarti”, dei più deboli. Parlando al Congresso degli Stati Uniti, lo disse con parole chiare: «Una società politica dura nel tempo quando si sforza, come vocazione, di soddisfare i bisogni comuni, stimolando la crescita di tutti i suoi membri, specialmente quelli in situazione di maggiore vulnerabilità o rischio. L’attività legislativa è sempre basata sulla cura delle persone».9 Per questo le iniziative di pace, in un mondo che vive una drammatica «terza guerra mondiale a pezzi», devono essere sempre collegate ai due grandi temi sociali che preoccupano maggiormente il papa: la pace sociale e l’inclusione dei poveri. I conflitti hanno in questi temi la loro radice.
Francesco non intende, dunque, proporre una “pace” intesa come “tranquillità” a costo di far calare il silenzio sulle ingiustizie e la difesa dei poveri. Tanto più, la potenza escatologica della sua visione impedisce al pontefice di proporre una «falsa neutralità che ostacola la condivisione».10 Riprendendo la “Populorum progressio” di Paolo VI, egli esprime la convinzione che «una pace che non sorga come frutto dello sviluppo integrale di tutti, non avrà nemmeno futuro e sarà sempre seme di nuovi conflitti e di varie forme di violenza».11 E anzi, la pace non è un obiettivo da raggiungere, ma solo il primo passo, la condizione dello sviluppo e del superamento delle ingiustizie12 per costruire il bene comune e promuovere la solidarietà nel mondo globalizzato.
Francesco ha avvertito il Corpo diplomatico: non si possono «pensare nell’attuale congiuntura soluzioni perseguite in modo individualistico dai singoli Stati, poiché le conseguenze delle scelte di ciascuno ricadono inevitabilmente sull’intera comunità internazionale».13 L’esortazione ad astenersi dal trascinare altri popoli in conflitti o guerre è dovuta al fatto che tale scelta conduce a distruggere non solo le ricchezze materiali, culturali e sociali, ma anche – e per lungo tempo – l’integrità morale e spirituale che mina la necessaria cooperazione e la fraternità.
Tutti devono essere messi nelle condizioni di «rendere effettiva la loro dignità», che costituisce il minimo assoluto della convivenza e della pace. Esso ha diversi nomi; a livello materiale si chiama casa, lavoro e terra; a livello spirituale: libertà religiosa, diritto all’educazione e tutti gli altri diritti civili. A essi si deve aggiungere la protezione dell’ambiente naturale che rischia la distruzione per «una brama egoistica e illimitata di potere e di benessere materiale».14


L’UCRAINA E I PROBLEMI MONDIALI
La guerra d’invasione russa dell’Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022, è il tragico tassello di un puzzle insanguinato a livello mondiale. Pochi giorni dopo questo evento, il papa aveva detto: «Chi fa la guerra dimentica l’umanità. Non parte dalla gente, non guarda alla vita concreta delle persone, ma mette davanti a tutto interessi di parte e di potere». Dunque «si distanzia dalla gente comune che vuole la pace; e che in ogni conflitto è la vera vittima, che paga sulla propria pelle le follie della guerra».15 Dall’inizio del conflitto, che per molti era prevedibile, Francesco ha compiuto vari gesti e pronunciato molteplici discorsi nei quali è stata espressa la preoccupazione per l’intreccio tra ecumenismo e nazionalismo; si tratta di una circostanza che suggerisce una linea diplomatica. Quale?
La Santa Sede aveva fatto la sua parte già da tempo attraverso i tre incontri del pontefice con il presidente russo Putin (2013, 2015 e 2019), l’incontro con il presidente ucraino Porošenko (2015) e poi con il suo successore, il presidente Zelensky (2020), che ha sentito al telefono due volte durante il conflitto. Ovviamente, negli incontri Francesco aveva toccato il tema delle tensioni in atto, invitando a ricostruire un clima di dialogo per ricreare in ogni modo la pace, ma poi si è saputo che l’Ucraina era preparata a un attacco russo. Non si è seguita la strada del dialogo e si è aperto il baratro della guerra, facendo esplodere le tensioni che erano già sul tappeto.
La diplomazia vaticana legge la realtà e guarda al futuro. Dinanzi alla cruda realtà del conflitto esprime una decisa condanna dell’aggressione, usando termini forti quali «guerra ripugnante», «massacro insensato», «barbarie», «atto sacrilego». Due sono gli eventi più significativi che tutti ricordiamo, in cui si è colto l’animo personale del papa dinanzi al conflitto. In primo luogo, la “Lettera al popolo ucraino” del 24 novembre 2022, a nove mesi dallo scoppio della guerra. Si tratta di un messaggio accorato, commosso, che parla di una «immane tragedia». Francesco ha descritto efficacemente «il terrore scatenato da questa aggressione»: «nel vostro cielo rimbombano senza sosta il fragore sinistro delle esplosioni e il suono inquietante delle sirene (…). Nelle vostre strade tanti sono dovuti fuggire, lasciando case e affetti. Accanto ai vostri grandi fiumi scorrono ogni giorno fiumi di sangue e di lacrime».
Il secondo evento è il momento di forte commozione durante l’“Atto di venerazione” all’Immacolata in piazza di Spagna l’8 dicembre successivo, dove le lacrime del papa hanno bagnato la preghiera alla Vergine alla quale avrebbe voluto portare il ringraziamento del popolo ucraino, per la pace che da tempo viene chiesta. E invece si deve ancora presentare la supplica dei bambini, degli anziani, dei padri e delle madri, dei giovani di quella terra martoriata, che soffre.16 Francesco, come i suoi predecessori, non attacca capi religiosi o politici, ma fa appello alla soluzione dei conflitti e condanna azioni e scelte politiche. Non si tratta di una sorta di “neutralismo” del papa, come taluni pensano, ma di avere la chiara convinzione che la violenza genera sempre violenza e le vittorie generano sconfitte e paci instabili e friabili. L’approccio del pontefice si fonda sulla certezza che in questo mondo non esiste l’impero del bene; per costruire il bene e la pace occorre dialogare con tutti, sì, proprio con tutti. In questa prospettiva va letta la “diplomazia” di Francesco che si esprime attraverso gesti concreti, come la visita all’ambasciatore russo presso la Santa Sede per tentare di fermare la guerra; l’invio in Ucraina di due cardinali – Czerny e Krajewski – e di monsignor Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati; l’intervento per lo scambio di prigionieri. Si tratta di gesti finalizzati a creare la riconciliazione e una stabilità che resti nel tempo. Ma di fronte allo scenario di una guerra che produce gravi conseguenze per milioni di persone nel mondo, a causa di problemi socioeconomici e alimentari che potrebbero produrre forti pressioni migratorie nonché crisi di regimi politici,17 Francesco è radicale nel denunciare una politica internazionale che punta sull’escalation militare e la corsa agli armamenti, creando così nuovi imperialismi.
Nel suo discorso ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per gli auguri per il nuovo anno 2023 Francesco, dopo aver considerato il quadro internazionale, ha affermato come «l’attuale conflitto in Ucraina ha reso più evidente la crisi che da tempo interessa il sistema multilaterale, il quale abbisogna di un ripensamento profondo per poter rispondere adeguatamente alle sfide del nostro tempo. Ciò esige la riforma degli organi che ne consentono il funzionamento, affinché siano realmente rappresentativi delle necessità e delle sensibilità di tutti i popoli, evitando meccanismi che diano ad alcuni maggior peso a scapito di altri. Non si tratta dunque di costruire blocchi di alleanze, ma di creare opportunità perché tutti possano dialogare». In questa linea si è svolto il recente incontro del presidente Zelensky con papa Francesco, il 13 maggio 2023, con l'invito a compiere «gesti di umanità nei confronti delle persone più fragili, vittime innocenti del conflitto».

DISEGNARE UN’EUROPA NUOVA
La tragedia dell’Ucraina, con gli evidenti molteplici fattori a essa connessi, pone seri interrogativi sul processo di unificazione europea e impone una riflessione circa la visione e le strategie che devono guidare i passi da compiere in futuro. Nel decennio del suo pontificato, Bergoglio è intervenuto più volte sulla questione dell’avvenire dell’Europa, abbozzandone un’idea in grado di far nascere un nuovo umanesimo.18 Si tratta di tracce che possono illuminare i percorsi da intraprendere ovunque e soprattutto in seguito al conflitto in Ucraina.
Una rilettura dei cinque discorsi più importanti tenuti finora dal pontefice19 fornisce i tratti del profilo di un’Europa quale protagonista di un nuovo progetto creativo nel contesto di un mondo globalizzato.
Nel novembre 2014, in una visita di quattro ore a Strasburgo, in un contesto totalmente diverso rispetto a quello attuale, Bergoglio pronuncia due discorsi, al Parlamento europeo e al Consiglio d’Europa, in cui non menziona direttamente le istituzioni europee, ma ricorda i fondamenti che costituiscono l’humus sul quale esse vivono, indicato dai padri fondatori dell’Europa: «lavorare insieme per superare le divisioni e per favorire la pace e la comunione fra tutti i popoli del continente».20 La pace è, in ultima analisi, l’obiettivo di queste istituzioni: essa richiede un’educazione, un impegno a risolvere crisi e conflitti di cui ci si deve far carico.21

Nei due discorsi il pontefice ha puntato su un obiettivo preciso: svegliare un’Europa addormentata, invecchiata, un po’ chiusa in se stessa, ponendola in un contesto globalizzato e sempre meno “eurocentrico” onde poter affrontare nuove sfide che costringono a una “creatività continua” per rispondere a tentativi egemonici, pericolosi per la libertà e per il rispetto delle culture. Dopo il suo intervento a Strasburgo, diventato famoso come il discorso dell’“Europa stanca”, il 6 maggio 2016 Francesco ha ricevuto il prestigioso Premio Carlo Magno, considerato il “padre dell’Europa”. Esso gli è stato conferito nella Sala Regia della Città del Vaticano,22 con questa motivazione: «tributo al suo straordinario impegno a favore della pace, della comprensione e della misericordia in una società europea di valori». Il papa non europeo ha dell’Europa l’idea di una realtà in cui va rafforzata l’unità nella diversità. «La creatività, l’ingegno, la capacità di rialzarsi e di uscire dai propri limiti appartengono all’anima dell’Europa » ha esordito Francesco. L’Europa è se stessa se sa andare oltre se stessa, superando i limiti e i confini; la sua “casa” si costruisce andando oltre le ceneri dei «tragici scontri, culminati nella guerra più terribile che si ricordi». Questa visione, dunque, è profondamente legata al divenire, al superamento dialettico di muri e di ostacoli. Se l’Europa è da considerarsi non come “spazio” da occupare ma come processo in fieri, allora si comprende come esso metta in movimento energie, accettando le sfide della storia. In tale senso anche difficoltà e contraddizioni «possono diventare promotrici potenti di unità».
Il 25 marzo 2017 il papa ha ricevuto i ventisette leader dei paesi dell’Unione europea più i rappresentanti delle istituzioni comunitarie, convenuti a Roma per firmare una Dichiarazione in occasione del sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma. Andando alle radici dell’Europa, Francesco ha sentito il bisogno di tornare ai “padri d’Europa” perché non si può capire il presente senza la linfa vitale, il filo logico che viene dal passato. «Ritornare a Roma sessant’anni dopo– ha affermato – non può essere solo un viaggio nei ricordi, quanto piuttosto il desiderio di riscoprire la memoria vivente di quell’evento per comprenderne la portata nel presente. Occorre immedesimarsi nelle sfide di allora, per affrontare quelle dell’oggi e del domani».
Oggi serve lo stesso coraggio. I padri fondatori, ha proseguito il papa, «ci ricordano che l’Europa non è un insieme di regole da osservare, non un prontuario di protocolli e procedure da seguire. Essa è una vita, un modo di concepire l’uomo a partire dalla sua dignità trascendente e inalienabile e non solo come un insieme di diritti da difendere, o di pretese da rivendicare». Il tema dell’Europa è stato ripreso da Francesco il 28 ottobre 2017 nel discorso ai partecipanti alla Conferenza promossa dalla Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea, dal titolo: “(Re)thinking Europe. Un contributo cristiano al futuro del progetto europeo”. In questa circostanza il pontefice ha individuato due contributi che i cristiani possono portare all’Europa.
Il primo contributo è quello di ricordare all’Europa «che essa non è una raccolta di numeri o di istituzioni, ma è fatta di persone. Purtroppo, si nota come spesso qualunque dibattito si riduca facilmente aduna discussione di cifre. Non ci sono i cittadini, ci sono i voti. Non ci sono i migranti, ci sono le quote. Non ci sono i lavoratori, ci sono gli indicatori economici. Non ci sono i poveri, ci sono le soglie di povertà. Il concreto della persona umana è così ridotto ad un principio astratto, più comodo e tranquillizzante. Se ne comprende la ragione: le persone hanno volti, ci obbligano ad una responsabilità reale, fattiva, “personale”; le cifre ci occupano con ragionamenti, anche utili ed importanti (…), ma non ci toccano mai nella carne».
Il secondo contributo, conseguente al primo, consiste nel fatto che se si parte dal riconoscersi come persone ciò porta a riscoprire il senso di appartenenza ad una comunità. Non a caso «i padri fondatori del progetto europeo scelsero proprio tale parola per identificare il nuovo soggetto politico che andava costituendosi». Ed essa richiede «l’unione armonica delle differenze» in uno spazio nel quale «ci si possa incontrare e confrontare a tutti i livelli, in un certo senso come lo era l’agorà antica. Tale era infatti la piazza della polis. Non solo spazio di scambio economico, ma anche cuore nevralgico della politica».
Quindi pensare l’Europa come “luogo” e “spazio” significa intenderla come terreno di dialogo e non «sede di scontro fra forze contrastanti» dove trovano facilmente terreno fertile «le formazioni estremiste e populiste». A questa visione inclusiva e di dialogo si unisce l’impegno per la pace, «bene fragile», perché «le logiche particolari e nazionali rischiano di vanificare i sogni coraggiosi dei fondatori dell’Europa». La pace esige pure “creatività” per superare le proprie posizioni. Sono parole che risuonano più che mai attuali nel conflitto in corso a causa dell’invasione russa dell’Ucraina.
In sostanza, la riflessione sul processo europeo porta il pontefice a lanciare la sfida di “aggiornare” l’idea di Europa. Si tratta di puntare a un’Europa capace di dare alla luce un nuovo umanesimo che si basa su tre parole chiave: integrare, dialogare, generare. Integrare per Francesco significa inserire le differenze (di epoche, di nazioni, di stili, di visioni…) nel processo di costruzione. L’Europa nasce per includere, non per contrapporre o escludere. Non si tratta semplicemente di un processo dialettico quasi necessario, ma di una “convivenza”: il papa parla di “comunità dei popoli europei”.
Dialogare è ciò che permette di ricostruire il tessuto sociale perché riconosce l’altro da sé – lo straniero, il migrante, l’appartenente a un’altra cultura – come un soggetto da ascoltare, un interlocutore da apprezzare. A tale scopo è necessario soprattutto l’aiuto delle istituzioni educative perché questa cultura del dialogo sostituisca quella dell’odio, del conflitto, dei muri, coinvolgendo le giovani generazioni.
Generare è per Francesco un modo di essere al mondo che non contempla la sterilità e l’immobilismo dello spettatore, ma stimola alla partecipazione attiva, alla costruzione di una società integrata e riconciliata; è un forte appello alla responsabilità personale e sociale perché tutti possano partecipare alla sua elaborazione e costruzione. In particolare i giovani, che sono il presente e non solo il futuro, devono essere resi protagonisti del “sogno” europeo.
Molto illuminante è stato il discorso di Francesco, tenuto ad un convegno sul “Patto educativo globale”23 nel giugno 2022, dove ha ricordato ai docenti universitari di imparare a vivere con i giovani le crisi e a superarle insieme, «perché le crisi sono un’opportunità per crescere». Esse vanno gestite perché non si trasformino in conflitti. «Le crisi ti spingono in su, ti fanno crescere; il conflitto ti chiude, è un’alternativa senza soluzione. Educare alla crisi» perché essa può diventare «un momento opportuno che provoca a intraprendere nuove strade». Poi il pontefice ha voluto esplicare questo invito evocando un modello di come si può superare la crisi, rifacendosi alla figura mitologica di Enea. Egli, «in mezzo alle fiamme della città incendiata, carica sulle spalle il vecchio padre Anchise e prende per mano il figlio Ascanio portandoli entrambi in salvo (…). Così si supera una crisi. Enea salva se stesso non da solo, ma con il padre che rappresenta la sua storia e con il figlio che è il futuro».24
In conclusione, il tema della pace, in Europa e nel mondo, è ampio e trasversale, e oggi particolarmente attuale per le minacce crescenti dinanzi alle quali il papa ha ripetuto più volte: «nessuno può salvarsi da solo, nessun popolo, nessuno». Tornano, perciò, particolarmente adatti i contenuti proposti da Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti” con l’invito a socializzare e universalizzare la fraternità. Il tema del dialogo apre le porte della negoziazione e della mediazione, le quali – pur caratterizzandosi come un esercizio di ascolto paziente e analisi ponderata – sono l’unico modo per confrontarsi serenamente su temi di rilevanza strategica e nel rispetto della loro complessità nazionale e internazionale. Questa attenzione all’arte della negoziazione emerge in più occasioni. Francesco, infatti, sottolinea come di fronte alla guerra «usare le armi per risolvere i conflitti è segno di debolezza e di fragilità. Negoziare, procedere nella mediazione e avviare la conciliazione richiede coraggio. Il coraggio di non sentirsi superiori agli altri; il coraggio di affrontare le cause del conflitto, abbandonando interessi e disegni di egemonia; il coraggio di superare la categoria del nemico, per diventare costruttori della fraternità universale, che trova la forza nella diversità e unità nelle aspirazioni comuni ad ogni persona».25
Il passaggio al post-globale – in cui si coglie l’indebolimento o l’assenza di una governance internazionale e interna agli Stati, la frammentazione delle regole e gli evidenti mutamenti strutturali del multilateralismo – rende evidente la presenza di una molteplicità di attori nelle situazioni ordinarie, ma anche nelle emergenze e nei conflitti; ciò produce la conseguente difficoltà di definire con scelte comuni le questioni comuni come obiettivo base dell’azione diplomatica per risolvere i conflitti. Abbiamo bisogno di più coraggio nella risoluzione delle controversie, le quali fanno parte dell’agire umano, ma non possono essere causa della distruzione dell’umanità.
La proposta di Francesco di partire «dal basso» a edificare la pace si rende urgente in un contesto mondiale ove la guerra ritorna troppo spesso a essere considerata un metodo accettabile per la risoluzione delle controversie. Non bisogna credere che ci si trovi dinanzi a un’impostazione astratta o utopistica: papa Francesco parte da un’osservazione estremamente realistica e cioè che il conflitto esiste in tutte le pieghe della società, all’interno delle nazioni come a livello internazionale.26 E dunque l’opera indispensabile degli “artigiani di pace” non consiste nel rifuggire dai conflitti, perché la vera riconciliazione si raggiunge, in modo apparentemente paradossale, proprio nel conflitto, affrontandolo con coraggio, tolleranza e comprensione. La tragedia dell’Ucraina ci impone di guardare al futuro per preparare il terreno della riconciliazione e della pace attraverso percorsi di fraternità. Non bisogna pensare che la pace si raggiunga attraverso un cammino agevole o irenico: al contrario, richiede grande determinazione e chiarezza di visione. Anzitutto, perdonare non significa dimenticare: ci sono memorie – come quelle della shoah o delle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki – che vanno tenute vive perché simili tragedie non abbiano a ripetersi, In secondo luogo, giustizia non significa vendetta, perché fare giustizia non implica alimentare l’ira o l’impulso di distruzione dell’altro.
Trovare un accordo e superare il conflitto è provocare un «nuovo incontro», a cui si giunge attraverso percorsi di pace che possano rimarginare le ferite del corpo sociale e della stessa comunità internazionale. Dopo un conflitto, tutti ci ritroviamo trasformati, nel bene e nel male, non c’è un ritorno al «mondo di prima». Per creare un futuro migliore non si deve perdere tempo – dice papa Francesco – in «diplomazie vuote, (…) dissimulazioni, discorsi doppi, occultamenti, buone maniere»;27 occorre puntare a creare la fraternità, come «amicizia sociale» necessaria anche in politica internazionale, basata sulla giustizia, sulla riduzione delle diseguaglianze tra le nazioni e nelle nazioni, sullo sviluppo umano, sulla sicurezza intesa nel senso più ampio di sicurezza umana, sociale, ambientale.


[1] Si veda SIPRI-Stockholm International Peace Research Institute, Trends in World Military Expenditure, 2022, Stoccolma, aprile 2023, disponibile su www.sipri.org/publications/2023/sipri-fact-sheets/trends-world-military-expenditure-2022.

[2] Si veda M. Magatti, Via dalla spirale dei massacri, in “Avvenire”, 23 aprile 2023, disponibile su www.avvenire.it/opinioni/pagine/la-spirale-dei-massacri.

[3] H. Carrier, Dottrina sociale. Nuovo approccio all’insegnamento sociale della Chiesa, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993, p. 33.

[4] E. Malnati, I gesti profetici di Paolo VI, Ancora, Milano 2013, pp. 103 e sgg.

[5] Si veda V. Buonomo, Le relazioni internazionali secondo papa Francesco. Tra dialogo, pace e lotta alla povertà, in “Nuova Umanità”, 242/2021, pp. 119-36.

[6] Papa Francesco, Fratelli tutti, 179, disponibile su www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20201003_enciclica-fratelli-tutti.html.

[7] Si veda A. Spadaro, L’Atlante di Francesco. Vaticano e politica internazionale, Marsilio, Venezia 2023, pp. 69 e sgg.

[8] Papa Francesco, Angelus, 1° gennaio 2016, disponibile su www.vatican.va/content/francesco/it/angelus/2016/documents/papa-francesco_angelus_20160101.html.

[9] Papa Francesco, Discorso del Santo Padre all’Assemblea plenaria del Congresso degli Stati Uniti d’America, 24 settembre 2015, disponibile su www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/september/documents/papa-francesco_20150924_usaus-congress.html.

[10] Papa Francesco, Omelia, 1° gennaio 2016, disponibile su www.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2016/documents/papa-francesco_20160101_omelia-giornata-mondiale-pace.html.

[11] Papa Francesco, Evangelii gaudium, 219, disponibile su www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazioneap_20131124_evangelii-gaudium.html.

[12] Ibid., 202.

[13] Papa Francesco, Discorso al Corpo diplomatico, 11 gennaio 2016.

[14] Papa Francesco, Discorso all’Assemblea Generale dell’ONU, New York, 25 settembre 2015.

[15] Papa Francesco, dopo l’Angelus, 27 febbraio 2022, disponibile su www.vatican.va/content/francesco/it/angelus/2022/documents/20220227-angelus.html.

[16] Si veda A, Spadaro, L’atlante di Francesco cit., pp. 172 e sgg.

[17] Si veda M. Magatti, Disarmare Putin si può, in “Avvenire”, 12 aprile 2022, disponibile su www.avvenire.it/opinioni/pagine/disarmare-putin-si-pu.

[18] Si veda Papa Francesco, Ripensare il futuro dalle relazioni. Discorsi sull’Europa, LEV, Città del Vaticano 2018.

[19] Due al Parlamento europeo e al Consiglio d’Europa nel 2014; il discorso in occasione del conferimento del premio Carlo Magno nel maggio 2016; il discorso ai Capi di Stato o di Governo riuniti a Roma nel marzo 2017 per celebrare i sessant’anni della firma dei trattati fondatori; il discorso nell’ottobre 2017 al colloquio organizzato dalla Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità Europea in Vaticano per ripensare l’Europa.

[20] Si veda papa Francesco, Discorso al parlamento europeo, Strasburgo, 25 novembre 2014.

[21] Si veda papa Francesco, Discorso al Consiglio d’Europa, Strasburgo, 25 novembre 2014.

[22] Dopo la consegna del Premio da parte del sindaco di Aquisgrana e del presidente del Comitato direttivo dell’Associazione per il Premio, sono state pronunciate le laudationes da parte del presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, del presidente della Commissione europea, Jean-Claude Junker, e di quello del Consiglio europeo, Donald Tusk.

[23] Dopo aver invitato tutti a collaborare per custodire la casa comune, affrontando insieme le sfide, e costruire il futuro del pianeta, con il messaggio del 12 settembre 2019 Francesco aveva promosso un evento mondiale che si sarebbe dovuto svolgere a Roma nella giornata del 14 maggio 2020 sul tema “Ricostruire il patto educativo mondiale”. La pandemia ne ha impedito la realizzazione, ma sull’argomento il papa ha tenuto vari discorsi.

[24] Papa Francesco, Saluto ai partecipanti al convegno “Linee di sviluppo del patto educativo globale”, 1° giugno 2022, disponibile su www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/june/documents/20220601-convegno-pattoeducativo.html.

[25] Papa Francesco, Udienza ai Membri della ONG “Leader pour la Paix”, 2 dicembre 2022, disponibile su press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/12/02/0897/01883.html.

[26] Si veda papa Francesco, Fratelli tutti, 240.

[27] Ibid., 226.