Rabbia

Di Donatella Di Cesare Lunedì 16 Aprile 2018 15:00 Stampa

Sulla rabbia pende da secoli un duplice giudizio. Da un canto è vista come quell’impeto che acceca, fa perdere il lume della ragione, la lucidità e l’autocontrollo, dall’altro viene indicata come la risposta inevitabile, e per certi versi necessaria, a un’offesa subita, a un torto, a un’ingiustizia. Inibire, dunque, la rabbia o assecondarla? Reprimerla del tutto o tentare di gestirla?

L’interrogativo riguarda tutte le passioni che non si possiedono, ma dalle quali si è posseduti. L’ira epica di Achille, con cui si apre l’“Iliade” e si inaugura la letteratura europea, sembra scaturire da un’origine divina, provenire da un’energia primaria e inesplicabile. È perciò vano pretendere di sottrarsi a quella forza che scuote il corpo e fa ribollire il sangue. Si capisce perché sia andata prevalendo l’esigenza di contenere e indirizzare una passione che, se ripiegata su di sé, può avere conseguenze esiziali suscitando risentimento o provocando ritorsione. In breve, se altre passioni, tristi o non tristi, hanno uno stigma negativo, la rabbia, condannata nei suoi eccessi, viene giustificata, e anzi ritenuta giusta se, al momento opportuno e nei modi dovuti, reagisce a una sopraffazione, argina uno strapotere, ripristina l’equilibrio.

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