Cina-Usa: tecnologie emergenti, supply chains e nuovo ordine mondiale

Di Giuseppe Rao Giovedì 24 Febbraio 2022 17:31 Stampa
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La competizione asimmetrica. Cina-Stati Uniti Joe Biden giudica l’entrata della Cina nel WTO – è stato ricordato sul “New York Times” – «uno dei maggiori disastri geopolitici ed economici della storia». Nel 2001 prima Bill Clinton e poi George W. Bush si erano mostrati favorevoli, con il retropensiero che l’apertura al commercio internazionale avrebbe determinato l’implosione del sistema politico cinese. Pechino viene ammessa, mantenendo asimmetrie su costo del lavoro, obblighi per le imprese straniere di joint venture con aziende locali e di trasferimenti tecnologici, divieti di svolgere attività in settori ritenuti strategici dalla Cina. L’Occidente, pago del vantaggio costituito dalle produzioni a basso costo e dal facile accesso al mercato indigeno, sottovaluta la leadership cinese che, a partire da Deng Xiaoping, si è progressivamente posta l’obiettivo di conseguire l’autonomia tecnologica e di diventare la maggiore potenza industriale del pianeta.

 

 

La competizione asimmetrica Cina-Stati Uniti Joe Biden giudi­ca l’entrata della Cina nel WTO – è stato ricordato sul “New York Times” – «uno dei maggiori disastri geopolitici ed economici della storia». Nel 2001 prima Bill Clinton e poi George W. Bush si erano mostrati favorevoli, con il retropensiero che l’apertura al commercio internazionale avrebbe determinato l’implosione del sistema politico cinese. Pechino viene ammessa, mantenendo asimmetrie su costo del lavoro, obblighi per le imprese straniere di joint venture con aziende locali e di trasferimenti tecnologici, divieti di svolgere attività in set­tori ritenuti strategici dalla Cina. L’Occidente, pago del vantaggio costituito dalle produzioni a basso costo e dal facile accesso al mer­cato indigeno, sottovaluta la leadership cinese che, a partire da Deng Xiaoping, si è progressivamente posta l’obiettivo di conseguire l’au­tonomia tecnologica e di diventare la maggiore potenza industriale del pianeta.

Il corso degli eventi ha seguito percorsi inattesi: «da decenni “scom­mettere contro la Cina”, prevedere il suo schianto imminente, si è rivelato un azzardo» è la sintesi di Federico Rampini.1

Quali le ragioni e le conseguenze di questo “azzardo”? A fronte della continua crescita economica, tecnologica e geopolitica di Pechino quali scenari attendono la comunità internazionale e quali i rischi della sfida tra le due superpotenze? È possibile per l’Occidente recu­perare il terreno perduto?

Nel luglio 2020 Eric Schmidt, ex CEO di Google, e Jared Cohen, manager, già advisor di Condoleezza Rice e Hillary Clinton, creano il “China Strategy Group”, gruppo “eclettico”2 di quindici persone, con il compito di elaborare una strategia per affrontare la Cina e rimediare agli errori compiuti dagli Stati Uniti.

Il Report “Asymmetric Competition: a Strategy for China & Techno­logy. Actionable Insights for American Leadership” (Report Sch­midt)3 parte dall’assunto che per gli Stati Uniti la «leadership tec­nologica è fondamentale per la propria sicurezza, prosperità e stile di vita democratico». Gli autori rilevano il consolidamento di una “concorrenza asimmetrica”, in cui Pechino gode di “vantaggi compe­titivi” in ragione delle azioni delle istituzioni, innanzitutto le politi­che industriali (che, si legge, si avvalgono di pratiche commerciali e di investimento illegali, spionaggio industriale, sorveglianza illiberale e di una sfocata linea di demarcazione tra settore pubblico e privato). Tra i fattori favorevoli per la Cina: a) l’economia di scala, presuppo­sto chiave nello sviluppo delle tecnologie industriali, anche di nuova generazione; b) la creazione di piattaforme iperintegrate che, grazie alla loro osmosi, determinano vantaggi in termini di prestazioni di prodotti e servizi; c) la presenza di un mercato consumer interno vo­race di nuove innovazioni, a cui le aziende sono in grado di rispon­dere mediante cicli rapidi di integrazione del prodotto; d) ambiente normativo flessibile; possibilità di accesso a ingenti somme di capitale statale e quasi statale; presenza di regole che soffocano la concorrenza esterna e consentono «il furto di proprietà intellettuale». In aggiunta l’impatto di una popolazione di 1.400 milioni di persone e la dispo­nibilità dei dati generati dalla sorveglianza dei cittadini. Al netto delle accuse di prassi “illegali”, il Report Schmidt riconosce implicitamen­te i risultati ottenuti dalla leadership politica cinese, attestazione che corre di pari passo con le critiche rivolte agli errori – per molti versi asimmetrici – compiuti dall’apparato istituzionale americano.

Gli Stati Uniti non possono subire la dipendenza tecnologica in set­tori critici e l’approccio di Washington verso la Cina è «vago e mal definito». Il documento propone un processo di Government Rede­sign, e quindi l’intervento pubblico in aree cruciali: creazione di un Centro nazionale di analisi e previsioni tecnologiche; investimenti in infrastrutture, al fine di creare supply chains maggiormente resilienti; R&S; sistema educativo; formazione dei lavoratori. Inoltre, misure per attrarre manodopera altamente qualificata e controlli sulle piat­taforme digitali, vista la presenza nel mercato interno di operatori cinesi in grado di accumulare big data sensibili. È poi necessario cre­are una branca dell’esecutivo capace di indirizzare lo sviluppo tecno­logico (technological statecraft), nonché maggiore coordinamento e condivisione fra soggetti pubblici e privati. A livello internazionale viene proposto il multilateralismo con i “paesi amici” per unire gli sforzi contro l’avanzata cinese (ad esempio nel 5G occorre consi­derare Ericsson e Nokia come naturali alternative a Huawei) e in particolare un’alleanza tra i “T12” più avanzati tecnologicamente;4 una International Technology Finance Corporation per finanziare progetti per i paesi in via di sviluppo; “multilateral trust zones” in cui l’integrazione tecnologica possa essere perseguita in sicurezza.

Il Report Schmidt ha lanciato un grido di allarme, ma non è entrato nel dettaglio dell’analisi politico-istituzionale e dei dati che raccon­tano il mutamento dei rapporti forza economici e tecnologici tra le due superpotenze.

La sfida economica di Pechino Per capire l’espansione cinese oc­corre fare riferimento ai piani di breve, medio e lungo periodo, la cui adozione è preceduta da analisi e studi nelle scuole di partito e nelle accademie. Il Partito Comunista Cinese (PCC) definisce le linee strategiche, successivamente recepite nel dettaglio da istituzioni statali e territoriali.

I piani a medio e lungo periodo conseguono finalità “macro” come nel caso dei “Due Cento” e del “2035 Long-Term Development Tar­get”.5 I Piani quinquennali (adottati anche dalle province) indicano gli obiettivi nei settori specifici; il 5 marzo, in apertura della sessione annuale dell’Assemblea del Popolo, il primo ministro riferisce al Par­lamento sullo stato di attuazione e sulle criticità.

È utile sottolineare il ricorso alla sussidiarietà: Pechino ha avviato, seguendo il modello dei distretti industriali italiani, politiche per di­stribuire risorse nelle aree meno sviluppate.
La World Economic League Table 2022 del CEBR prevede che la Cina nel 2031 diventerà la prima economia del mondo. Dal 2006 è il paese che più contribuisce alla crescita dell’economia globale (circa il 30% in media); che detiene le maggiori riserve valutarie nel mondo (3162 miliardi di dollari) e ambisce ad aumentare il ruolo della propria divi­sa come valuta di riserva internazionale. Inoltre è il primo esportatore al mondo, commercializzando circa il 12% dei beni e servizi prodotti su scala globale, contro il 9,5% degli Stati Uniti e il 7,4% della Germania; il primo partner commerciale di Unione europea e Africa e dal 2020 è leader per numero di imprese nel Fortune 500 (2021: 135-122).

Il PIL di Cina e USA nel 2021 è cresciuto rispettivamente dell’8,1% (dal +2,2% del 2020, influenzato dalla prima epidemia di Coronavi­rus) e del 5,6% (dal dato negativo -3,4% dell’anno precedente e in presenza di una inflazione del 3,9%). Il buono stato dell’economia cinese sembra confermato dal fatto che nel 2021 le entrate fiscali sono salite del 10,7% su base annua (dato Global Times). Per ciò che ri­guarda l’attrazione di investimenti esteri gli USA nel 2020 – dati Word Investment Report – hanno totalizzato 157 miliardi di dollari, con un calo del 40% sull’anno precedente, mentre la Cina 149 miliardi, con un +5,7%. Pechino possiede il 5,6% (1,16 trilioni) del debito ameri­cano (su un totale del 29,3% controllato da investitori stranieri). Nel 2019, anno pre-Covid, il disavanzo commerciale USA – dati United States Census Bureau – era di 344 miliardi; nel 2021 di 319 miliardi. L’Economic Policy Institute ha stimato che nel periodo 2001-18 la competizione con la Cina ha provocato la perdita, solo negli USA, di 3,7 milioni di posti di lavoro, di cui 2,8 nella manifattura.

Se rivolgiamo lo sguardo ai mercati finanziari i due principali opera­tori di borsa al mondo – dati Statista ottobre 2021 – sono New York Stock Exchange (NYSE), nato nel 1817, capitalizzazione di 28,24 trilioni e NASDAQ, 1971, con 24,07 trilioni. Il mercato azionario cinese attrae sempre più investitori in virtù del successo delle società quotate: Shanghai Stock Exchange (SSE), 1990 (era nato nel 1891 ed è stato chiuso nel 1949), è il terzo operatore nel mondo con 7,77 trilioni; Stock Exchange of Hong Kong (SEHK o HKSE), 1861, è il sesto con 5,82 trilioni; Shenzhen Stock Exchange (SZSE), 1990, è il settimo con 5,76 trilioni. Il 2 settembre 2021 il presidente Xi ha annunciato l’istituzione del Beijing Stock Exchange (BSE) che, ope­rativo dal 15 novembre, si rivolge al mercato delle PMI.
La US-China Economic and Security Review Commission6 ha rile­vato che nei principali mercati americani (NASDAQ, NYSE, NYSE American) sono quotate, al 5 maggio 2021, 248 imprese cinesi (di cui 8 pubbliche), con una crescita del 14% rispetto al 2020, in cui erano quotate 217 società. Le unicorn registrano – dati aprile 2021 – invece una netta supremazia americana: 288 a 133.

La Cina è dipendente dalle importazioni per le materie prime, in particolare gas, petrolio e metalli. Dispone però di un vantaggio stra­tegico: estrae alte percentuali e lavora circa l’85-90% delle terre rare nonché una quota significativa di “minerali critici”, essenziali per produrre apparati digitali.7

Dalla fabbrica del mondo al Made in China Nel 2007 il presiden­te Hu Jintao introduce il concetto di visione scientifica dello svilup­po. Partito ed esecutivo contestualmente avviano la strategia diretta a modificare la struttura industriale, e quindi sociale, del paese: la grande fabbrica del mondo deve diventare il maggiore laboratorio di tecnologie e servizi avanzati. Per il raggiungimento dell’obiettivo nel 2015 è approvato il Piano “Made in China 2025”.

Un ruolo fondamentale per la crescita è dovuto agli interventi ma­croeconomici, alle politiche fiscali e all’ampia disponibilità di credito garantito dalle banche. I progetti della leadership sono stati favoriti dal trasferimento tecnologico da parte dei maggiori paesi industria­lizzati e anche dall’accresciuto ruolo delle imprese private – che co­munque hanno obbligo di rispettare gli indirizzi politici indicati da Partito e Stato.

Ricerca & Sviluppo (R&S) A partire dal 1982 vengono approvati numerosi piani, tutti incorporati nel 2014 nei “National Key R&D Program of China”. Sono previsti grandi investimenti nella ricerca di base e applicata; i laboratori sono attrezzati con le più moderne strumentazioni, quasi sempre acquistate da aziende straniere, e con la costruzione di grandi apparati tecnologici. Due esempi: nel 2016 il completamento del Five hundred meter Aperture Spherical Tele­scopee (FAST), il più grande telescopio nel mondo; nel 2021 l’avvio dell’operatività del supercomputer quantistico Zuchongzhi, il più potente prima di essere superato dall’IBM Eagle. Anche sui vaccini la Cina ha lanciato la propria sfida al mercato del Big Pharma.8

Un dato del 2020 indica i risultati frutto degli investimenti, le per­centuali di domande globali di brevetto (dati World Intellectual Pro­perty Organization): Cina 45,7%; USA 18,2%; Giappone 8,8%; Corea del Sud 6,9%; European Patent Office (EPO) 5,5%.

Negli ultimi anni il miglioramento delle retribuzioni ha incoraggiato scienziati e tecnici di talento a rimanere nel paese. Nel 2020 hanno conseguito in Cina il titolo di laurea presso colle­ge e università circa 7,97 milioni studenti,9 qua­si il doppio – dati Statista – dei circa 4 milioni americani. Significativa la percentuale di giovani cinesi che hanno concluso gli studi in ingegneria: 1.381.245 (17,3% del totale). Il consolidamento del modello di alta formazione emerge anche dal costante miglioramento nei ranking delle univer­sità del mondo. Infine sono state avviate politi­che per favorire il ritorno dei cervelli.

Il Report Schmidt, preso atto che gli Stati Uni­ti hanno perso l’egemonia globale nella scienza e nella tecnologia (S&T), osserva che in Cina sono in attività circa 60.000 analisti informati­ci che monitorano e cercano di acquisire la R&S open-source. Negli USA, invece, è stata data priorità agli affari militari e alla raccolta tecnica, piuttosto che agli sviluppi globali nelle tecnologie emergenti e alle loro implicazioni per la competitività economica.

Connettività, infrastrutture, supply chain e logistica Parag Khanna ha ricordato che la connettività è la forza più rivoluzionaria che si è palesata nella storia dell’uomo. I modelli efficienti di supply chain e logistica richiedono massicci investimenti nelle infrastrutture di rete. Andrea Barolini osserva su “Valori” che la spesa pubblica per infrastrut­ture negli Stati Uniti è scesa dal 6,5% del PIL degli anni Sessanta al 2,5% attuale, un periodo in cui la popolazione è aumentata del 60%. La Cina si è dotata di un moderno ed efficiente ecosistema di reti di trasporto (strade, ferrovie, porti fluviali e marittimi, aeroporti, energia, fibra ottica e wireless), che offrono servizi a tariffe competitive.10 Negli ultimi anni è stato rafforzato il modello di Private Public Partnership che consente ad aziende con capitale maggioritario privato (e in cui sono presenti attori pubblici) di costruire infrastrutture pubbliche.

Energia Nel 2019 – dati International Energy Agency e World Bank – la Cina ha prodotto 7541 TWh (mille miliardi di W) di elettricità; gli Stati Uniti 4392 TWh. Le fonti energetiche sono state rispetti­vamente: carbone: 65% - 24%; idroelettrico 17% - 7%; eolico 5% - 7%; nucleare: 5% (nel 2050 dovrebbe salire al 28%) - 19%; gas naturale 3% - 37%; Solare: 3% - 2%; biocarburanti e rifiuti: 2% - 2%. Consumo totale: 6568 - 3830 TWh; Consumo pro capite: 4700 kWh - 11.600 kWh.

Nel 2022 – dati Word Nuclear Association – Cina e USA hanno ri­spettivamente 53 e 93 reattori nucleari operativi nonché 18 e 2 unità in costruzione. Le centrali cinesi sono state costruite con tecnologia Areva (Francia) e Westinghouse (USA, proprietà giapponese). Nel 2020, dopo 12 anni di lavoro, la Cina ha realizzato, con la consulen­za della Westinghouse, il reattore di terza generazione CAP1400. Per Pechino si apre il mercato dei paesi in via di sviluppo.

Manifattura, tecnologie emergenti, 5G, piattaforme digitali La Cina nel 2019 – dati Statista – ha espresso il 28,7% della produzio­ne manifatturiera globale, contro il 16,8 degli Stati Uniti che, fino al 2010 erano il paese più performante. Nello specifico, il settore rappresenta il 30% del PIL (negli USA poco più dell’11%), mentre la digital economy il 39,2 %.

“Global Times”, “China Daily” e “South Morning Post” offrono in­formazioni giornaliere sui successi industriali e tecnologici: l’aereo civile C919; i treni ad alta velocità della classe “Fuxin”; il sommergi­bile Fendouzhe, sono solo l’inizio di una lista interminabile.
Gli investimenti sono concentrati sui “settori critici” richiamati dal Report Schmidt ovvero le tecnologie emergenti che caratterizzano la Quarta rivoluzione industriale: Intelligenza Artificiale, big data, machine learning, wearables, infrastrutture e piattaforme iperconver­genti, cloud computing, realtà virtuale, veicoli autonomi, 3D printing, robotica, droni, nanotecnologie, biotecnologie – senza dimenticare il 5G, che costituisce un formidabile catalizzatore per le tecnologie digitali e facilita modelli innovativi di “team competition”.

Le piattaforme digitali producono smisurati ricavi economici e sono capaci di influenzare gli orientamenti politici e culturali, in parti­colare dei giovani. Il governo ha bloccato l’accesso alle piattaforme americane (Google, Facebook, Twitter, WhatsApp), incoraggian­do lo sviluppo interno del settore: numerose imprese di ICT sono diventate dei giganti (Huawei, ZTE, Xiaomi, Lenovo); sono nati potenti e innovativi social media (Tencent, Baidu, Sina, NetEase, JD.com, Alibaba) che hanno introdotto modelli avanzati di conver­genza tecnologica. Le nuove imprese hanno sviluppato: comunica­zione tra gli internauti (1 miliardo di persone connesse ad Internet); innovazioni sociali radicali come l’uso del telefonino per gli acquisti (le banconote sono pressoché sparite e le transazioni avvengono su WeChat – che non trattiene commissioni); e-commerce, favorito dalla rapidità, e bassi costi, delle consegne; diffusione di contenuti on line – web series, cartoni animati, giochi – di cui i giovani sono appassionati consumatori. Le piattaforme sono ora orientate – al pari di quelle americane – verso la nuova frontiera del metaverso.

Nel 2020 negli Stati Uniti è emerso il problema della versione lo­cale di TikTok, di proprietà della società cinese ByteDance, la cui presenza veniva considerata una minaccia alla privacy dei cittadini e alla sicurezza nazionale. I contenziosi aperti dall’Amministrazio­ne Trump non hanno avuto seguito con il successore. La ragione potrebbe risiedere nel fatto che il social network è diventato popo­larissimo, soprattutto tra i giovani, ed è utilizzato dalle imprese per la pubblicità. Lo stesso Joe Biden è apparso in un video postato su TikTok dal popolare gruppo musicale Jonas Brothers.

Aerospazio La Cina ha recuperato ritardi nelle attività aerospazia­li, luogo privilegiato per il conflitto tra le superpotenze. Il primo importante successo è stato il sistema di posizionamento satellitare BeiDou – i 35 satelliti sono stati lanciati dal 2000 al 2020 –, entrato in competizione con il GPS americano e il sistema Galileo dell’Agen­zia Spaziale Europea (non ancora completato). Nel gennaio 2019 il lander della missione Chang’e 4 si è posato sulla Luna; nel 2020 la missione Chang’e 5 ha raccolto di campioni della superficie lunare; nel 2021 è stato avviato il progetto Tiangong 3, la stazione modula­re destinata a missioni scientifiche, la cui costruzione è stata voluta poiché gli USA hanno escluso Pechino dal progetto Stazione Spazia­le Internazionale (a cui hanno contribuito Unione europea, Russia, Giappone e Canada). Da ultimo Marte: lanciata nel luglio 2020, nel maggio successivo la sonda Tianwen-1 ha depositato lander e rover sul pianeta rosso.

È noto che le imprese americane, su tutte SpaceX e Blue Origin, con il lancio di migliaia di satelliti, hanno rivoluzionato l’accesso allo spazio. Ciò ha provocato le proteste di Pechino – consapevole del va­lore strategico del controllo delle orbite basse11 –, che a sua volta ha avviato collaborazioni con aziende private nazionali come Galactic Energy e i-Space.

Confronto militare A seguito dei fatti di Tienanmen del 1989 USA e UE hanno decretato l’embargo sulla vendita di armi – una deci­sione che, accanto ai consensi ha suscitato critiche persino in settori dell’esercito americano, nella misura in cui, in aggiunta alle mancate esportazioni, avrebbe condotto la Cina a stringere alleanze con paesi come Russia e Brasile.

Pechino ha sviluppato investimenti e sinergie strutturali tra settore militare e civile. La parata che nel 2017 ha celebrato il 90° anniver­sario dell’Esercito Popolare di Liberazione è diventata l’occasione per esibire al mondo alcuni armamenti: i fighters J-20 e J-16; l’aereo da trasporto Y-20; i veicoli terrestri 8×8, i missili intercontinentali della famiglia Dongfeng; i bombardieri H-6K; gli elicotteri d’attacco Z-10; i droni; i radar.

I dati del Stockholm International Peace Research Institute indicano che nel 2020 le spese militari di USA e Cina ammontavano rispetti­vamente a 778.000 e 252.000 milioni. Le testate nucleari attive sono rispettivamente 1800 e 350. Gli Stati Uniti dispongono di circa 750 basi militari disseminate in circa 80 paesi, mentre l’unica cinese, priva di finalità militari, è a Gibuti. Pechino possiede potere di deterrenza, anche sulle armi convenzionali, e può contare – dati Statista 2021 – su 2.185.000 soldati, mentre l’India ne ha 1.445.000, gli Stati Uniti 1.400.000, la Corea del Nord 1.300.000 e la Russia 1.014.000. Nel novembre 2021 il “Financial Times” ha riferito che la Cina ha sparato, durante un test, un missile da un’arma ipersonica, aggiungendo che il Pentagono è rimasto sorpreso poiché, oltre agli USA, nessuna potenza sembrava avere questa capacità.

Da Deng Xiaoping a Xi Jinping L’“invenzione” leninista del parti­to che si identifica con lo Stato rappresenta l’architrave del modello istituzionale (autoritario) cinese. L’esercizio del potere è costruito sulla base di riti, procedure e processi cadenzati nei tempi. Per quan­to possa apparire paradossale per un paese in cui vive il 18,47% della popolazione mondiale, le rigidità istituzionali si mescolano con la tensione continua per riforme, modernizzazioni, sperimentazioni (si pensi alle Zone Pilota introdotte da Deng Xiaoping al fine di testare le innovazioni economiche) e correzioni di errori.12

Il socialismo con caratteristiche cinesi avviato da Deng prevede la guida statale dell’economia. Per le imprese private valeva il motto: diventate ricchi, non pagherete tasse, avrete fi­nanziamenti pubblici, ma non interferite con la politica. Nel 2020 è stato introdotto il concetto di doppia circolazione: in presenza dei due cicli interno ed esterno, l’enfasi è ora sul rafforzamen­to dell’economia domestica, compresi i consu­mi, l’innovazione, e ridotta dipendenza dalle im­portazioni estere. Imponenti investimenti sono previsti per la transizione ecologica.

In tempi recenti il PCC ha avvertito il rischio derivante dalla concentrazione di ricchezza e di potere in mani private, soprattutto nelle piat­taforme digitali che controllano dati sensibili dell’intera popolazione, condizionano l’orienta­mento delle persone, incidono sulla privacy. È stata riaffermata la preminenza delle industrie di Stato (SOE’s); le leggi antitrust rafforzate; l’accesso al credito rimesso in discussione; gli imprenditori che mirano a influenzare l’assetto politico sanzionati. La dirigenza cinese è consapevole che le sfide interne e internazionali possono essere fronteggiate solamente da un paese unito. Il leader – che assume le cariche di Segretario Generale del PCC, presidente della Commissione Militare Centrale e presidente della Repubblica – necessita di una rafforzata legittimazione, senza tuttavia trascen­dere nel modello dell’uomo solo al comando reso impossibile dalla meticolosa articolazione degli organi collegiali di Partito (Congresso, Comitato Centrale, Politburo, Standing Committee) e dal “centra­lismo democratico”. Nel 2016 Xi Jinping viene incoronato “cuore” del Partito, privilegio spettato in precedenza a Mao Zedong, Deng Xiaoping e Jiang Zemin. Nel 2017 il pensiero del Segretario Genera­le sul socialismo con caratteristiche cinesi “per una nuova era” viene iscritto nello Statuto del PCC; nel 2018 il limite costituzionale dei due mandati abolito (cosa diversa dall’elezione a vita, di cui talvolta si legge e si sente).

Il presidente della Repubblica insiste sulla disciplina, nel Partito e nel paese; viene data enfasi all’orgoglio delle forze armate. Fermezza e severità il metodo usato: nomina di persone affidabili – sia pure nel rispetto della tradizionale meritocrazia; lotta alla corruzione (usa­ta anche per allontanare dirigenti non in linea con il nuovo corso); insistenza sui valori del socialismo, anche nelle scuole; adozione di meccanismi di censura, soprattutto su Internet, più incisivi.

Il PCC è attento al problema del consenso, e guarda all’esperienza so­vietica come un monito. Xi Jinping sin dal giorno dell’insediamento ha inteso fare breccia nei sentimenti del popolo, invocando il riscatto dal secolo dell’umiliazione iniziato con le Guerre dell’Oppio, il per­seguimento del sogno cinese, il “risorgimento della nazione” e la lotta all’inquinamento. La stabilità è garantita dalla classe media, circa 400 milioni di persone, che ha acquisito benessere e guarda al futuro con ottimismo. Giuliano Noci, prorettore del Politecnico di Milano, sot­tolinea che Xi Jinping considera i livelli di sperequazione nel paese non più gestibili né tollerabili e che occorre indirizzare parole di spe­ranza ai 500 milioni di cinesi ancora in povertà. Il leader pone anche il focus sulla “Rule of Law”, al fine di garantire la certezza del diritto e contrastare gli abusi dei funzionari ai danni dei cittadini.13 Noci conclude: «La società è compatta, e tra i giovani si possono trovare i più orgogliosi sostenitori del nuovo corso». Un sondaggio pubblicato da “The Harvard Gazette” nel 2020 ha evidenziato che nel 2016 il95,5% degli intervistati erano relativamente soddisfatti o molto sod­disfatti della guida dello Stato; nello stesso periodo solo il 38% degli americani si esprimevano in termini positivi sul governo federale.

Un ulteriore fattore merita attenzione: le assunzioni di giovani nel Partito, nello Stato e nelle aziende pubbliche finalizzate al ricambio generazionale. Nel 2021 dei 7441 laureati della Tsinghua University di Pechino – probabilmente la migliore del paese – il 7,7% è stato impiegato da Partito o agenzie di governo; il 14,8% da istituzioni e l’11,7% da imprese statali.

Tecnologie emergenti, supply chains e nuovo ordine mondiale Deng ha indicato tempi e metodi per sorprendere gli avversari: «Na­scondi le tue capacità, attendi il tuo tempo»; senza dimenticare che con l’apertura delle porte «entreranno inevitabilmente le mosche» – il riferimento è a coloro i quali tenteranno di disarticolare il sistema.

Dopo quarant’anni, grazie ai successi in economia, tecnologie emer­genti e supply chains la Cina è diventata una superpotenza, che usa addirittura il podio di Davos per ergersi a paladina della globalizza­zione. Nel 2013 Xi Jinping lancia la Via della seta terrestre e marit­tima (Belt & Road Initiative), un grande progetto di connettività globale. La postura internazionale cambia in modo radicale e viene espressa con toni perentori, come sta accadendo per il caso Taiwan. Nell’area dell’indo-pacifico, dove scontra l’ostilità di Giappone, In­dia, Corea del Sud e Australia e dei paesi che ne guardano con so­spetto l’ascesa, la Cina consegue risultati imprevisti: a gennaio 2022 entra in vigore la Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), tra 15 paesi che coprono il 32% del PIL mondiale, destina­to principalmente alla riduzione dei dazi doganali.14

Contestualmente Pechino rafforza i legami con l’ASEAN. L’asse con la Russia diventa strategico, come dimostra il fatto che nel settembre 2021, dopo 15 anni di attesa, l’Iran è stato ammesso nella potente Shanghai Cooperation Organisation, di cui fanno parte anche Ka­zakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, Pakistan e India – e che copre quasi metà della popolazione del pianeta.
La Cina si erge nelle diverse assise a difensore dei paesi in via di svi­luppo – che si sentono spesso vittime dell’Occidente –, e verso cui destina risorse finanziarie in infrastrutture, tecnologie, e aiuti sani­tari (soprattutto vaccini) – creando, come viene spesso ricordato, vincoli di dipendenza.

A partire dalla Reaganomics negli USA si è assi­stito al disimpegno dello Stato nell’economia e alla deregolamentazione di settori strategici, fi­nanza inclusa. Il caso recente del Build Back Bet­ter – l’“Agenda” di investimenti pubblici in in­frastrutture e welfare proposta da Joe Biden e che ha subito un significativo ridimensionamento da parte del Congresso15 – evidenzia le disfunzioni del sistema USA, con i presidenti spesso privi di maggioranza al Congresso e dove, e contrariamente all’immagine di democrazia maggioritaria orientata al decisionismo, si assiste a di­namiche compromissorie multilivello: presidente-Congresso; Stato centrale-Stati federali; maggioranza-opposizione parlamentare; e, fi­nanche, presidente-membri del suo partito – come dimostra il caso di Joe Manchin che, con un Senato spaccato a metà, è riuscito a bloc­care il Build Back Better Plan Act, 2000 miliardi destinati a misure per il welfare e l’emergenza climatica, poiché contrario all’aumento del debito e delle imposte per le grandi imprese.

La società è profondamente lacerata. Joe Biden – al fine di rafforzare la propria leadership nazionale e internazionale – risponde alla sfida di Pechino utilizzando toni da guerra fredda, a cui ricorre nel corso del viaggio europeo del luglio 2021 (G7, UE, NATO) durante il quale ha chiesto una alleanza strategica per sconfiggere l’avversario.

Siamo di fronte a una possibile Trappola di Tucidide, ovvero al con­flitto finale tra una potenza tradizionalmente egemone e una emer­gente?

Il Report Schmidt individua una strada sostenibile per evitare lo scontro diretto e per sfuggire dalla supremazia cinese nelle tecnologie emergenti e nelle supply chains (senza dimenticare le terre rare) – emersa in modo inesorabile durante la pandemia e nei casi di navi cargo bloccate nei porti. Il documento invita la Casa Bianca ad evi­tare «confrontation, retaliation, or unintended conflict» – che peral­tro genererebbero una eguale risposta cinese che andrebbe a scapito dell’interesse della nazione; anzi, occorre valutare «dove la coopera­zione, la collaborazione e lo scambio con la Cina sono nel nostro interesse e se recidere i legami e chiudere gli Stati Uniti alle idee, alle persone, alle tecnologie e alle catene di approvvigionamento neces­sarie per competere efficacemente minerà l’innovazione degli Stati Uniti». A poco serve ricordare che l’Occidente, con il fenomeno del­le delocalizzazioni e del trasferimento tecnologico, in aggiunta agli errori nella governance della politica estera (l’Afghanistan ultimo esempio), ha creato da sé le premesse della propria dipendenza e – in molti scrivono – declino.

Ripartire dalla storia Sin dalle rivoluzioni industriali tecnologie e supply chains rappresentano i principali fattori che determinano gli assetti nell’ordine mondiale.

Nel 2009 Martin Jacques pubblica una monografia dal titolo pre­monitore: “When China Rules the World: The End of the Western World and the Birth of a New Global Order”. L’Occidente – e so­prattutto l’Europa, depositaria di una civiltà millenaria – necessite­rebbe di visione di medio e lungo periodo, politiche comuni per la R&S e l’industria e quindi l’accantonamento degli interessi di parte, sia dei singoli Stati che delle multinazionali.

Gaetano Azzariti, nel suo “Diritto o barbarie” (2021) cita Giambat­tista Vico per ricordare che gli esiti delle civiltà «dipendono dalle reali forze in campo e dalla effettiva modalità di composizione dei poteri». Del resto, «la stessa legge dei cicli è dimostrazione della non linearità della storia: proprio quando sembra raggiungere la sua ma­turità, essa può sempre cadere in preda di forze reali che ne decretano il collasso».

Può capitare di entrare in un negozio di vecchi oggetti impolverati ed imbattersi in un LP del 1960 di musica classica, con una copertina rossa, dal titolo: “USA-URSS Cultural Exchange Program”: allora, in piena guerra fredda, qualcuno pensò di costruire dei ponti. Allo stesso modo, oggi è necessario ascoltare papa Francesco che ci invita a ripartire dal dialogo, dal negoziato e dal dialogo culturale e reli­gioso. La Cina, dal canto suo, dovrebbe essere coerente con i propri orientamenti sulla globalizzazione e consentire i controlli delle orga­nizzazioni internazionali in tema di diritti umani.

Un ruolo essenziale per salvaguardare il mutuo rispetto tra la civiltà deve essere svolto dall’accademia, dai think tank e dalla società civile. Non possiamo correre il rischio di disseminare l’odio tra le nuove generazioni, incidendo pesantemente sui processi della memoria – come è accaduto in passato – e provocare strascichi impossibili da calcolare.

Ripartiamo dalla storia, ci ricorda Azzariti, «non fosse altro perché le cause della crisi sono in noi».

 


 

[1] F. Rampini, La dottrina antagonista che preoccupa l’Occidente, in “la Repubblica”, 2 luglio, 2021, p. 19.
[2] Tra i membri del gruppo accademici, tecnologi, imprenditori ed ex policymakers di diverso orientamento politico. Eric Schmidt ha anche presieduto la National Secu­rity Commission on Artificial Intelligence, organo federale, temporaneo e indipen­dente, istituito dal Congresso nel 2018 per elaborare studi e proposte sulle modalità di utilizzo dell’intelligenza artificiale per la sicurezza nazionale. Il poderoso Report finale del marzo 2021 parte dall’assunto che l’«America non è preparata a difendersi o a competere nel settore dell’Intelligenza Artificiale» che, parafrasando ciò che Tho­mas Edison diceva dell’elettricità, è «il settore dei settori» e «custodisce i segreti che riorganizzeranno la vita dell’umanità».
[3] Nella copia reperibile online si legge “Confidential – Not for Distribution”.
[4] I paesi sono: USA, Giappone, Germania, Francia, Gran Bretagna, Canada, Olanda, Corea del Sud, Finlandia, Svezia, India Israele e Australia. L’Italia non è considerata.[5] I “Due cento”: 2021 centenario fondazione PCC – società moderatamente prospera; 2049 centenario fondazione Repubblica Popolare – nazione pienamente sviluppata, con riconquista di posizione di primato nel mondo; il “2035 Long-Term Deve­lopment Target” – modernizzazione socialista complessiva (economia, tecnologie, cooperazione internazionale, cultura e benessere sociale e nel lavoro).
[6] La US-China Economic and Security Review Commission è stata creata dal Con­gresso nell’ottobre 2020 con il compito di redigere un rapporto annuale sulle impli­cazioni per la sicurezza nazionale delle relazioni commerciali ed economiche tra Stati Uniti e Cina nonché per proporre azioni legislative e amministrative.[7] Le attività estrattive hanno costi ambientali elevatissimi che inducono numerosi pa­esi, tra cui gli USA, a ridurle.
[8] L’industria pubblica Sinopharm e quella privata Sinovac hanno prodotto vaccini a virus inattivato. Uno studio del “Journal of the American Medical Association” del 2021 ha affermato che il trattamento degli adulti con i due vaccini messi a punto da Sinopharm ha ridotto significativamente il rischio di Covid-19 sintomatico (un vaccino è stato attestato un livello di efficacia del 72,8%; l’altro del 78,1%). L’OMS ha qualificato come sicuro ed efficace il vaccino Sinovac, che si configura (al pari di quelli prodotti da Sinopharm) come un prodotto di facile stoccaggio (oltre che di basso costo) e, di conseguenza, di facile distribuzione nei paesi in via di sviluppo. Nel gennaio 2022 è stata data notizia di Convidicia, un nuovo vaccino a vettore virale monodose – già autorizzato in numerosi paesi: “Lancet” parla di un’efficacia pari al 57,5% contro l’infezione sintomatica e del 91,7% contro le forme gravi, a partire da 28 giorni dopo la vaccinazione.[9] Nel 2022 è prevista una crescita di laureati di circa 1,7 milioni.
[10] Un solo dato sulle infrastrutture: nel 2020 la rete ferroviaria ad alta velocità cinese era di 35.388 km., mentre quella degli Stati Uniti di 735 km.
[11] Sul punto si rinvia a L. Caracciolo, Space oddities, in “Limes”, 12/2021, Lo spazio serve a farci la guerra, p. 7 e sgg.
[12] Sul punto R. Ross, S. Ligang, F. Cai, China’s 40 Years of Reform and Development: 1978–2018, Australian National University Press, Canberra 2018. Per le dinamiche che regolano le istituzioni cinesi si rinvia, per tutti, a D.A. Bell, Il modello Cina. Meritocrazia politica e limiti della democrazia, LUISS University Press, Roma 2019.
[13] Il “Plan for the Construction of a Rule of Law China (2020–2025)” approvato dal Comitato Centrale del PCC, afferma che lo stato di diritto è un segno distintivo del progresso della civiltà umana, nonché la base per l’esercizio delle attività di governo.
[14] Hanno formato l’accordo i 10 paesi dell’Association of Southeast Asian Nations (ASEAN): Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Singapore, Thailandia, Vietnam nonché Australia, Cina, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud. L’India ha rinunciato poiché timorosa dell’egemonia cinese. L’accordo ha per oggetto commercio di beni e servizi, investimenti, cooperazione economica e tecnica e che crea nuove regole per e-commerce, proprietà intellettuale, appalti pubblici, concorrenza e piccole e medie imprese.
[15] Ad oggi sono stati approvati l’American Rescue Plan (1900 miliardi), finalizzato a contenere gli effetti economici e sociali della crisi sanitaria; e l’Infrastructure and Jobs Act (1200 miliardi) in materia di infrastrutture e di efficientamento delle reti di comunicazione, delle infrastrutture digitali e del sistema di resilienza ambientale. L’American Families Plan (1000 miliardi + 800 miliardi di crediti d’imposta) per la ristrutturazione del sistema di welfare ha trovato forti opposizioni nel Congresso.