Alessio Viola

Alessio Viola

Alessio Viola è nato a Troia (FG) nel 1952. Vive a Bari, sposato, con un figlio. In fabbrica come operaio metalmeccanico per tre anni, ha lavorato a contatto con l’amianto. Sindacalista nella segreteria provinciale della Federazione lavoratori metalmeccanici, si è laureato poi in Filosofia e ha insegnato per alcuni anni. Nel 1980 è tra i fondatori della Taverna del Maltese, uno storico locale della vita notturna barese attivo fino agli anni Duemila. Ha collaborato all’edizione barese di “Repubblica” ed è editorialista del “Corriere del Mezzogiorno”. Ha pubblicato numerosi libri, tra cui “Dove comincia la notte”, per Rizzoli, tradotto in Francia da Rivages. L’ultimo romanzo è “Vivere e morire a Levante”, edito da Besa.

Il partito dell’Io

Stasera fa un cazzo di freddo. Figurati stanotte che sarà. Non dovevo buttare il pomeriggio al cinema, mi risparmiavo quegli euri per un paio di birre. Cazzo di idea andare a vedere questa depressione.
«Il film di Ken Loach è bellissimo. Purtroppo quelli a cui è dedicato non potranno vederlo perchè troppo impegnati a consegnare stronzate a quelli che lo vanno a vedere» ha scritto il mio amico Antonio su Facebook. Ho capito di colpo perché sto nella merda. E mica ero destinato, a questo bagno. Ho studiato, che altro volevate. Mi sono quasi preso una laurea inutile, poi mi sono fatto il mazzo per dieci anni a inventarmi un lavoro. Niente, a chi serve un laureato in filosofia? Potevo finire, lo so, e sarei entrato nel girone dei precari, le graduatorie, le supplenze, l’emigrazione… Volevo stare qui al caldo, e allora? Voi no? Ho provato a farle, le cose.

Denaitbifor

C’erano quelle luci da discoteca che lo guardavano nel buio. Di fronte a lui che se ne stava dietro i vetri di un balcone dell’ospedale che dava sul nulla, verso l’aeroporto. Linee colorate e spezzate, rosse verdi azzurre, acide, sembrava un supermercato perso nella notte. Sempre meglio dello spettacolo dalla finestra interna alla sua stanza, pensava: il buio pesto spezzato dalle mille luci della zona industriale e da quelle smorte delle vie del quartiere San Paolo, periferia di Bari. Paesaggio alla Blade Runner, fumi bianchi in una notte di mezzo inverno, poteva seguire qualche camion che passava tra quei capannoni che indovinava senza vederli. Ci aveva passato tre anni dentro una di quelle fabbriche, il tempo necessario per lavorare e respirare amianto a pieni polmoni. Era stato tanto tempo prima, quasi quarant’anni. «Il periodo classico d’incubazione» gli aveva detto il medico dopo la biopsia. «È maligno», aveva aggiunto senza inflessioni di voce né emozione. Ora era il momento di togliere via la bestia, dopo mesi di chemio e analisi e controlli e tutto un inferno di schifo.