La razionale rinuncia al nucleare del colosso tedesco

Di Edoardo Zanchini Mercoledì 01 Giugno 2011 15:38 Stampa

La decisione del governo Merkel di chiudere tutti i reattori nucleari entro il 2022 non rappresenta un cambiamento improvviso o una reazione emotiva all’incidente di Fukushima, è invece frutto di una scelta strategica relativa al mix energetico che da più di dieci anni privilegia lo sviluppo delle fonti rinnovabili.


La decisione del governo Merkel di chiudere tutti i reattori nucleari entro il 2022 ha una evidente, rilevantissima portata in termini energetici e politici. Innanzitutto per le conseguenze dell’impegno preso: i 17 reattori hanno garantito nel 2010 il 22% della risposta alla domanda elettrica, e per sostituirli occorrerà in 10 anni realizzare una fortissima crescita delle fonti rinnovabili e garantire, al contempo, l’equilibrio del sistema elettrico. Qui sta forse la novità più importante di una decisione che segue di pochi giorni quella del governo svizzero, che analogamente ha scelto di fissare la chiusura dei propri reattori nucleari al 2035.

Siamo di fronte a scelte sulle quali ha evidentemente pesato l’impatto sull’opinione pubblica del drammatico incidente di Fukushima, ma che non rappresentano un cambiamento improvviso o una scelta fatta sull’onda di una reazione emotiva, che oltretutto darebbe molto da pensare visto che riguarda due paesi che sono noti nel mondo per la loro solidità. Perché la vera novità della discussione in corso sull’energia è che oggi c’è chi si candida a costruire questa transizione, con la credibilità e la forza di un sistema di imprese, come quello tedesco, che è stato capace di realizzare risultati che parevano impossibili solo pochi anni fa. Basti dire che gli occupati in Germania nelle fonti rinnovabili sono attualmente 350.000 e che la produzione elettrica da queste fonti è passata dal 6% del 2000 all’attuale 17% e, secondo le stime degli stessi industriali, potrà arrivare addirittura al 47% nel 2020. Sono il crescente peso di questo settore e la sua proiezione di espansione ad aver convinto il governo Merkel a un clamoroso dietrofront; basti ricordare che a settembre 2010 la coalizione tra CDU, CSU e Liberali aveva deciso il prolungamento della vita dei reattori di 12 anni.

Fukushima ha avuto, senza dubbio, l’effetto di accelerare il dibattito sui rischi e i costi dell’energia prodotta dall’atomo, che però già da diverso tempo era in corso nel paese. A questo si sono aggiunti poi i recenti exploit elettorali dei Verdi tedeschi in Baden-Wurttemberg e a Brema, che proprio dell’alleanza con questo nuovo settore industriale hanno fatto una scelta strategica – insieme a quella dell’uscita dal nucleare –hanno portato ad accelerare il cambio di rotta. Una decisione che, se avrà i suoi costi per quanto riguarda gli interessi su cui si va a incidere, a partire da quelli dei grandi gruppi energetici che gestivano gli impianti, permette alla Merkel di dare un fortissimo segnale della volontà di puntare sull’innovazione industriale e ambientale.

La Germania è infatti nel mondo il paese meglio posizionato nello sviluppo delle tecnologie pulite e con le migliori prospettive in questo settore proprio per le lungimiranti politiche applicate con continuità a partire dal 2000, con la prima Legge sulle energie rinnovabili, che hanno permesso, grazie alla ricerca applicata, di migliorare l’affidabilità e l’efficienza delle tecnologie solari, eoliche, da biomasse, riducendo progressivamente gli incentivi per le installazioni mentre si riducevano i prezzi.

Ora, però, la sfida che viene lanciata è ancora più ambiziosa: in dieci anni si vuole raddoppiare il contributo delle rinnovabili andando oltre gli obiettivi di sviluppo fissati dall’Unione europea al 2020, per poi continuare in una direzione di progressiva penetrazione delle tecnologie, riduzione dei consumi energetici e di lotta ai cambiamenti climatici. Del resto, precede di qualche mese l’incidente di Fukushima la presentazione delle strategie energetiche del governo tedesco nelle quali si individua come obiettivo al 2050 di arrivare a un contributo delle fonti rinnovabili rispetto ai consumi elettrici pari all’80%. Attenzione, si farebbe un grave errore a pensare che sia una scelta utopica o che si tratti di numeri scritti sull’acqua, perché si è arrivati a definire questa strategia con sano pragmatismo tedesco e continuo confronto con il sistema delle imprese.

È interessante leggere questi documenti proprio per la lungimiranza delle scelte e la capacità di individuare i nodi nevralgici su cui intervenire. Il primo obiettivo è quello di potenziare fortemente la rete elettrica, per garantire il funzionamento di un sistema fatto di migliaia di impianti che deve essere capace di gestire lo spostamento di grandi flussi di energia. Sarà infatti strategico governare l’equilibrio del sistema considerando i cicli di produzione dal vento e dal sole nelle diverse parti del paese (e per questo diventano fondamentali le previsioni meteorologiche). Il secondo obiettivo è di spingere tutti gli impianti capaci di garantire la domanda di picco, quindi non legati a oscillazioni nella produzione, e flessibili nella gestione in funzione della richiesta della rete (quindi biomasse e biogas, pompaggi idroelettrici, sistemi ad aria compressa, altre tecnologie sperimentali). Il terzo obiettivo riguarda le tariffe elettriche, con cui si vuole premiare fortemente l’utilizzo nelle fasce orarie dove la domanda è più bassa. Infine, per quanto riguarda gli incentivi, si vuole dare continuità al sistema in conto energia differenziato per le diverse fonti introdotto nel 2000, dando certezze agli investimenti nel quadro di una chiara strategia di sviluppo (sono previsti 52.000 MW fotovoltaici al 2020), ma definendo da subito la curva della progressiva riduzione per tutte le fonti. Insomma, da tutto il mondo si guarderà alla Germania nei prossimi anni per capire i profili di un nuovo modello energetico incentrato sulle fonti rinnovabili.

Speriamo che anche l’Italia stia dentro questa prospettiva di sviluppo che, inevitabilmente, passa per un chiaro “NO” alla costruzione di nuove centrali nucleari nel referendum del 12 e 13 giugno.

 

 


Foto di Hauke Hille

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