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Italianieuropei 3/2005

il Sommario

l' Editoriale

L'Europa dopo i referendum

Che cosa accadrà della Costituzione europea dopo i no degli elettori francesi e olandesi? E che cosa accadrà dell’Europa? A qualche settimana ormai dai due referendum e dopo i tanti commenti che essi hanno già suscitato, è soprattutto la seconda la domanda su cui vale la pena fermarsi in una rivista come la nostra, che vuole essere di aiuto alla politica. Non solo perché i possibili destini della Costituzione si sono venuti sufficientemente delineando, ma anche perché la scelta fra l’uno o l’altro dipenderà da ciò che l’Europa saprà essere, e quindi dai percorsi che la politica saprà imboccare, nei mesi che abbiamo davanti.

 

gli Articoli

Pensare la Politica

L'ascendente declino della leadership personale

of Andrea Pinto

Due lustri di seconda Repubblica sono forse un tempo sufficiente per tentare un’esegesi e un primo bilancio delle leaderships scaturite dal bipolarismo nostrano, sforzandosi di coglierne le linee evolutive o involutive. Per fare ciò occorre necessariamente compiere un passo indietro e confrontare specularmente la loro genesi e le diverse strategie messe a punto dai suoi principali interpreti per affrontare la crisi sistemica della prima Repubblica. È in quel momento, nelle contraddizioni non risolte e trascinatesi fino ad oggi con alterni esiti, che si annida il male oscuro di un sistema politico e istituzionale pericolosamente avvitato su se stesso nonostante i tentativi, talora encomiabili, tesi a una sua stabilizzazione.

 

Pensare la Politica

Sindacati e welfare state: il sistema Ghent

of Salvo Leonardi

A fronte della crisi – a volte anche molto seria – che ha investito in questi ultimi vent’anni i livelli di sindacalizzazione nel mondo industrializzato, vi è un piccolo blocco di paesi che al contrario ha migliorato ulteriormente i suoi già alti tassi dimembership. Stiamo parlando del Belgio, della Svezia, della Danimarca e della Finlandia. Con qualche lieve oscillazione, la sindacalizzazione di questi quattro paesi ha mantenuto livelli ragguard e voli di crescita, arrivando a conseguire nuovi e sostanziosi incrementi nel corso dell’ultimo ventennio, quando nessun altro modello di organizzazione sindacale è stato risparmiato da una più o meno marcata tendenza al declino. Fra 1980 e il 1998 i sindacati svedesi passano dal 78% di iscritti all’88%; quelli finlandesi dal 69% al 79%, quelli danesi restano intorno al 77%; stazionari anche i belgi, intorno al 54%, che però dal 1998 al 2003 hanno ripreso a crescere, con una maggiorazione di qualche punto percentuale.

 

Pensare la Politica

Democrazia ed elezioni: un rapporto da migliorare

of Gianpaolo Rossini

Mentre le virtù della democrazia varcano, con il convincimento o con la forza, confini fino a qualche tempo fa ritenuti inaccessibili, sorgono nuovi interrogativi nei paesi in cui da più lungo tempo si è consolidata la democrazia rappresentativa. Riguardano i sistemi elettorali e la loro efficacia rappresentativa, nonché il costo dell’accresciuto utilizzo del meccanismo di voto come mezzo per selezionare i rappresentanti della volontà dei cittadini e per interagire con essi. Nel corso degli ultimi due decenni molte democrazie hanno mostrato di soffrire di cicli elettorali che talvolta si sono intersecati con consultazioni «spurie» come i re f e rendum. La spesa pubblica lievita nei periodi precedenti le elezioni, in quanto i governi utilizzano il loro potere discrezionale per incrementare le probabilità di rielezione.

Europa/Europe

«Non? Non! Non...»: il referendum sulla Costituzione in Francia

of Gilles Finchelstein

29 maggio: ore 22.00.

Arrivano i risultati. Deludenti, per chi si è battuto in favore della ratifica della Costituzione. Ma senza sorprese per chi ha seguito da vicino la campagna. La Francia dunque ha detto «no». Nettamente. Chiaramente. Indiscutibilmente. Ma perché? E come? Oggi bisogna cercare di comprendere. Partendo dalla pre-campagna. Per sbrogliare la matassa della campagna, analizzare i risultati, misurarne le prime conseguenze. È quanto si cercherà di fare con questo articolo.

 

Europa/Europe

Una politica estera à la Blair

of John Lloyd

La politica estera britannica, come quella di tutte le altre nazioni, è e sarà sempre soggetta a limitazioni esterne. Ma le limitazioni non sono il destino. Il Regno Unito, uno Stato europeo ricco, di medie dimensioni, si trova a dover fare, come altri nella medesima posizione, una serie di scelte che, in ragione della sua importanza relativa come Stato, influenzeranno in qualche modo le scelte degli altri. Tony Blair, nel corso dei suoi primi due mandati di governo, ha scelto due strategie che molti altri leader europei e non pochi commentatori hanno considerato, e tutt’ora considerano, contraddittorie: ha scelto di rafforzare i legami britannici con l’Unione europea e ha scelto, con l’invasione congiunta dell’Iraq, di essere molto vicino agli Stati Uniti.

 

Europa/Europe

L'Europe après (le) coup?

of Giorgio Ruffolo

Il colpo, un uno-due, in termini pugilisti, è stato durissimo. La bocciatura francese e olandese del progetto di Costituzione può pregiudicare l’intero processo di integrazione europea. Non intendo qui affrontare il problema delle cause e delle responsabilità, ma evocare, brevemente, i problemi che si pongono. Che fare? Un primo problema molto pratico riguarda il processo di ratifica. Continuare o interrompere? Ritengo che non si possa che rispondere positivamente, nel modo previsto dai Trattati in vigore, i quali esigono che tutti gli Stati debbano pronunciarsi. E tuttavia non si possono attendere i tempi lunghi delle ratifiche senza porre subito il problema esistenziale dell’Unione. Il voto francese e quello olandese impongono infatti scelte che non sono mai state fatte, e che è impossibile, oggi, rinviare.

Le Idee / Idee sulla politica estera

Quale politica estera per l'Italia?

of Massimo D'Alema

In questi mesi si è diffusa una forte preoccupazione per le prospettive e il destino dell’Italia: nell’opinione pubblica cresce la percezione di un affievolirsi dello slancio vitale del paese e sembra venir meno la fiducia nel suo futuro e nelle sue possibilità. La crisi italiana non è soltanto di natura economica, ma nasce da ragioni più profonde, da ragioni storiche e politiche di fronte a cui le classi dirigenti si sono mostrate incapaci di delineare una risposta strategica. L’incalzare di fenomeni nuovi come la globalizzazione e la crisi del vecchio Stato, ma soprattutto la fine della guerra fredda, hanno messo in crisi la collocazione geopolitica del nostro paese: un’Italia paese di frontiera tra Est e Ovest, paese nel quale ha vissuto il più grande partito comunista dell’Europa occidentale, terreno privilegiato di confronto e di dialogo per la presenza della Chiesa cattolica e per il peso che essa ha avuto non solo nella formazione degli orientamenti e della coscienza degli italiani ma anche nella definizione del ruolo internazionale dell’Italia.

Le Idee / Idee sulla politica estera

Impegno globale e lotta al terrorismo. Tre proposte concrete per la politica estera italiana

of Filippo Andreatta

Il sistema internazionale sta cambiando profondamente, e viviamo in un’era di grande incertezza. La crescita delle grandi economie asiatiche – Cina e India in testa – sta spostando il baricentro dell’economia e della politica mondiale dall’Atlantico al Pacifico, con un mutamento della scala di quello che – all’indomani della scoperta dell’America – ha visto emergere l’economia atlantica a scapito di quella mediterranea. Sebbene l’allargamento del mercato mondiale che ne consegue sia senz’altro positivo, in quanto escono milioni di persone dalla povertà e aumentano le opportunità per le imprese, nel breve termine la crescita asiatica ha sollevato dubbi sulla competitività delle industrie europee, mentre nel medio termine sorgono preoccupazioni per i futuri equilibri mondiali. Al contrario delle potenze atlantiche, infatti, quelle asiatiche vivono tuttora in una situazione di competizione, nella quale l’eventualità di un conflitto militare non è del tutto remota. Altre regioni sono arrivate sulla scena internazionale con un impatto ancora più preoccupante. In Medio Oriente, il fondamentalismo politico mascherato da odio religioso ha scosso il mondo intero con la spettacolarità dei suoi atti terroristici. In Africa subsahariana continuano invece una serie di conflitti che, sebbene non appaiano altrettanto in televisione, mietono milioni di vittime.

 

Le Idee / Idee sulla politica estera

La difesa europea e la NATO

of Fabrizio Battistelli

Quello della sicurezza è uno dei problemi più seri e delicati che un governo – ogni governo, e quindi anche un futuro governo di centrosinistra in Italia – deve affrontare. La riluttanza a misurarsi con le implicazioni politiche e militari dell’uso della forza nell’ambito internazionale è un atteggiamento psicologicamente comprensibile per il singolo, ma molto meno giustificabile per il decisore politico. È un fatto che nel dopoguerra, vaccinati nei confronti di nazionalismo, colonialismo e militarismo dalle tragiche esperienze dei due conflitti mondiali, in Europa governi e opinione pubblica hanno convenuto di concentrare nello sviluppo economico e nel welfare le risorse nazionali, cercando nell’integrazione economico-politica tra ex nemici e nell’inclusione dei vicini la via per la prevenzione dei conflitti. In questo senso l’Unione europea ha rappresentato e rappresenta un caso di successo, interpretato da molti come un precedente da emulare, mentre da alcuni è visto come un risultato dissonante con i principi del realismo politico.

Le Idee / Idee sulla politica estera

Risorse e obiettivi: alla ricerca di coerenza

of Marta Dassù e Stefano Silvestri

Molti dei punti fermi su cui l’Italia ha basato la propria politica estera, nell’ultimo mezzo secolo, sono alle prese con una difficile transizione: dalle istituzioni multilaterali (Nazioni Unite e NATO) all’Unione europea post-allargamento. La ragione è evidente: il sistema internazionale attraversa, dal 1989 in poi, una lunga e non facile fase di assestamento. In teoria, questo obbliga tutti i paesi, non solo il nostro, a ridefinire obiettivi e strumenti di azione. Nella pratica concreta, l’Italia non è ancora riuscita con successo ad «adattare» la propria politica estera ai cambiamenti internazionali, come risultato di scelte discutibili e della propria debolezza interna (istituzionale, politica, economica). Si direbbe, in qualche modo, che l’Italia soffra di una crisi nella crisi.

 

Le Idee / Idee sulla politica estera

L'Italia: ponte tra UE e Islam?

of Renzo Guolo

La geopolitica definisce inevitabilmente il campo della politica estera di un paese. L’area di proiezione italiana è quella europea e mediterranea. Proprio questa duplice natura consente all’Italia di giocare un particolare ruolo nell’area: quello di possibile «ponte» tra Unione europea e mondo islamico. Non è necessario sottolineare l’importanza strategica di un simile ruolo. Basti ricordare che oltre a vitali risorse energetiche per il paese, quell’area è luogo di origine e transito di consistenti flussi migratori e di tensioni politicoreligiose. La collocazione geopolitica italiana non garantisce, però, alcuna rendita di posizione. Una politica estera si costruisce attorno a precise linee guida. Non è sufficiente appellarsi a continuità peraltro smentite da scelte recenti. Né tantomeno rifarsi genericamente all’Europa. Il contributo italiano a una politica estera europea, o meglio, vista la difficile fase che l’idea di Europa attraversa, alla politica estera di un gruppo chiave di Stati europei che ne condividano gli assi portanti, deve essere definito con maggiore precisione analitica.

Le Idee / Idee sulla politica estera

La Russia di Putin: amore e odio per l'UE

of Silvio Pons

L’allargamento dell’Unione europea ha costituito una risorsa strategica essenziale, ma tende ormai a raggiungere il suo limite, presentando sempre più nettamente e inevitabilmente un aspetto inclusivo e uno esclusivo: mira non più soltanto a muovere lo spazio dell’UE, ma a stabilire un confine. Oggi vediamo che a Est questo confine è giunto a includere lo spazio dell’ex URSS oltre gli Stati baltici e fino all’Ucraina, escludendo la Russia. Nell’architettura dell’UE ciò è pienamente comprensibile. Ma proprio la Russia diviene così un test essenziale per la futura politica estera dell’UE, molto più di quanto le «politiche di prossimità» sembrano prevedere.

 

Le Idee / Idee sulla politica estera

Le nuove priorità della politica estera di USA e UE

of Federico Romero

Lo scorso autunno qualcuno, a sinistra, temeva che un’eventuale e desiderata presidenza di John Kerry ci potesse mettere di fronte al dilemma di una politica estera non poi troppo diversa da quella di Bush. Ora abbiamo invece dovuto paradossalmente constatare che la seconda presidenza Bush si è marcatamente spostata non tanto verso un’inesistente agenda di Kerry, ma certo verso il suo stile e i suoi accenti. Nei discorsi del presidente e del Segretario di Stato Condoleeza Rice la democratizzazione del Medio Oriente non è più un processo da mettere in moto con atti di forza, ma una tendenza da assecondare sostenendone i promotori interni; e la Road map per il negoziato israelo-palestinese torna a ricevere un’attenzione non puramente verbale. Sul piano dottrinario gli accenti si sono spostati verso una visione wilsoniana che incentra la costruzione di un contesto internazionale pacifico e sicuro sulla diffusione della libertà, mentre nella retorica pubblica il richiamo all’urgenza della forza ha lasciato il campo all’utilità della cooperazione e del consenso.

Le Idee / Idee su immigrazione e identità nazionale

Politiche migratorie: bilanci, sfide e proposte

of Redazione

di Marzio Barbagli, Asher Colombo, Ferruccio Pastore, Giuseppe Sciortino e Paolo Segatti

L’immigrazione in Italia ha ormai una storia trentennale, ma questa non impedisce di continuare a vederla come un susseguirsi di sbarchi e invasioni di popolazioni. Una continua emergenza, insomma. Gli immigrati – e le loro famiglie – fanno invece ormai parte in modo stabile del quotidiano degli italiani. A tal punto che alcuni di loro chiaramente coltivano progetti di permanenza stabile tra di noi. Il che ci costringe, tra l’altro, a interrogarci sul significato che oggi ha e domani avrà la nostra identità nazionale. Di questo – e dei caratteri che ha la presenza stabile di immigrati nel vita del paese – c’è spesso solo una fuggevole traccia nel discorso pubblico e nei dibattiti politici. Obiettivo di questo articolo è quello di fissare le caratteristiche più salienti assunte dall’immigrazione, indicare alcuni dei problemi emergenti, suggerire alcune sintetiche valutazioni sulle politiche, nazionali ed europee, sin qui adottate, e delineare infine alcuni dei modi in cui l’opinione pubblica italiana sta facendo i conti con la presenza stabile di immigrati già insediati.

Versus

Benedetto XVI e le sfide del XXI secolo

of Alceste Santini

I primi atti compiuti da Benedetto XVI, affermando che il Concilio Vaticano II deve essere la «bussola» con cui «orientarsi nel vasto oceano del terzo millennio» e che sia necessario rilanciare «con gesti concreti» il dialogo ecumenico e interreligioso per contribuire alla costruzione di una nuova Europa e della pace internazionale, hanno rivelato la sua volontà di proseguire, sia pure con un uno stile più sobrio ed essenziale, sulla via tracciata da Giovanni Paolo II in quasi ventisette anni di intenso pontificato per le vie del mondo. Con la stessa scelta del nome, con la quale – interrompendo una tradizione – si è voluto riallacciare al quasi dimenticato Benedetto XV (il Papa che definì la guerra una «inutile strage» con una nota del 1 agosto 1917 ai capi dei popoli belligeranti e che aprì una Chiesa attestata sull’antimodernismo di Pio X all’Europa, come alla Russia e alla Cina) ha inteso indicare che la Sede apostolica deve continuare a svolgere, con rinnovate iniziative, una incisiva politica mondiale per favorire la giustizia, la pace e lo sviluppo di continenti tormentati dalle povertà e dalle disuguaglianze come l’Africa, l’America Latina e l’Asia.

 

Versus

L'agenda di Papa Ratzinger: «italianità», politica estera e protagonismo cristiano

of Gennaro Acquaviva

Papa Benedetto non è solo il primo tedesco, il primo Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, il primo professore di ruolo di università che, dopo molti secoli, sale al Soglio di Pietro. È anche uno dei pochissimi teologi di professione che arriva a guidare la Chiesa cattolica ancora in piena attività e circondato da stima accademica e da autorevolezza culturale ben note e apprezzate. Ancora: egli si appresta a muovere i primi passi nel ruolo di Pastore della Chiesa universale in una realtà mediatica e di opinione che parla tuttora il linguaggio del Papa morto, che ha ancora negli occhi le immagini suggestive che hanno attraversato l’intero pianeta dall’agonia all’elezione, in un indimenticabile mese di aprile. Ce n’è a sufficienza per consigliare prudenza a chi intende ipotizzare linee di comportamento, pastorali e anche geopolitiche, nella politica della Santa Sede. Per muoverci quindi su di un terreno meno insicuro conviene forse partire dalla stessa vicenda che ha portato all’elezione di Papa Ratzinger, dai giorni del funerale a quelli (appena due) che sono bastati per farlo eleggere.

 

La Riforma dell'ONU

Una proposta di riforma delle Nazioni Unite

of Cesare Pinelli

Il 12 novembre 2003 il Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan incaricava una commissione composta di quindici membri, l’High-Level Panel on Threats, Challenges and Change, di formulare una proposta di riforma delle Nazioni Unite. Il 1° dicembre 2004 il Panel presentava al Segretario Generale un rapporto intitolato «A more secure world: our shared responsibility», sulla cui base è stato avviato il dibattito in corso al Palazzo di Vetro. L’ultimo tentativo di riforma delle Nazioni Unite risale al 1996 e si deve all’allora Segretario generale Boutros-Ghali. In «An Agenda for Democratization», dopo aver affermato che pace, sviluppo e democrazia sono sempre collegate, Boutros Boutros-Ghali assegnava alle Nazioni Unite il compito di far avanzare la democrazia sul piano internazionale, denunciando le insufficienze dell’organizzazione e la scarsa volontà politica degli Stati membri di procedere in tale direzione. Egli proponeva in sostanza di fare delle Nazioni Unite un forte attore sulla scena internazionale, sufficientemente autonomo dagli Stati più potenti e all’altezza delle sfide della globalizzazione. 

La Riforma dell'ONU

Le Nazioni Unite: un «machin»?

of Carlo Pinzani

Che la guerra civile americana del 1861-1864 sia stata la prima guerra moderna della storia è un dato sufficientemente acquisito dalla storiografia. Lo sviluppo della produzione industriale negli Stati Uniti, la diffusione delle ferrovie e i progressi della navigazione a vapore e, soprattutto, la capacità di mobilitare intere società erano tutti elementi atti a caratterizzare in senso moderno quel conflitto. È pertanto comprensibile che gli sforzi compiuti nel Novecento per eliminare o ridurre l’impatto della guerra abbiano un collegamento con la guerra civile americana. Il collegamento può utilmente essere ricondotto all’opera politica di Thomas Woodrow Wilson, presidente degli Stati Uniti dal 1912 al 1920. La guerra civile, vissuta in una cittadina della Georgia, aveva segnato l’infanzia di Wilson, rendendolo incline al pacifismo. Se alle inclinazioni pacifiste si aggiunge la grande fiducia nella democrazia e nella sua capacità d’espansione è facile comprendere il suo ruolo nel promuovere un sistema di relazioni internazionali fondato sulla sicurezza collettiva e sul disarmo.

 

La Riforma dell'ONU

La responsabilità di protezione dell'ONU

of 

«Riaffermare la fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza di diritti di uomini e donne e delle nazioni piccole e grandi». A qualcuno forse queste parole non suonano familiari; ma figurano nel preambolo della Carta delle Nazioni Unite. Si tratta di un testo che non si limita a formulare una missione, ma è legge internazionale, un trattato internazionale, autenticamente inteso a essere universalmente applicabile. Ma ad un’osservazione più attenta emerge una contraddizione in queste parole. La Carta specifica infatti i diritti dell’individuo, citando però al tempo stesso anche quelli delle nazioni.

Il caso

Da Sigonella a Baghdad passando per il Cermis

of Domenico Cacopardo

Il succedersi dei drammatici eventi di quell’ottobre 1985 ebbe un ritmo incalzante: sembrò d’essere in una spy story (sostenne il «Corriere della Sera» del 13 ottobre che solo Ian Fleming avrebbe potuto immaginare una vicenda così straordinaria), per la molteplicità degli scenari evocati e per le forze messe in campo. Dopo il sequestro dell’Achille Lauro, nel corso del quale avvenne il barbaro assassinio nell’americano Leon Kinghofer, un paraplegico gettato in mare con la sua carrozzella, la resa dei fedain e la liberazione degli ostaggi, gli avvenimenti accelerano il loro corso. I quattro terroristi ottennero un salvacondotto per lasciare l’Egitto. Il volo sul quale, insieme al dirigente OLP Abul Abbas, furono imbarcati per dirigersi verso la Tunisia (sede dell’Autorità palestinese), venne dirottato da aerei USA (non è difficile immaginare un cooperazione «coperta» dei servizi egiziani) e costretto ad atterrare a Sigonella, una base NATO di importanza vitale nello scacchiere mediterraneo in tempi di guerra fredda, con la flotta sovietica dispiegata nel teatro, segno di un ardito superamento del vincolo dei Dardanelli.

 

Archivi del Riformismo

Che cos'è la Costituzione. Riflessioni sulla «pedagogia costituente» di Arturo Carlo Jemolo

of Giuseppe Abbracciavento

Nel 1946, quando Arturo Carlo Jemolo scrive l’opuscolo «Che cos’è la Costituzione», i lavori dell’Assemblea costituente non sono ancora entrati nel vivo. Il ministero per la Costituente, creato dal governo Parri, aveva appena iniziato a funzionare; esso era nato, secondo l’espressa indicazione del decreto istitutivo, allo scopo di «predisporre gli elementi per lo studio della nuova Costituzione». Vent’anni di dittatura fascista avevano largamente disabituato il popolo italiano all’elaborazione di un efficace spirito pubblico e «l’indifferenza del paese, (...) la mancanza di quei contatti e di quegli scambi di motivi e di ispirazioni fra il popolo e l’Assemblea» – sui cui insisterà in pagine amare un grande protagonista dei lavori costituenti come Costantino Mortati – rendono la testimonianza più evidente del clima di generale difficoltà in cui si svolsero i lavori dell’Assemblea. In tali circostanze, anche i partiti, ad eccezione forse dei repubblicani e degli azionisti, si guardarono bene dal predisporre schemi o progetti compiuti che potessero in partenza orientare il dibattito costituzionale, preferendo concentrarsi sulle parole d’ordine della campagna elettorale.