L’inadeguatezza del governo Meloni in tema di migranti

Written by Laura Boldrini Monday, 18 December 2023 12:46 Print
L’inadeguatezza del governo Meloni in tema di migranti ©iStockphoto/cienpies con elaborazione grafica di Emanuele Ragnisco

La politica del governo Meloni sul tema dell’immigrazione si è rivelata del tutto fallimentare sia se pensiamo alle ciniche promesse fatte in campagna elettorale, sia dal punto di vista della gestione del fenomeno. A questo tema il governo ha dedicato ben quattro decreti e una dichiarazione di stato di emergenza.

Di tutti questi provvedimenti, il quarto decreto è, con ogni probabilità, il peggiore di tutti. È il peggiore perché si accanisce contro le e i minori non accompagnati, cioè i soggetti più fragili. Parlano di “falsi minori” per sottrarre ad adolescenti le tutele previste dalle convenzioni internazionali, dalle direttive UE, ma anche dalle nostre leggi. Mi riferisco, nello specifico, alla 47/2007, la legge Zampa, dal nome della sua promotrice, il cui obiettivo primario è quello di mettere a sistema l’accoglienza per i minori stranieri non accompagnati, partendo dall’accertamento dell’età con un metodo multidisciplinare, dalla possibilità di inserire i minori in famiglie tramite l’affido, fino all’individuazione dei tutori e alla possibilità di seguire un percorso di formazione e integrazione che estende il permesso di soggiorno fino ai 21 anni.

Il quarto decreto immigrazione del governo smantella tutto questo fino a prevedere che i minori non accompagnati che abbiano compiuto 16 anni, in mancanza di posti nelle strutture a loro destinate, possono essere ospitati in quelle per gli adulti. In buona sostanza, si decide per decreto che per i migranti la maggiore età inizia a 16 anni, creando minori di serie A (quelli nati in Italia) e minori di serie B (quelli che, invece, scappano dai loro paesi), in sfregio al superiore interesse del minore. Come ha spiegato in Parlamento la Garante per l’infanzia e l’adolescenza, Carla Garlatti, «è importante che i minori siano tenuti separati dagli adulti nell’accoglienza». È una considerazione basata sull’evidenza, ma soprattutto sul principio di umanità, oltre che sulle direttive UE (la 33/2013, nello specifico). E su questa base, perfino il Servizio studi della Camera ha manifestato serie perplessità sul testo del governo. Una ragazza o un ragazzo che arrivano da contesti socioeconomici instabili e degradati o da zone di conflitto, e approdano sul territorio italiano spesso passando dalla terribile esperienza della traversata del deserto, dei campi di detenzione libici dove violenza e stupri sono all’ordine del giorno, o dalla Tunisia dove, sotto il regime dell’autocrate Kais Saied, i migranti subsahariani sono bersaglio di aggressioni e razzismo, vivono una condizione di indubbia fragilità. Arrivare in Italia ed essere inseriti in strutture per adulti può significare diventare facile bersaglio e probabili vittime di abusi. Tutto ciò, purtroppo, avviene già. Ma va evitato a tutti i costi, non può certo essere normalizzato.

Su invito del Tavolo asilo e immigrazione, composto da circa 50 organizzazioni della società civile, lo scorso 9 ottobre ho visitato le strutture per migranti tra Pozzallo e Modica, in provincia di Ragusa. La più grande è l’hotspot situato nella zona del porto di Pozzallo. Lì vige una situazione di grave sovraffollamento e di promiscuità in cui uomini e donne condividono gli stessi spazi senza differenziazione e senza alcuna privacy. Ed è a Pozzallo che ho incontrato due ragazze somale: una di loro mi ha mostrato i segni delle torture subite in Libia sparsi in tutto il corpo. Ha 17 anni e ne aveva 13 quando è partita dalla Somalia dopo l’uccisione di sua madre: una storia costellata di violenze e soprusi. Che una ragazza con questa esperienza addosso rimanga in un centro per adulti, senza assistenza specifica, è una cosa inaccettabile e che non può, in alcun modo, diventare legge dello Stato. Bisognerebbe curarla, darle un sostegno psicologico, accompagnarla in un percorso di guarigione. Non lasciarla rannicchiata su un materasso sudicio buttato a terra.

Subito dopo il naufragio di Cutro del febbraio 2023, in cui sono morte circa 100 persone, il governo ha dichiarato lo stato d’emergenza. Ma questo non è servito né a gestire in maniera minimamente accettabile gli arrivi di migranti che abbiamo visto durante l’estate a Lampedusa, con le note conseguenze anche sulla popolazione dell’isola, né ad aprire ulteriori strutture per i minori non accompagnati. Un immobilismo che la destra pensa di risolvere stabilendo per decreto che a 16 anni si può essere trattati come gli adulti e quindi alloggiati nelle stesse strutture.

Ma non è tutto. Il cosiddetto “decreto Cutro”, in questo caso contro i “falsi richiedenti asilo” è un altro esempio della drammatica inadeguatezza di questo governo in tema di migranti, a partire dalla previsione della procedura accelerata per i richiedenti asilo che arrivano da paesi classificati come “sicuri” e dal trattenimento in strutture apposite. Anche in questo caso, secondo diversi giuristi, siamo in presenza della violazione della direttiva europea 33/2013.

Arrivare da un paese sicuro non rende di per sé una persona meno titolata a chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato rispetto a chi arriva da un paese considerato non sicuro. Ogni caso va valutato singolarmente perché le ragioni per cui si può essere perseguitati e a rischio sono tante e non necessariamente legate alla presunta sicurezza di un paese.

A riaffermare questo principio è stata per prima la giudice Iolanda Apostolico del Tribunale di Catania. A lei si deve il primo provvedimento con cui sono stati liberati quattro cittadini tunisini richiedenti asilo trattenuti nella prima struttura realizzata in conseguenza del “decreto Cutro”, ancora una volta a Pozzallo.

Ne è nata una feroce campagna mediatica contro la giudice, originata da un video girato cinque anni prima da un autore ignoto e pubblicato dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, non nuovo alla promozione di gogne social, e alimentata da altri esponenti di destra e dai quotidiani vicini alla maggioranza. La vita privata di Apostolico è stata passata al setaccio, i suoi profili social scansionati alla ricerca disperata di qualsiasi dettaglio potesse minare la credibilità della giudice colpevole di avere messo in discussione un decreto del governo. Tutto perché, quando Salvini da ministro dell’Interno si accanì contro una manciata di migranti soccorsi dalla nave Diciotti, tenendoli per giorni e giorni al porto di Catania senza permettere loro di scendere, Apostolico partecipò a un’iniziativa pacifica che si tenne sul molo.

Ricordo bene quella manifestazione, nell’agosto 2018. C’erano associazioni laiche e cattoliche, sindacati, scout, preti, professori, avvocati e gente comune.

Ricordo che salutai Gianfranco Miccichè che era salito sulla nave poco prima di me. Anche Maria Elena Boschi andò a bordo, così come Riccardo Magi e altri parlamentari. Lo sdegno era generale e si sentiva la necessità di esprimerlo. Strumentalizzare la presenza in quel contesto della giudice Apostolico è stato davvero deprecabile. Un metodo intimidatorio che va condannato con forza.

Anche altri giudici hanno firmato provvedimenti che mettono in discussione il “decreto Cutro”: è accaduto a Firenze, a Torino, a Potenza e di nuovo a Catania sia per mano della stessa Apostolico sia di un altro suo collega. I giudici hanno contestato il trattenimento dei richiedenti asilo o la classificazione della Tunisia come paese sicuro. Un altro aspetto discutibile delle politiche del governo Meloni e particolarmente significativo dell’accanimento della destra contro i migranti è la disposizione, prevista dal decreto ministeriale del 21 settembre scorso, secondo cui un richiedente asilo che arriva da un paese cosiddetto sicuro, per evitare il trattenimento, dovrebbe versare 4.938 euro. Misura, sostiene il governo, imposta dall’UE. Una bugia per giustificare un’idea becera che ha il solo scopo di privare i richiedenti asilo della libertà di movimento, considerata l’enorme difficoltà, per loro, di possedere una tale somma. La garanzia finanziaria, infatti, è solo una delle misure alternative al trattenimento previste dalla direttiva europea (ancora la 33/2013) che lascia agli Stati la possibilità di scegliere tra questa, senza specificare alcuna cifra, l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità o di risiedere in un luogo assegnato. È la stessa direttiva a specificare, infine, che il trattenimento dei richiedenti asilo deve essere l’ultima ratio, non certo la via preferenziale, come vuole il governo.

Che la Tunisia non sia un paese sicuro mi consta anche personalmente.

Insieme al collega Peppe Provenzano, sono stata lì in missione a metà settembre. Abbiamo trovato un paese che soffre, molto impaurito e che non trova la via d’uscita dalla crisi che sta vivendo. Una forte crisi economica con un impatto sociale pesante, che nasce da una crisi politica. Il presidente Kais Saied ha interrotto in modo drastico il processo democratico, accentrando su di sé tutti i poteri e limitando le libertà, politiche e civili. Da allora, chiunque metta in discussione il suo potere rischia di essere accusato di complotto e di diffamazione, di finire in carcere o comunque sotto processo. Il 90% dei giovani vuole andare via, perché non riesce a vedere un futuro. Un discorso di Saied del febbraio scorso contro i migranti subsahariani ritenuti responsabili perfino di voler cambiare, con la loro presenza, la composizione demografica della Tunisia, ha incendiato gli animi di molti e i migranti africani sono diventati capro espiatorio di una difficile situazione, vittime di bastonate per strada, addirittura cacciati dalle abitazioni dove vivevano. Queste persone non hanno altra scelta: non possono tornare a casa, perché le famiglie hanno sacrificato tutto per farle partire sperando poi di ricevere un aiuto economico, e non possono restare in Tunisia, dove subiscono discriminazioni e abusi. L’unica alternativa è tentare di attraversare il mare.

La Commissione europea, su pressione del governo Meloni, ha firmato un memorandum con Saied che è di fatto una cambiale in bianco perché non pone alcuna condizione sul ripristino della democrazia, del rispetto dei diritti civili e umani e delle libertà. La Tunisia va aiutata, certo. Ma l’UE dovrebbe stanziare risorse negoziando con Saied alcune condizioni essenziali: il rilascio delle prigioniere e dei prigionieri politici, il ripristino dei diritti fondamentali, della divisione dei poteri e della libertà di espressione. Siglare memorandum senza garanzie di questo tipo è fallimentare e non ferma le partenze. Eventualmente le sposta. Se è vero, infatti, che dalla Tunisia arrivano sempre meno persone, sono invece ricominciati gli sbarchi di migranti dalla Libia.

Nel 2023 i flussi migratori sono raddoppiati: un clamoroso fallimento personale per chi, in campagna elettorale, aveva garantito la fine degli sbarchi promettendo misure agghiaccianti come il blocco navale e la chiusura dei porti. Ma la realtà è un’altra storia. È sotto gli occhi di tutti l’enorme contraddizione di un governo che, quasi sottovoce, emana un decreto flussi per l’ingresso di 450.000 migranti in tre anni nel tentativo di soddisfare le esigenze del mondo della produzione che altrimenti rischierebbe di fermarsi, sapendo che, di fatto, si tratta di una mini-sanatoria per coloro che in Italia ci sono già. Allora perché non regolarizzare queste persone, senza sotterfugi e senza chiudere gli occhi davanti a tutti coloro che lavorano continuativamente nel nostro paese, ma sono costretti a farlo in nero perché sono irregolari? Le migrazioni sono un fenomeno strutturale insito nella storia dell’umanità, in alcuni momenti favorite da guerre, crisi economiche o, come sta accadendo in questi anni, anche dal cambiamento climatico. Non si possono fermare: vanno, invece, governate con misure realistiche e in accordo con gli altri paesi dell’UE. Cosa da cui dissentono i principali alleati e amici di Meloni, come il presidente ungherese Orbán. Serve, infatti, un piano serio di redistribuzione tra tutti gli Stati membri dell’UE che non sia su base volontaria, perché non funziona. Ed è su questo che esplode il conflitto di interessi di Giorgia Meloni che, da una parte guida un governo che dovrebbe fare gli interessi dell’Italia e dall’altra è a capo del partito europeo Conservatori e Riformisti i cui membri rifiutano la ridistribuzione obbligatoria. Meloni, quindi, per uscire dall’isolamento europeo chiede aiuto all’Albania, cioè a un paese fuori dall’UE ma che vorrebbe farne parte, per la realizzazione di due centri di detenzione sul suolo albanese, ma sotto la giurisdizione italiana. L’ennesima mossa propagandistica sulla pelle dei migranti che non contiene nulla di minimamente sensato.

Molto sensato, invece, sarebbe riformare il regolamento di Dublino, ripristinare l’accoglienza diffusa, avviare una missione europea di soccorso in mare sull’esempio di Mare Nostrum, superare la Bossi-Fini e aprire canali legali per l’ingresso di migranti in tutti i paesi europei. Si deve investire nell’integrazione per consentire a chi si trasferisce in Italia di poterlo fare al meglio del proprio potenziale. Le misure di contrasto al traffico di esseri umani devono essere mirate a colpire i trafficanti, non chi spesso si trova a guidare un barchino come prezzo da pagare per la traversata perché non può farlo diversamente. I rimpatri vanno fatti, quando è necessario, ma per procedere bisogna stringere accordi con i paesi di origine, non con quelli di partenza. E, soprattutto, non si possono siglare memorandum con autocrati o regimi totalitari senza porre condizioni chiare sul ripristino della democrazia, dei diritti e delle libertà civili e politiche.

In questo contesto è senza dubbio fondamentale anche rafforzare la cooperazione internazionale ponendo come condizione il rispetto dei diritti umani e dei processi democratici. E invece i fondi destinati alla cooperazione vengono ridotti e, da oltre un anno, sentiamo parlare

di un fantomatico “piano Mattei” che Meloni sbandiera come una sorta di panacea ma che, al momento, rimane uno slogan, una scatola vuota. Più volte abbiamo chiesto cosa prevedesse senza ricevere una risposta esaustiva, un documento, un progetto, un piano finanziario: niente di niente.

In conclusione, dunque, per gestire il fenomeno migratorio la direzione giusta da seguire è esattamente opposta a quella intrapresa dal governo Meloni.