Marco Follini

Marco Follini

politico e giornalista.

Rimettere al centro le idee: noi, loro e l’altro

La storia italiana procede qualche volta in modi bizzarri, lo abbiamo imparato. Ma due cose, ormai, dovrebbero essere chiare. La prima è che la crisi di un nuovo ciclo politico, quando infine si produce, non riporta mai le lancette dell’orologio tanto indietro da rimettere in auge il ciclo politico più antico. E la seconda è che risulta tuttavia assai pericoloso ignorare il principio di identità e disegnare la sagoma delle formazioni politiche a prescindere dalle storie e dalle culture che sono alle loro spalle.

Una classe dirigente finita

Nessuno di noi può ragionevolmente dire: l’avevo previsto. Ma quello scricchiolio che annunciava un profondo rivolgimento politico ed elettorale si sentiva già da un po’. E soprattutto se ne sentiva l’accentuarsi nelle ultime settimane. Non era tanto il frastuono che annunciava l’arrivo delle armate della rabbia e della protesta, con le loro bandiere al vento. Era semmai il suono sinistro del cedimento di quasi tutte le giunture del palazzo, con la sua architettura apparentemente imponente e con la sua fragilità strutturale.

Sotto questo profilo, il risultato elettorale non lascia margini al dubbio. È una sentenza di condanna della classe dirigente che s’è trovata alla guida in tutti questi anni. Una condanna particolarmente severa verso Renzi e il Partito Democratico, ma quasi altrettanto verso Berlusconi e la sua illusione di eternità. Il campo “centrista”, quello su cui si poteva scommettere in previsione di uno scenario di coalizione alla tedesca, ne viene sconvolto. Cosa che può indurre a una mediocre soddisfazione, dati i molti demeriti di questa compagnia di giro. Ma che forse dovrebbe indurci a una riflessione più profonda e accorata sul percorso che abbiamo intrapreso, tutti noi. Compresi quelli più critici verso la direzione politica che si è presa.