Fabrizio Battistelli

Fabrizio Battistelli

insegna Sociologia all’Università di Roma «La Sapienza».

Il movimento per la pace non è un partito

Terminata la guerra fredda non è arrivata la pace con i suoi dividendi economici e politici, troppo in fretta annunciati dai politologi liberali, che addirittura avevano salutato la caduta del muro di Berlino come segnale della “fine della storia”. Piuttosto, nel colossale cortocircuito della globalizzazione, che ha messo bruscamente a contatto mondi lontanissimi tra loro, è subentrato il caos. Nel mondo bipolare le due superpotenze si sfidavano, ma in qualche modo governavano anche, con la persuasione o con la forza, le reciproche aree di influenza. Soprattutto, pur nemici dichiarati nella competizione per il primato strategico, in tema di pace e di guerra Stati Uniti e Unione Sovietica condividevano alcuni criteri comuni. 

L'Italia e la sua sicurezza: gli obiettivi e le risorse

Una seria analisi dei problemi della sicurezza oggi in Italia deve partire da due dati di fatto: 1) rispetto ad appena cinque anni fa l’ambiente di riferimento è radicalmente cambiato; 2) ad affrontare questi cambiamenti è chiamato un sistema pubblico che sta attraversando una fase di depressione tra le più insidiose della storia repubblicana. L’attacco del terrorismo islamista portato al cuore dell’Occidente – a New York e Washington, a Madrid, a Londra – impone una drastica revisione della tradizionale separazione tra sicurezza esterna e sicurezza interna. Soltanto una visione ideologica come quella neocons può sottovalutare o fornire un’interpretazione di comodo delle cause internazionali che scatenarono l’aggressione kamikaze dell’11 settembre. Tutti invece, anche i neocons, ammettono le gravi conseguenze che una simile aggressione determina all’interno delle società colpite: sulla qualità della vita, sulla libertà dei cittadini, sulla sicurezza vissuta e sulla sicurezza percepita dalla popolazione.

La difesa europea e la NATO

Quello della sicurezza è uno dei problemi più seri e delicati che un governo – ogni governo, e quindi anche un futuro governo di centrosinistra in Italia – deve affrontare. La riluttanza a misurarsi con le implicazioni politiche e militari dell’uso della forza nell’ambito internazionale è un atteggiamento psicologicamente comprensibile per il singolo, ma molto meno giustificabile per il decisore politico. È un fatto che nel dopoguerra, vaccinati nei confronti di nazionalismo, colonialismo e militarismo dalle tragiche esperienze dei due conflitti mondiali, in Europa governi e opinione pubblica hanno convenuto di concentrare nello sviluppo economico e nel welfare le risorse nazionali, cercando nell’integrazione economico-politica tra ex nemici e nell’inclusione dei vicini la via per la prevenzione dei conflitti. In questo senso l’Unione europea ha rappresentato e rappresenta un caso di successo, interpretato da molti come un precedente da emulare, mentre da alcuni è visto come un risultato dissonante con i principi del realismo politico.

Il martello e il nemico. Il nuovo profilo delle minacce e i rischi delle decisioni politiche

Due cause dell’insicurezza: le minacce e i rischi Ogni anno che passa, la terra è un luogo meno sicuro, stretta com’è tra deterioramento ambientale e aggressività nei rapporti politici internazionali. Il microscopico, ma per noi significativo, frammento di universo in cui ci è capitato di partecipare al fenomeno della vita è assediato da rischi e da minacce progressivamente più incombenti, sia sul piano ecologico che su quello politico-strategico. Da un lato, la piena consapevolezza di questo processo è ridotta, attestata in nicchie di riflessione scientifica inevitabilmente elitarie, scarsamente presente nel discorso pubblico istruito dai mass media e tendenzialmente ostacolata dal potere.