«Con la cultura non si mangia» pare abbia affermato il ministro Tremonti a margine della discussione sulla finanziaria 2011, per giustificare i tagli apportati alla voce di spesa per il settore e negando così non solo gli indiscutibili benefici immateriali che la diffusione della cultura porta con sé, ma soprattutto le sue importanti ricadute dal punto di vista economico.
Eppure, nonostante i tagli e le scelte poco lungimiranti fatte dal governo di centrodestra per il settore, la cultura e l’industria culturale italiane non solo sopravvivono, ma dimostrano grande vitalità, creatività e capacità di confrontarsi con le sfide epocali della rivoluzione tecnologica e digitale, della globalizzazione dei consumi culturali di massa, della crescente domanda di cultura di giovani e meno giovani. E lo fanno, appunto, senza il sostegno di una vera e compiuta politica di sviluppo culturale del paese.
«Con la cultura non si mangia» pare abbia affermato il ministro Tremonti un paio di mesi fa, a margine della discussione sulla finanziaria 2011, per giustificare gli ulteriori tagli apportati alla voce di spesa per il settore. I dati raccolti in un recente studio della European House Ambrosetti rivelano invece che, oltre agli indiscutibili benefici immateriali che la diffusione della cultura porta con sé, essa ha anche importanti ricadute dal punto di vista economico.
Lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ha avuto effetti anche dal punto di vista sociologico, grazie alla creazione di un modo di comunicare e di un concetto di informazione totalmente inediti. Il risultato è stata la nascita di una nuova cultura di massa dai contorni ancora indefiniti ma ricca di interessanti spunti di analisi e riflessione.
I cambiamenti che il mercato editoriale sta attraversando con il passaggio al digitale della distribuzione e, in alcuni casi, dei supporti stessi per la lettura, rappresentano una sfida ma anche un’opportunità. Gino Roncaglia nel numero 2/2011 di Italianieuropei.
Riccardo Tozzi e Francesca Medolago Albani analizzano lo stato dell'industria culturale italiana in un articolo del numero 2/2011 di Italianieuropei.
La crisi economica e finanziaria riconduce la Germania ai suoi secolari dilemmi nel cuore dell’Europa: l’egemonia, l’equilibrio, la via propria (Sonderweg). La ritrovata potenza tedesca nasconde nuove fragilità, la fuga dalla politica, la frammentazione dei partiti e la disomogeneità della società civile. Ma è in Germania che si gioca ancora una volta la partita decisiva sul futuro del processo di integrazione europea.
Troppo spesso il recente successo economico della Germania viene attribuito al mondo imprenditoriale e agli sforzi di molte società per tornare competitive. Dietro alla ripresa di questi mesi si nasconde anche la mano della politica economica, mai abbandonata neppure negli anni del liberalismo alla Reagan o alla Thatcher. Pregi e rischi della Ordnungspolitik. Beda Romano per la rubrica "Il futuro della Germania in Europa", in cui compaiono anche i contributi di Giuliano Amato, Silvio Fagiolo, Ulrike Guérot, Ronny Mazzocchi.
Quello dell’estremismo di destra è un fenomeno variegato e complesso, ancora oggi in continua evoluzione. Si può però tracciare una panoramica delle principali realtà politiche, subculturali e civili che hanno rappresentato e ancora oggi incarnano gli ideali di destra della popolazione tedesca: dall’estremismo dichiarato a quello latente, dallo sfruttamento del malessere del dopo unificazione alla deriva xenofoba, fino alle connotazioni anti-islamistiche delle formazioni più recenti.
Il termine femminismo è stato rimosso dal vocabolario pubblico italiano ed è perciò spesso del tutto ignoto alle giovani generazioni e liquidato frettolosamente dalle meno giovani.