Il nuovo contesto globale impone cambiamenti profondi all’Europa e alla sua economia

Written by Paolo Guerrieri Monday, 26 February 2024 12:05 Print
Il nuovo contesto globale impone cambiamenti profondi all’Europa e alla sua economia ©iStockphoto/saemilee


Una fondamentale sfida per l’Unione europea nei prossimi anni sarà ridefinire la propria presenza nel nuovo contesto economico globale. Che è profondamente mutato e attraversa una fase del tutto nuova. Guardando alle tendenze in corso, va ricordata innanzitutto la riconfigurazione della globalizzazione, in termini di un rallentamento e di una mutata composizione del commercio mondiale, con più servizi e relativamente meno prodotti industriali scambiati. A conferma di una interdipendenza che per ora non appare essersi fermata ma si sta ridisegnando. Va poi sottolineata l’accelerazione della fase di transizione energetica e ambientale, con una accesa competizione tra i maggiori paesi e aree marcata da significativi interventi degli Stati e un uso diffuso delle politiche industriali.
Nelle relazioni tra paesi domina l’aspro conflitto tra Stati Uniti e Cina, soprattutto in campo strategico-militare e tecnologico. Lo scontro si è esteso a una contrapposizione più ampia tra i paesi del G7 e la Cina, sempre più incentrata sul controllo delle nuove tecnologie, pulite e digitali. Ne è conseguita una prima embrionale frammentazione del contesto economico mondiale alimentata anche dal ruolo rilevante assunto da un gruppo di economie emergenti dell’Est e del Sud del mondo (il cosiddetto Global South), tra cui India, Brasile, Arabia Saudita e Turchia. È un insieme di mutamenti che segna il passaggio dal vecchio ordine economico internazionale, basato su regole e istituzioni multilaterali, che ha dominato larga parte dei decenni del secondo dopoguerra, verso una sorta di disordine globale per lo più imperniato sui rapporti di forza tra i maggiori paesi, con i fattori geopolitici che sono tornati a condizionare direttamente e con forza crescente le attività e le scelte economiche (weaponized interdependence). Nel nuovo contesto, economia e sicurezza appaiono sempre più intrecciate e questo mix è il prodotto di un cambiamento nella distribuzione del potere a livello mondiale e, quindi, delle forze che determinano le relazioni tra Stati, siano esse cooperative o conflittuali.

UNO SCENARIO DI FRAMMENTAZIONE DELL’ECONOMIA MONDIALE
Pur tenuto conto dell’elevata incertezza che caratterizza queste dinamiche più recenti – basti pensare ai drammatici conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente –, si può tentare di disegnare uno scenario economico globale per il futuro. Ma non appare quello che va più di moda ed è spesso evocato, ovvero una economia mondiale dominata dallo scontro tra Stati Uniti e Cina e divisa in due blocchi all’insegna del decoupling. Un nuovo assetto, quest’ultimo, che secondo tutte le simulazioni effettuate dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale generebbe costi economici immensi per tutti i paesi, pur con le dovute differenziazioni. Una sorta di “deglobalizzazione infelice”. Se teniamo conto, tuttavia, del ruolo sempre più rilevante assunto da un folto gruppo di paesi emergenti del Sud globale, che si rifiutano di schierarsi con un blocco o con l’altro e perseguono una specie di “multi-allineamento”, si può ipotizzare un futuro assetto di rapporti tra paesi più complesso e articolato.
Stati Uniti e Cina continueranno a mantenere un peso determinante, ma un ruolo importante verrà svolto anche da un certo numero di queste potenze regionali, dall’India alla Turchia, dall’Arabia Saudita al Sud Africa e al Brasile. Il decoupling verrebbe contenuto nell’ambito delle relazioni militari e di sicurezza e in quello delle tecnologie più avanzate, in cui a prevalere sarebbero logiche di gioco a somma zero, per cui il guadagno di un paese finisce per corrispondere alla perdita dell’altro. Nelle relazioni economiche, viceversa, quali il commercio internazionale e le catene globali del valore, che rappresentano comunemente giochi d’interazione a somma positiva, il rapporto tra economia e sicurezza, pur predominante, continuerebbe a favorire condizioni di relativa competizione tra paesi. Si continuerà così a commerciare e investire a livello internazionale, come conferma l’Asia con i suoi tre miliardi e mezzo di abitanti, ma in direzioni diverse e in parte dettate dai fattori geopolitici. La spinta prevalente sarebbe così verso una crescente frammentazione dell’economia mondiale. Con due rischi nel futuro: l’uno è rappresentato da conflittualità tra paesi sempre meno governabili e associate ad un aumento esponenziale dei costi economici. L’altro consiste nel compromettere seriamente la fornitura di beni pubblici globali, quali in primo luogo il risanamento ambientale del pianeta, che richiede necessariamente accordi di cooperazione a livello multilaterale.

ECONOMIA E SICUREZZA: LA NUOVA SFIDA PER L’EUROPA

Se queste sono le tendenze prevalenti a livello globale quale potrebbe essere il ruolo dell’Europa e della sua economia? Naturalmente non è facile rispondere, viste le tante variabili in gioco. Si può comunque tentare. A partire dalla constatazione che una frattura del mondo in due blocchi e/o una ingovernabile frammentazione dell’economia mondiale penalizzerebbero severamente le economie dei paesi europei. L’Europa è stata tra i grandi protagonisti e beneficiari del passato ordine economico internazionale. Per continuare a crescere l’UE ha bisogno di un’economia mondiale che si mantenga aperta, pur tenuto conto dei nuovi fattori geopolitici e di sicurezza. Deve quindi cercare di evitare configurazioni estreme a livello globale. Ma per ambire ad influire sui futuri scenari l’Unione deve diventare un attore che parla e agisce unitariamente a livello internazionale, con una presenza in grado di misurarsi con gli altri grandi poli nel nuovo contesto. Tutto ciò pone l’Unione europea (UE) e i paesi europei di fronte a sfide inedite e complesse. A partire dalla gestione del rinnovato legame tra economia e sicurezza. L’Unione è nata e le sue istituzioni si sono configurate nei passati decenni in un mondo basato sulle regole. L’UE ha sviluppato la sua attività e organizzazione economica in larga misura autonomamente dalle sfere della geopolitica e della sicurezza.
La politica estera e della difesa sono rimaste nelle mani dei singoli paesi membri e l’UE non ha alcuna autonomia d’intervento, a differenza di Stati Uniti e Cina. È un assetto, tuttavia, che non è più sostenibile. Nel nuovo contesto globale l’UE dovrà garantire la sua presenza internazionale e le condizioni della sua sicurezza anche attraverso l’economia e non potrà più tenere separate le scelte economiche da quelle geopolitiche.

L’AUTONOMIA STRATEGICA E IL RILANCIO DELL’ECONOMIA EUROPEA
Per marcare il nuovo ruolo geopolitico che l’UE sarà chiamata a svolgere la Commissione ha utilizzato spesso in questi ultimi anni il termine di autonomia strategica, riferendosi alla capacità che l’Europa dovrà acquisire di muoversi in campo economico in modo autonomo e a più livelli, riflettendo i propri interessi e valori strategici. Vi ha poi aggiunto l’aggettivo “aperta” per marcare l’irrinunciabile valore dell’integrazione nei mercati internazionali dell’economia europea. Per molti versi un ruolo inedito, che si era affermato come una necessità già prima della guerra di Putin, ma che è divenuto oggi ancora più fondamentale. Non un compito facile da esercitare – come si è detto – ma a cui nel nuovo contesto globale l’Europa non potrà sottrarsi. Cominciando a definire una strategia articolata e proiettata in un orizzonte temporale medio-lungo. Al riguardo, si possono individuare tre fronti d’azione e intervento prioritari.
Innanzitutto, va rilanciata e rafforzata in chiave di sostenibilità, ambientale e sociale, la capacità di competere e crescere dell’Europa sfruttando gli investimenti del Green Deal e correggendo l’attuale eccessiva dipendenza della crescita europea dalle esportazioni verso il resto del mondo. Sul piano economico, oltre ad un effetto positivo sulla crescita futura, la transizione verde (Green Deal) potrebbe offrire la leva su cui poggiare la ristrutturazione dell’economia europea verso segmenti industriali a maggiore contenuto tecnologico e a basse emissioni di carbonio. Ma perché la transizione abbia successo, oltre a modifiche nelle scelte di consumo e nuove forme di risparmio energetico, saranno necessari enormi investimenti, pubblici e privati, che richiederanno ingenti risorse, anch’esse pubbliche e private. La loro copertura finanziaria non potrà ricadere interamente sulle spalle dei singoli paesi europei, anche alla luce del nuovo Patto di stabilità e crescita siglato alla fine del 2023 che non ha previsto spazi fiscali aggiuntivi atti a soddisfare i fabbisogni finanziari della transizione verde. Sarà pertanto necessario approntare una significativa capacità di investimento e finanziamento a livello comune europeo, ma di cui per ora non vi è traccia.
In secondo luogo, va colmato il divario tecnologico accumulato dall’Europa in questi anni in particolare in campo digitale, soprattutto nei confronti di Stati Uniti e Cina. A questo fine, va attuata una strategia industriale e tecnologica a livello comune e dei singoli paesi, tale da assicurare a medio termine una significativa ricomposizione qualitativa dell’offerta aggregata europea. Alcuni primi passi sono stati compiuti in questa direzione (European Chips Act e The Net Zero Industry Act). Ma va riconosciuto che l’Unione europea è ancora ben lontana dall’aver sviluppato una efficace e adeguata strategia industriale e tecnologica. Per contro, l’allentamento dei vincoli agli aiuti degli Stati deciso nei primi mesi dello scorso anno rischia di premiare i paesi finanziariamente più forti, Germania e Francia in primo luogo, e minare la coesione del Mercato unico. Anche in questo caso, infine, resta del tutto da chiarire dove trovare le ingenti risorse comuni che serviranno a finanziare le politiche di intervento in campo industriale. Permane in effetti una netta divisione tra i paesi membri su questi temi. Da un lato, i paesi che sostengono una politica industriale comune in qualche modo assertiva e, dall’altro, quelli favorevoli ad un sostanziale non intervento all’insegna del tradizionale principio del libero mercato e contrari a ogni finanziamento comune.

UNA RINNOVATA PRESENZA NEL MONDO
In terzo luogo, va promosso e sostenuto il ruolo di attore globale dell’Europa mettendo in atto un’efficace strategia di politica economica estera europea, anche per mantenere uno spazio il più possibile aperto a livello internazionale. E non sarà facile visto che la UE non è mai riuscita in passato a esprimere una sua politica estera e di sicurezza, nonostante ne abbia avuto l’ambizione.
Tra gli strumenti da utilizzare vi è in primo luogo la politica commerciale rafforzando la sicurezza economica anche tramite accordi commerciali e partenariati a livello internazionale. Il raggio d’azione della strategia commerciale dell’Europa dovrà comunque allargarsi, sviluppando non solo accordi commerciali ma anche altre forme di partenariato e cooperazione economica con il Sud del mondo, visto il nuovo importante ruolo che sono destinati ad assumere in prospettiva i paesi intermedi. Allo stesso tempo, al pari di quanto ha fatto e sta facendo la Cina con la nuova Via della seta, l’UE dovrà rafforzare la propria capacità di attrazione attraverso il progetto Global Gateway, soprattutto nei confronti dell’Africa, un continente che è di fondamentale importanza strategica per l’Europa. La ridefinizione dei rapporti con i paesi del Sud del mondo e in particolare con i più rappresentativi tra di essi potrebbe essere colta dall’Europa anche come un’opportunità di rilancio del sistema multilaterale e delle sue istituzioni. L’ordine economico internazionale va riformato, non può essere solo preservato, dal momento che riflette gli interessi di un mondo bipolare del passato, dominato da Stati Uniti ed Europa, in cui non si riconosce più la stragrande maggioranza dei paesi del Sud Globale. Al riguardo, i paesi dell’UE detengono un ruolo centrale in tutte le istituzioni internazionali più importanti (dal FMI alla Banca mondiale, alla Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo). Potrebbero utilizzare questa loro influenza per spingere le istituzioni ad accelerare le riorganizzazioni necessarie e rafforzare così la loro capacità di investimento sia nei nuovi beni pubblici globali sia nei confronti dell’area in via di sviluppo. Allo stesso tempo, non può essere più elusa la richiesta di molti paesi emergenti di essere maggiormente rappresentati nelle organizzazioni internazionali, dalle Nazioni Unite al G20 alle istituzioni finanziarie internazionali. E in assenza di una iniziativa in tale direzione da parte dell’Europa e del resto dei paesi Occidentali la frattura con i paesi del Sud globale è destinata ad allargarsi ulteriormente.

MA SERVONO PIÙ RISORSE E STRUMENTI D’INTERVENTO COMUNI
È ormai un dato di fatto che il mondo sia radicalmente cambiato ed anche l’Europa e la sua economia debbano cambiare. Per farlo, tuttavia, serviranno più strumenti di intervento e molte più risorse finanziarie comuni a livello europeo. E dei quali l’Europa si può dotare solo realizzando una profonda ristrutturazione e un rinnovamento della sua attuale governance. L’Europa ha bisogno innanzitutto di una maggiore capacità di prendere e attuare decisioni. A partire dal superamento della regola dell’unanimità in favore del voto a maggioranza qualificata in aree di comune interesse per la crescita e la sicurezza dell’Europa. Sono necessarie, poi, più risorse finanziarie comuni. Il bilancio dell’Unione va pertanto riformato, dotandolo delle risorse adeguate a finanziare le ambiziose politiche che l’Unione si prefigge di attuare nei prossimi anni. È il caso altresì della formulazione di una capacità fiscale comune, pur per gradi, unitamente a piani di investimento a livello europeo, da finanziare con debito comune.
Sono riforme assolutamente necessarie ma difficili da realizzare, per le divisioni già ricordate all’interno dell’Europa, che contribuiscono ad alimentare una crescente sfiducia tra i paesi membri, fino a costituire un formidabile ostacolo per il rilancio di una strategia economica comune europea. Ma se dovessero prevalere spingendo verso lo stallo del processo di integrazione, è pressoché scontato che l’Europa sarebbe condannata all’irrilevanza e ad un ruolo del tutto marginale nel nuovo mondo.