Mitt Romney: una vittoria a metà

Written by Emiliano Alessandri Wednesday, 07 March 2012 12:22 Print
Mitt Romney: una vittoria a metà Foto: BU Interactive News

La vittoria di Mitt Romney nell’atteso appuntamento del Super Tuesday probabilmente è  sufficiente ad avvicinarlo ancor di più alla nomination alla Convention del partito repubblicano, non è però stata completa e non placherà le manifestazioni di disagio interne al partito. Le primarie di ieri hanno soprattutto messo in luce i limiti dei diversi candidati, le debolezze del partito e la dispersione del voto repubblicano.


La vittoria di Mitt Romney nell’atteso appuntamento del Super Tuesday rimane sufficiente ad avvicinarlo ulteriormente alla nomination alla Convention del partito repubblicano che sceglierà ad agosto prossimo in Florida l’avversario di Obama nella competizione per la presidenza degli Stati Uniti. Non calma affatto, però, le manifestazioni di disagio all’interno del partito, che continueranno nelle prossime settimane verosimilmente fino all’appuntamento di Tampa. Romney detiene un margine molto ampio di delegati, ma le primarie di martedì hanno ulteriormente evidenziato la dispersione del voto repubblicano.

Tra i dieci Stati in cui si è votato, l’Ohio rappresenta un test importante, sia perché si tratta di uno “swing State” che è stato decisivo in alcune elezioni presidenziali del passato, sia perché vede un’alta concentrazione di lavoratori nell’anemico settore industriale, un bacino elettorale potenzialmente rilevante per i repubblicani. Il leggero margine di vantaggio di Mitt Romney sul principale rivale, Rick Santorum, che nelle ultime settimane aveva visto crescere il suo consenso a traino di una campagna a fianco dei “blue collar workers”, dimostra che il “candidato dell’establishment”, Romney, nonostante sia percepito come distante dalla gente comune, non è ripudiato dalla parte meno abbiente della base. La sua notevole ricchezza personale, nonché una serie di esternazioni poco felici, come quella sul “piacere di licenziare”, hanno infatti alimentato l’immagine di un candidato “Wall Street”, carente di empatia verso la classe media e medio-bassa che popola “Main Street” e i centri industriali in declino del paese.

In termini di delegati, la vittoria netta in Massachusetts, dove Romney è stato governatore, è importante, così come importante è la conferma che Romney gode di ampio apprezzamento tra l’elettorato più moderato, nel quale si trovano anche i cosiddetti indipendenti, i quali quest’anno potrebbero spostare le loro preferenze su un candidato repubblicano perché insoddisfatti dell’operato del presidente, soprattutto per quanto riguarda la politica economica. Romney rimane anche il candidato ritenuto più adatto a competere alla pari con Obama in autunno, essendo considerato, al di là delle preferenze personali o ideologiche, come il più “presidenziale”.

Ma la vittoria ampia di Newt Gingrich in Georgia, Stato di cui è stato rappresentante al Congresso, e la forza di Santorum in Ohio, Oklahoma, Tennessee e in altri Stati, dimostra che la base del partito repubblicano non ha ancora sciolto le sue riserve nonostante le forti pressioni dell’establishment repubblicano, che ha generosamente finanziato la campagna di Romney, e non si fida delle “credenziali di conservatore” dell’ex governatore, il quale continua a lottare contro il parere diffuso che sia stato politicamente un opportunista, e su alcune iniziative, in particolare la riforma dell’assistenza sanitaria, addirittura un precursore delle politiche di Obama.

L’orientamento della base del partito repubblicano, sempre più schiacciata su posizioni ultraconservatrici, intransigente nelle sue convinzioni ed estremista su questioni quali la tassazione, l’immigrazione, la religione e le questioni etiche, gioca a sfavore di un candidato come Romney, il cui recente estremismo, in tema di politica sia interna che estera, pare rappresentare il tentativo di inseguire l’elettorato conservatore piuttosto che un orientamento spontaneo. Per quanto sia stato fin dall’inizio e rimanga ancora senza alcun dubbio il front-runner e il favorito, Romney non pare controllare la base del partito; ne è al contrario, in parte, ostaggio. Le primarie del Super Tuesday hanno ulteriormente evidenziato la sua difficoltà nel conquistare il sostegno di gruppi cruciali, come la destra evangelica. E questo non può che gettare ombre sull’evoluzione della campagna presidenziale nei prossimi mesi.

Pare proprio, infatti, che la sfida all’ultimo colpo tra i candidati repubblicani sia destinata a indebolire il partito nel suo complesso più che temprare chi uscirà vincitore dalla competizione, mostrandone le divisioni interne e l’evoluzione in senso estremista, quasi di protesta, di fronte alle sfide che l’America di oggi si trova a combattere per via della difficoltà di riformarsi al suo interno e ad una globalizzazione che si è improvvisamente trasformata in minaccia alla sicurezza economica e sociale dopo essere stata promossa dagli Stati Uniti nei decenni scorsi.

Candidati nel complesso deboli sotto il profilo sia personale che politico, i repubblicani si scontrano su chi più risolutamente incarna i principi conservatori in un paese che pare però stanco delle polarizzazioni, delle contrapposizioni, e in cui un numero sensibilmente più basso di elettori si sente a suo agio a definirsi conservatore rispetto ad appena alcuni anni fa. Un partito che dopo la sonora sconfitta dei democratici nelle elezioni di medio termine del 2010, sembra non essere riuscito a capitalizzare le diffuse frustrazioni per l’amministrazione Obama e a canalizzare il dissenso in un progetto alternativo, credibile e attraente, come dimostrano i livelli di partecipazione per ora non entusiasmanti alle primarie repubblicane. Un partito, infine, che fatica a parlare ai gruppi più deboli o emergenti, come i giovani (fatta eccezione per il libertario Ron Paul) e gli ispanici, e che rischia di alienare le donne, con posizioni poco popolari su questioni come la contraccezione.

Nonostante la strada di Obama per la rielezione rimanga lastricata di incognite, le primarie del Super Tuesday hanno confermato la debolezza complessiva della proposta concorrente, ritardando ancora l’incoronamento del rivale e mettendo in luce i limiti, piuttosto che i punti di forza, dei diversi candidati.

 


Foto: BU Interactive News

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