Evoluzione

Di Enrico Alleva e Daniela Santucci Lunedì 16 Febbraio 2009 13:57 Stampa
Charles Darwin, del quale il 12 feb­braio 2009 ricorre il bicentenario della nascita (che sarà celebrato ovun­que, e a Roma presso l’Accademia na­zionale dei Lincei), non amava il termi­ne “evoluzione”, in inglese evolution. Ha regolarmente preferito, fin nei suoi scritti giovanili, il termine “trasmuta­zione”, dato che l’enigma del quale cercava con affannosa costanza una spiegazione era di chiarire i meccani­smi mediante i quali una specie anima­le o vegetale si tramutasse in un’altra.

Charles Darwin, del quale il 12 febbraio 2009 ricorre il bicentenario della nascita (che sarà celebrato ovunque, e a Roma presso l’Accademia nazionale dei Lincei), non amava il termine “evoluzione”, in inglese evolution. Ha regolarmente preferito, fin nei suoi scritti giovanili, il termine “trasmutazione”, dato che l’enigma del quale cercava con affannosa costanza una spiegazione era di chiarire i meccanismi mediante i quali una specie animale o vegetale si tramutasse in un’altra. Come tutti noi, Darwin era un figlio della propria epoca. Un’epoca nella quale le vestigia di un ordine dinastico tra re dal cuore leonino e cavalieri di rotondeggianti tavole che prevedevano un limitatissimo numero di commensali, facevano sembrare che l’ordine sociale costituito fosse basato sul diritto divino: uno schema sociale “per grazia ricevuta”. Non che si trattasse di un ordine cristallizzato, immobile, socialmente immutabile: imperatori e re, se il plebeo avesse salvato una principessa o trafitto il cuore di un drago, con il semplice poggiare della reale spada sulla spalla dell’eroe del momento lo potevano “trasmutare” in un nobile. A tanto cristallizzato immobilismo del mondo sociale faceva riscontro un’idea, molto ideologica, del mondo dei viventi: le tante ora sobrie ora coloratissime specie vegetali e animali, che popolavano l’Europa dell’epoca, erano anche loro tali per grazia divina, opera di una divina creazione che rendeva i frutti della terra appetitosi e provvidenzialmente commestibili. Dio aveva fabbricato le lepri e i falchi da caccia per i signori, galline e cavoli per i plebei e i servi della gleba. Il nonno di Charles, Erasmus Darwin, era il prodotto di una fase di profonda rottura sociale di questo immobilismo preindustriale. Era un giovane imprenditore affascinato tanto dalla tecnologia (le prime industrie liberarono l’uomo comune dalla servitù del lavoro faticoso), ma anche alla ricerca di una spiegazione della natura più dinamica e autoconsistente. Scrisse la “Zoonomia”, trattato che l’etimo rivela come una ricerca di un nomos, di una legge condivisa, che spiegasse il perché delle incredibili varietà del mondo dei viventi. Come esse trasmutavano le une nelle altre se non fosse stato vero che un Dio provvidenziale le avesse create così per il beneficio dell’unico animale provvisto di anima, quell’Homo sapiens che già Linneo nel suo “Systema Naturae” nel 1735 aveva catalogato all’interno dell’ordine dei primati: a partire da molto precedenti categorie che affondavano le proprie radici nosografiche nel pensiero aristotelico. Darwin crebbe sulle ginocchia e tra i libri di nonno Erasmus. L‘altro elemento importante nell’evoluzione della mentalità di Charles Darwin era costituito da quella sciagura dei suoi tempi che era il pensiero maltusiano: una visione secondo la quale con una natura che doveva essere frutto di un disegno intelligente divino, dunque provvida per l’umanità, a partire da due conigli si sarebbe arrivati a migliaia se non milioni di prole conigliesca nel giro di molte poche generazioni. I maltusiani della cerchia di nonno Erasmus non potevano non arrovellarsi sul perché dall’unica quercia, e per più di un secolo, venissero disseminate ghiande, quando poi alla fine per un logico ragionamento preecologico, solo una ghianda avrebbe dato origine a un’unica quercia figlia e a sua volta madre. Perché tutto questo spreco di conigli e di ghiande? Nonno Erasmus aveva fondato, con altri tecnologi della sua generazione e vari personaggi eccentrici del suo circondario, quella Lunar Society – la “società dei lunatici” – che tanta influenza ebbe sul nipote naturalista. Lì, le contraddizioni del maltusianesimo e il desiderio di scoprire le leggi zoonomiche furono il concime naturale per la mente analogica del giovane Charles. Su questo impianto familiare a Darwin capitò l’occasione di partire, in sostituzione del naturalista di bordo, sul brigantino Beagle per un viaggio fantastico, che durerà 4 anni, 9 mesi e 2 giorni, alla scoperta della più formidabile raccolta visiva di piante e animali che un giovane di allora utilmente deprivato dello schermo televisivo o del cinematografo a colori potesse sognare.
Charles mise assieme tutte queste nozioni e trovò già a bordo della Beagle la soluzione: le specie si trasmutavano le une nelle altre grazie alla ossimorica maggiore sopravvivenza dei figli più adatti, in una lotta per la vita dove solo gli individui più in accordo con l’ambiente nel quale spendevano la vita riuscivano a sopravvivere e soprattutto a lasciare prole feconda nel mondo. Darwin insistette nello scrivere che evoluzione, o trasmutazione, non è certo sinonimo di progresso, ma semplice trasformazione di una forma vivente che non è certo migliore solo perché più adatta. A riprova di ciò, elemento storico vilmente sottaciuto, va sempre ricordato che per trovare il coraggio di presentare in pubblico (ai saggi della Società Linneiana) la sua rivoluzionaria teoria, Darwin pavidamente necessitava di sentirsi uno zoologo esperto, autore di almeno un volume di zoologia sistematica. Per i casi della vita, redasse un poderoso volume sui Crostacei Cirripedi, esseri che anziché progredire, trasmutandosi, regrediscono da piccoli granchietti mobili e vivaci a una sorta di piccole incrostazioni immobili, cementate sugli scogli (i Denti di cane).
Dunque, il più compiuto esempio di evoluzione che Darwin descrisse fu una poderosa regressione funzionale di un gruppo di invertebrati. Non a caso, come rivela il suo diario, il giorno in cui finì di correggere le bozze del volume sui Cirripedi annotò di cominciare a occuparsi della teoria della trasmutazione.