Internet versus carta stampata

Di Jean-Marie Colombani Martedì 13 Maggio 2008 19:44 Stampa

Non è esatto dire che internet ha soppiantato la carta stampata nel campo dell’informazione. Se era questa l’idea che ha prevalso per un certo tempo, oggi può invece costituire uno degli elementi della sua rinascita. Semplicemente, la carta stampata ha bisogno di rinnovarsi e puntare sulla qualità per trarre vantaggio dalla rete.

Non è vero che internet, questo mezzo di comunicazione che offre una libertà assoluta, non soggetto a nessun potere, stia scavando la tomba alla carta stampata, come affermano i cattivi profeti. Se era questa l’idea che ha prevalso per un certo tempo, in un periodo in cui si poteva credere che i nostri modelli economici fossero defunti, oggi sono convinto che internet non sarà la tomba della carta stampata e costituirà invece uno degli elementi della sua rinascita. Ci hanno spiegato per tanto tempo che la televisione avrebbe ucciso il cinema, che l’immagine avrebbe distrutto la parola scritta e che il successo delle radio che trasmettono solo musica si sarebbe coniugato con la scomparsa delle grandi emittenti generaliste: tutte predizioni che si sono rivelate erronee. Se si continuasse a ritenere che il nostro mestiere consista nel comprare la carta al prezzo più basso possibile, versarci sopra un po’ d’inchiostro e grazie a quell’inchiostro sperare di rivenderla al prezzo più caro, potremmo chiudere definitivamente bottega. Ma se invece si ammette che noi siamo produttori di un’informazione di qualità, diffusa a ritmi diversi e su supporti diversi, il tutto sotto un marchio forte, allora c’è un futuro per i giornali, trasformati in gruppi di stampa.

Non credo che sia troppo tardi, nemmeno quando si osservano i disastri che provocano i siti di aggregazione come “Yahoo! News”. Con ventitrè milioni di visitatori unici al mese negli Stati Uniti, quest’ultimo è divenuto il principale sito d’informazione del paese. Sono da tempo convinto che internet, a breve scadenza, sarà la fonte d’informazioni preferita dai singoli; lo è già per i più giovani e probabilmente questa tendenza si andrà accentuando. Nulla ci vieta di credere, però, che una percentuale molto ampia di persone continuerà a fare ricorso ai nostri giornali e ai nostri siti, per il fatto che essi garantiscono un’informazione di prim’ordine. D’altra parte, la battaglia che oggi conduce il giornalismo è tutta qui, nel rilegittimarsi giorno dopo giorno.

La caratteristica del periodo attuale è questa: i giornalisti si trovano in concorrenza con i semplici cittadini che si considerano altrettanto – o, addi- rittura, meglio – informati per il semplice fatto che si scambiano messaggi. Sta a noi dimostrare loro che quello scambio non sostituirà mai il tipo di informazione – attinta dalle migliori fonti, contraddittoria, contestualizzata – che può produrre quotidianamente la redazione di un giornale.

Bisogna battersi lavorando sul marchio. Non è inutile osservare che la stampa scritta, il cui potere aumenta sulla Rete, diventa poco a poco una concorrente della televisione generalista, la cui audience si va frammentando. Certo, permane un rischio, che consiste nel fatto che alcuni annunciatori, alcuni attori della vita economica, politica o sociale si affranchino dai media professionali e si rivolgano direttamente ai lettori, ormai trasformati in internauti. Sta ai media tradizionali dimostrarsi capaci di adattarsi a queste nuove modalità di consumo dei mezzi di comunicazione. Ed è una battaglia in cui essi segnano anche alcuni punti a loro vantaggio. Perché l’orizzonte si apra a grandi prospettive, è ora necessario accelerare il ritmo, moltiplicare gli accordi e le alleanze con i pure players di internet, pur conservando un certo numero di progetti “pesanti”.

La svolta di internet non sembra sempre convincente: da poco tempo si assiste a un’ondata di disinvestimenti sul mercato della stampa, giudicato poco redditizio. È il caso del gruppo VNU in Olanda o di Pearson in Gran Bretagna. Ci saranno sempre gruppi che si staccheranno per ragioni legate ai propri vincoli di mercato. Nello stesso tempo, però, si osservano anche fenomeni contrari, com’è il caso della transazione per un valore di 13 miliardi di dollari per il gruppo Tribune o dell’acquisto del “Wall Street Journal” da parte di Rupert Murdoch.

Rispetto agli anni in cui era di moda decretare la morte della stampa scritta, oggi colpisce il fatto che non si era mai vista una tale quantità di testate di giornali in circolazione, soprattutto con l’esplosione dei quotidiani gratuiti.

Il risultato è che da un po’ di tempo osserviamo un rinnovato interesse da parte degli ambienti finanziari per il settore della stampa. Perché questa industria in piena mutazione, ha anche la caratteristica di essere sottostimata. Per questo nei prossimi quattro o cinque anni sarà chiamata a ritrovare livelli di redditività buoni, non necessariamente straordinari, che (come già si vede oggi) la renderanno oggetto di vari appetiti, soprattutto da parte di solidi fondi d’investimento o di potenti gruppi editoriali.

Lo sviluppo di media di tipo partecipativo e l’emergere di un giornalismo impegnato in campo civile potranno avere la meglio sul modello della stampa d’opinione alla francese: sta qui la principale difficoltà. In effetti su internet, a causa di questo fenomeno, si osserva quello che potremmo chiamare “comelavedoio. com”, una nuova forma di espressione, in certi casi sentenziosa e comunque univoca. Evidentemente questo va in direzione opposta rispetto al giornalismo, che consiste nel portare una pluralità di sguardi distaccati ed equilibrati sull’attualità.

Davanti a questa ondata, la stampa scritta deve saper dare risposte rapide. In primo luogo, accogliere attraverso internet i punti di vista dell’audience che fanno da eco a quelli dei giornalisti. Poi, operare in modo più intenso sul versante partecipativo dei nuovi media. Infine, la principale risposta a questo fenomeno consiste nell’approfondire la vecchia regola pratica del mestiere: muoversi in direzione di un maggiore rigore e una maggiore qualità. La stampa paga la scissione che continua a esistere tra il paese e le sue élite, in un quadro in cui i media fanno parte dello stesso pacchetto che comprende le istituzioni e i poteri. Ebbene, la stampa non deve dimenticare che essa costituisce non un potere, ma un contropotere con un’imperiosa esigenza di qualità e, al tempo stesso, un dovere di umiltà.