Le inarrestabili rinnovabili

Di Gianni Silvestrini Mercoledì 02 Ottobre 2019 08:01 Stampa
Le inarrestabili rinnovabili Acquerello di Emanuele Ragnisco


Per quale motivo le rinnovabili hanno assunto, e assumeranno sem­pre più, una valenza strategica in campo energetico? Per capirlo bi­sogna partire dal processo di decarbonizzazione necessario per far fronte alla crisi climatica. Ci sono infatti fondamentalmente due strumenti per ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili: la riduzione dei consumi e il passaggio alle energie pulite.

L’obiettivo di contenimento dei gas climalteranti diventa sempre più decisivo nell’orientare gli investimenti in tutti i settori dell’economia. Nel 2014 l’Europa aveva deciso un taglio del 40% al 2030 rispetto ai livelli del 1990, ma l’accelerazione dell’emergenza climatica e la dra­stica riduzione dei costi delle tecnologie del solare e dell’eolico hanno imposto e al tempo stesso hanno permesso di essere più ambiziosi.

Così il Parlamento europeo ha votato l’innalzamento del taglio delle emissioni al 55% e il nuovo presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha dichiarato di voler portare subito l’obiettivo al 50% e nel 2021 al 55%. Questo sarà dunque il traguardo intermedio, anche in considerazione del percorso che dovrebbe portare l’Europa a essere carbon neutral al 2050. Il vicepresidente della Commissione con delega al Green New Deal, Frans Timmermans, ha infatti avuto l’indicazione di definire nei primi cento giorni di lavoro lo scenario per una Europa a zero emissioni nette. Il nostro continente dovrà quindi attrezzarsi per far funzionare trasporti e fabbriche, per climatizzare gli edifici ecc. alla fine del prossimo decennio producendo da gas, petrolio e carbone la metà dell’anidride carbonica che veniva emessa nel 1990. E ancora più ambizioso sarà il salto successivo. In soli vent’anni, tra il 2031 e il 2050, le emissioni nette di CO2 dovranno infatti essere azzerate.


55% DI ELETTRICITÀ RINNOVABILE AL 2030

Visti questi scenari, si comprende la centralità del ruolo delle rinno­vabili. Secondo la bozza del Piano nazionale per l’energia e il clima inviata dal nostro governo a Bruxelles a gennaio di quest’anno, nel 2030 la loro produzione dovrà consentire di soddisfare il 55,4% dei consumi elettrici. Un obiettivo che implicherebbe di raddoppiare l’attuale contributo dell’eolico e di triplicare quello del fotovoltaico. E, alla luce dell’annunciato innalzamento europeo del taglio delle emissioni, non è escluso che la versione finale del Piano, da presen­tare alla Commissione entro il 31 dicembre, possa contenere valori più ambiziosi sia sul fronte delle emissioni che su quello delle rin­novabili.

Qualcuno, ricordando gli elevati, in alcuni casi eccessivi, incentivi che hanno consentito nel periodo 2007-12 di far decollare l’ener­gia verde in Italia come nel resto di Europa, potrebbe essere pre­occupato del balzo in avanti che ci aspetta. In realtà, proprio lo sforzo del nostro continente ha favorito la creazione di un vasto mercato per le rinnovabili, con la connessa produzione su larga scala delle tecnologie, che ha portato a una forte riduzione dei prezzi. Oggi un modulo fotovol­taico costa un decimo rispetto a dieci anni fa. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, in molte aree del mondo l’elettricità prodotta con il solare e l’eolico è ormai più conveniente di quel­la generata con nuove centrali a gas o a carbone. Il prossimo decennio potrà quindi vedere anche da noi una forte espansione delle rinnovabili senza incentivi, o con un sostegno molto limitato. Anzi, il fotovoltaico nel Sud genererà elettricità a prezzi così bassi da diventare un elemento di attrazione per la localizzazione di nuove industrie. Naturalmente il percorso di crescita dovrà essere accompagnato da normative adeguate che ne facilitino la diffusione ed eliminino gli ostacoli.


COMUNITÀ ENERGETICHE

Facciamo un esempio. Oggi non è possibile installare un impianto fotovoltaico sul tetto di un condominio e distribuire l’elettricità alle famiglie che vi abitano. Considerando le decine di chilometri qua­drati di superfici di edifici disponibili, si capisce come lo sblocco di questo mercato aprirebbe enormi opportunità. Del resto è stata la stessa Commissione a indicare un percorso volto a facilitare il ruolo dei “prosumers” (produttori e contemporaneamente consumatori) e quello delle “comunità energetiche”. Con il recepimento della di­rettiva 2018/2001 sulle rinnovabili si definiranno infatti le regole per facilitare gli scambi di energia rinnovabile nei condomini o nei distretti produttivi e nei terreni agricoli. Le nuove disposizioni della direttiva devono essere recepite dagli Stati membri entro il 30 giugno 2021, ma sarebbe opportuno accorciare i tempi. In un’interrogazio­ne del Partito Democratico del settembre 2019 si richiede di antici­pare il suo recepimento entro la fine dell’anno.

L’organizzazione di comunità energetiche ha una lunga tradizione sia in Europa che negli Stati Uniti e consente di creare consenso sui territori e favorire una gestione decentrata dell’energia. Partico­larmente interessanti sono le evoluzioni che stanno avvenendo in California, con un ruolo sempre più significativo delle Community Choice Aggregation (CCA), arrivate addirittura a incrinare il ruolo di alcune utilities (è il caso dell’azienda San Diego Gas & Electric). Dal 2010 sono più di 160 le città e le contee che si sono raggruppate in 19 CCA servendo dieci milioni di utenti. Per capire l’impatto che potranno avere queste nuove forme di aggregazione, basti dire che le utilities californiane stimano di perdere il 60-80% della propria domanda elettrica nei prossimi 8-10 anni. Nel nostro paese alcune Regioni (Piemonte e Puglia) hanno cercato di precorrere i tempi per facilitare la formazione di comunità energetiche, che potranno però dispiegarsi solo con la definizione di nuove regole nazionali che, re­alisticamente, non verranno introdotte prima della fine del 2020.


CENTRALI SOLARI, AGRO-FOTOVOLTAICO, POWER PURCHASE AGREEMENT

Visti gli obiettivi del fotovoltaico, andrà data priorità alle installa­zioni sugli edifici, che potranno superare i due milioni nel 2030, ma sarà necessario anche realizzare diversi impianti a terra. A questo sco­po il decreto FER1 prevede di avviare delle aste per gli impianti sopra 1 megawatt utilizzando siti industriali abbandonati, cave dismesse e discariche a fine vita. Considerata però la necessità di realizzare nel prossimo decennio diverse migliaia di megawatt solari su terreno, sa­rebbe interessante esplorare le potenzialità dell’agro-fotovoltaico, che consiste nell’installare sistemi fotovoltaici a inseguimento a una al­tezza e a una interdistanza tali da consentire la lavorazione dei campi. Esperienze di questo tipo si sono avute in diversi paesi, Italia inclusa. Si potrebbero così recuperare terreni abbandonati, irrigandoli e col­tivandoli secondo i principi dell’agroecologia, e garantire un positivo impatto occupazionale.

Anche in campo eolico le attività stanno ripar­tendo grazie alle aste. Un’attenzione particolare verrà posta sul repowering, che consente di ridur­re il numero di aerogeneratori di un parco eolico esistente sostituendoli con pochi impianti di po­tenza maggiore, molto più efficienti.

Stanno infine affacciandosi i modelli contrat­tuali Power Purchase Agreement (PPA), che pre­vedono la realizzazione di parchi solari ed eolici con successiva cessione dell’elettricità a traders o a privati, una soluzione che non ha bisogno di incentivi. I PPA hanno avuto una forte diffusione negli Stati Uniti e in diversi altri paesi in giro per il mondo. Interessante è il caso della Spagna, che ha alzato il suo obiettivo di elettricità verde al 2030 al 74% dei consumi elettrici, ben più elevato quindi di quello italiano. Secondo Solar Power Europe, entro il 2023 verranno installati ben 19.500 megawatt solari e sono già in corso di realizzazione 2300 me­gawatt con la formula PPA, senza incentivi. In Italia sono stati firma­ti accordi di questo tipo per 500 megawatt, con i primi impianti PPA già realizzati. Uno degli ostacoli alla diffusione di queste soluzioni riguarda, ma non è una novità, la lentezza dei processi autorizzativi.


UNA MARCIA IN PIÙ CON LE BATTERIE

Un’altra rivoluzione è in arrivo grazie alla rapida diffusione delle bat­terie al litio. Secondo le valutazioni di Bloomberg, nel periodo 2010- 18 i loro prezzi sono calati dell’85%, ed è previsto che la riduzione continui anche nei prossimi anni. A questo proposito si possono di­stinguere due mercati. Il primo riguarda le installazioni abbinate al fotovoltaico distribuito. In Germania sono 120.000 gli impianti di questo tipo e attualmente, ogni due impianti fotovoltaici realizzati, uno viene venduto già accoppiato a una batteria al litio. In Italia sono oltre 30.000 i sistemi di accumulo installati grazie all’utilizzo delle detrazioni fiscali e ad alcuni bandi regionali. Un numero desti­nato a crescere notevolmente nel corso del prossimo decennio. Ma i sistemi di accumulo possono essere anche di grande scala e consenti­re di gestire le fluttuazioni della produzione solare ed eolica. In Italia sono state finora effettuate delle sperimentazioni da parte di Enel e Terna con alcuni impianti di pochi megawatt, ma la situazione sta evolvendo rapidamente. Negli Stati Uniti e in Australia si stanno realizzando impianti per centinaia di megawatt. Ma anche l’Europa si muove. In Scozia nel 2020 entrerà in funzione una batteria da 50 megawatt connessa a un parco eolico, mentre in Irlanda è program­mata una batteria da 200 megawatt. Nel Regno Unito sono pari a ben 4800 megawatt i sistemi di accumulo programmati.

A RISCHIO IL DOMINIO DEL GAS

In un recente rapporto del Rocky Mountain Institute di Amory Lovins è stata analizzata la competitività delle nuove centrali a gas, 70 gigawatt, che dovrebbero essere realizzate negli Stati Uniti in so­stituzione di vecchi impianti, prevalentemente a carbone. Nel 90% dei casi i loro chilowattora risulterebbero meno vantaggiosi rispetto allo sviluppo di un’analoga produzione da solare, eolico e batterie. La conclusione del rapporto è netta: l’idea che il metano possa es­sere considerato un “ponte verso le rinnovabili” è ormai superata. Vent’anni fa il gas garantiva il 20% dell’elettricità statunitense, ora è arrivato al 35% grazie all’utilizzo dell’abbondante e poco costoso shale gas, ma questa crescita sembra destinata ad arrestarsi per poi ridursi nel medio e lungo periodo. Un’analisi che dovrebbe valere a maggior ragione in Europa, dove il prezzo del metano è molto più alto che negli Stati Uniti.

Che quella del rapporto del Rocky Mountain Institute non sia solo una riflessione teorica è dimostrato ad esempio dal fatto che l’ente regolatore dello Stato della Virginia, Stato dove domina il carbone e che ha votato per Trump, ha bocciato la proposta della locale utility, Vectren, di rimpiazzare una centrale a carbone con una a metano da 850 megawatt, con la motivazione che il rapido crollo del prezzo delle rinnovabili e degli accumuli avrebbe potuto rendere nel tempo questo impianto “stranded”, inutilizzabile.  


RIDUZIONE DEI CONSUMI, STILI DI VITA E MODELLO ECONOMICO

Finora abbiamo parlato di rinnovabili, anzi per la precisione di rin­novabili elettriche. L’eliminazione dei fossili nel settore termico e dei trasporti è però decisamente più complessa e passerà, almeno in parte, attraverso un processo di elettrificazione della climatizzazione e della mobilità. Resta il fatto che lo sforzo per arrivare a soddisfare con le rinnovabili tutti i consumi energetici di un paese è gigante­sco e comporta una serie di problemi collaterali, a cominciare dalle modifiche del paesaggio. Si conferma dunque la centralità della ri­duzione dei consumi per facilitare il raggiungimento dell’obiettivo. La Germania, ad esempio, intende dimezzare la domanda di energia primaria al 2050.

Ma attenzione: una così ambiziosa riduzione dei consumi non si ottiene solamente con l’aumen­to dell’efficienza di tecnologie e processi, con la riqualificazione energetica spinta di palazzi e quartieri. Per arrivare al taglio necessario delle emissioni andranno rimessi in discussione gli stili di vita (pensiamo alle scelte sul fronte della mobilità o dell’alimentazione). Non solo, anche le regole di funzionamento del modello econo­mico andranno riviste. Dalle norme per evitare un’obsolescenza programmata dei prodotti all’o­rientamento della politica industriale, dall’intro­duzione di una fiscalità che penalizzi i fossili a misure volte a ridurre le diseguaglianze sociali.

Insomma, la lotta contro l’emergenza climatica può rappresentare una straordinaria occasione per rivedere il model­lo di sviluppo. Per la prima volta nella sua storia l’umanità si trova in­fatti di fronte a un limite globale: la quantità di gas climalteranti che possono ancora essere emessi. L’ampiezza della sfida connessa con la decarbonizzazione delle economie in tempi brevissimi obbligherà quindi a immaginare, a inventare, un ruolo diverso delle istituzioni, a rivedere un modello basato sulla crescita infinita.

D’altra parte va considerato il rischio che, a fronte di una accelera­zione dei fenomeni climatici estremi, per ridurre drasticamente le emissioni si debbano adottare misure draconiane, fino al pericolo dell’insediamento di regimi autoritari. L’aspetto più preoccupante di queste dinamiche è che manca una percezione diffusa dei gravi rischi che corriamo. Lo intuiscono però i giovani e giovanissimi che in tut­to il mondo marciano per il clima, in quanto capiscono che è il loro stesso futuro a essere messo in discussione.

 

 

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Acquerello di Emanuele Ragnisco