Le proposte in discussione per la riforma del processo civile e penale

Di Federico Conte Giovedì 08 Luglio 2021 10:05 Stampa
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La riforma della giustizia, e in particolare la velocizzazione dei pro­cessi civili e penali, rappresenta uno dei maggiori obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) presentato dal governo Dra­ghi alla Commissione europea il 30 aprile scorso: l’obiettivo com­plessivo dell’intervento proposto è quello di rispondere alle note cri­ticità che da anni affliggono il sistema giudiziario evidenziate anche a livello UE, dove il Consiglio dell’Unione europea, nelle sue annuali Raccomandazioni, ha più volte sollecitato l’Italia a «ridurre la durata dei processi civili in tutti i gradi di giudizio», nonché ad «aumentare l’efficacia della prevenzione e repressione della corruzione riducendo la durata dei processi penali e attuando il nuovo quadro anticorru­zione», invitando da ultimo ad adottare provvedimenti volti a «mi­gliorare l’efficienza del sistema giudiziario».

Accogliendo a pieno tali sollecitazioni, il PNRR ha individuato nella mancata o lenta realizzazione di alcune riforme strutturali ritenute necessarie un limite al potenziale di crescita del paese, prefiggendosi una serie di ambiziosi obiettivi. La riduzione dei tempi del giudizio è stata inserita dal PNRR tra le cosiddette “riforme orizzontali”, che consistono in riforme strutturali dell’ordinamento tali da interessare, in modo trasversale, tutti i settori di intervento del Piano, attraverso l’individuazione di ambiti di intervento ritenuti prioritari.

QUANTO AL PROCESSO PENALE

Sul progetto di riforma contenuto nel disegno di legge “Bonafede” (atto Camera 2435), dopo che i gruppi parlamentari hanno depo­sitato i loro emendamenti in Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati, sono giunte anche le proposte della Commissione mi­nisteriale affidata al presidente Lattanzi dalla ministra della Giusti­zia, Marta Cartabia. In sintesi, le proposte dell’esecutivo puntano a: a) semplificare il sistema degli atti processuali e delle notificazioni attraverso l’adozione di strumenti telematici, adottando altresì spe­cifiche cautele per l’effettiva conoscenza dell’atto introduttivo da parte dell’imputato (la prima notificazione avverrà per il tramite di un contatto personale, mentre tutte le notificazioni successive sa­ranno eseguite presso il difensore anche con modalità telematiche); b) interventi sulla disciplina della fase delle indagini e dell’udienza preliminare finalizzati ad assicurare scansioni temporali più certe e stringenti, con riferimento in particolare alla raccolta degli elementi di prova; c) ampliare la possibilità di ricorso ai riti alternativi e l’in­centivazione dei benefici a essi connessi con interventi che riguar­dano il patteggiamento, il giudizio abbreviato, il giudizio immedia­to e il decreto penale di condanna; d) garantire al dibattimento di primo grado maggiore scorrevolezza; e) snellire le forme e ridurre i tempi di durata del giudizio di appello che rappresenta una fase particolarmente critica rispetto alla prescrizione del reato; f ) definire i termini di durata dei processi, con previsione degli opportuni meccanismi di adattamento alle eventuali specificità dei singoli uffici giudiziari.

Tra queste proposte appaiono largamente con­divisibili quelle relative alla fase delle indagini e dell’udienza preliminare e sul potenziamento dei riti alternativi, che tendono virtuosamente a rafforzare il valore della procedura, mentre desta particolare perplessità quella che riguarda l’ap­pello, sia per la parte che, come contraltare del divieto di impugnazione del PM, introduce per la difesa l’appello “a critica vincolata” (sul model­lo del ricorso per Cassazione), perché, all’eviden­za, porta con sé il rischio di costipare al di sotto della soglia costituzio­nale il diritto dell’imputato a una revisione di merito della sentenza di condanna; sia per la parte che vorrebbe stabilizzare la norma Covid sulla trattazione orale “a richiesta” dell’imputato, che di la dalla for­male salvaguardia del principio di oralità, finirebbe, sul piano cultura­le, per assecondare la preoccupante tendenza a cartolarizzare l’appello penale. Parimenti condivisibili risultano le proposte sulla procedibili­ tà dei reati; sulla possibilità di estinguere talune tipologie di reato me­diante condotte riparatorie a tutela delle vittime; sull’ampliamento dell’applicazione dell’istituto della particolare tenuità del fatto, al fine garantire una riduzione e uno snellimento dei procedimenti.

Tra i tanti temi però quello più delicato, sul piano politico più che per il suo valore processuale di sistema, è certamente quello della pre­scrizione del reato. Come è noto, la norma sulla prescrizione appro­vata durante il primo governo Conte (maggioranza giallo-verde) che porta il nome dell’ex ministro della Giustizia Bonafede, è stata ogget­to, durante il secondo governo Conte (maggioranza giallo-rossa), di un accesso dibattito conclusosi con la proposta, inserita nel disegno di legge in discussione, di una nuova formulazione, più nota come lodo Conte bis, il cui elemento caratterizzante è quello di limitare l’effetto sospensivo (rectius interruttivo) della prescrizione alla sola sentenza di condanna, al fine di limitarne gli effetti distorsivi sulla ragionevole durata dei processi.

Durante i lavori in Commissione Giustizia sul disegno di legge Bo­nafede, ripresi dopo la costituzione del governo Draghi, così come i rappresentanti degli altri gruppi parlamentari (fatta eccezione il M5S), anche chi scrive ha presentato un emendamento per supera­re il lodo Conte bis, del quale pure era stato autore, con una nuova formulazione capace di esprimere un equilibrio ancora più avanzato tra il precetto costituzionale della certezza della pena e quello della ragionevole durata del processo.

Su questo articolato percorso parlamentare si è poi innestata la pro­posta della Commissione ministeriale, che prevede due possibili meccanismi per superare l’attuale formulazione: una prima, in so­stanziale continuità con il lodo Conte bis, che mantiene il doppio binario tra imputati condannati e imputati mandati assolti in primo grado attraverso un meccanismo di sospensione della prescrizione in Appello e in Cassazione solo per le sentenze di condanna; una seconda, più ambiziosa, sul modello dello speedy trial limits statuni­tense, che prevede l’inserimento della prescrizione cosiddetta “pro­cessuale” accanto a quella cosiddetta “sostanziale” con, da un lato, l’arretramento dell’interruzione della prescrizione sostanziale già al momento dell’esercizio dell’azione penale e, dall’altro, la fissazione di termini processuali entro i quali devono concludersi i tre gradi di giudizio, al cui sforamento sono collegate sanzioni processuali che vanno dalla riduzione della pena in caso di durata del giudizio oltre un determinato periodo, in linea con il modello tedesco, fino alla definitiva estinzione del processo.

Vale qui rilevare che la seconda proposta di riforma, che introduce la prescrizione processuale, è pienamente assonante con una risalen­te proposta di legge a mia prima firma (atto Camera 2306 del 18 dicembre 2019), il cui paradigma normativo ha poi informato l’e­mendamento depositato in Commissione Giustizia per superare il lodo Conte bis.

Vista la complessità del tema, la manichea politicizzazione del di­battito sulla giustizia, e le fibrillazioni interne alla maggioranza che potrebbe determinare in un momento così delicato della vita del pae-se, sarebbe auspicabile che anche la norma sulla prescrizione, l’unica del disegno di legge Bonafede immediatamente precettiva (articolo 14), venisse trasformata in una delega al governo, affinché questi possa intervenire, al riparo dalle polemiche di posizione, in maniera calibrata e coerente con la struttura complessiva della riforma. Il Par­lamento e le forze politiche saranno, dunque, chiamate ad accompa­gnare le proposte del governo, mediando con equilibrio tra le spinte a intervenire subito e in profondità e l’esigenza di garantire i diritti di uguaglianza e libertà dei cittadini, chiudendo definitivamente la trentennale polemica tra meta-giustizialisti e meta-garantisti.

QUANTO AL PROCESSO CIVILE

Il maxiemendamento proposto dal governo – frutto del lavoro della Commissione ministeriale Luiso che aveva il compito di elaborare proposte di modifica al disegno di legge all’esame delle Camere – ha in parte modificato l’originario articolato “ex Bonafede” andando a intervenire su alcuni settori prioritari con l’ambizioso obiettivo di ridurre i tempi del 40% rispetto a quelli attuali.

In primo luogo, la proposta prevede il rafforzamento del ruolo dell’ADR (alternative dispute resolution, risoluzioni alternative del­la controversia) in ottica deflattiva del giudizio ordinario attraverso l’ampliamento delle materie soggette a mediazione obbligatoria e a negoziazione assistita (la quale viene estesa, ad esempio, alle contro­versie individuali di lavoro); mentre in tema di arbitrato rituale, da una parte è previsto un obbligo di disclosure da parte degli arbitri in caso di circostanze che mettano in dubbio la loro imparzialità, con connessa possibilità di ricusazione per “gravi motivi di convenienza” (previsione questa mutuata dall’esperienza dell’arbitrato internazio­nale), e dall’altra è prevista la possibilità che questi, su accordo tra le parti, possano adottare provvedimenti cautelari.

Per il procedimento civile, è prevista una velo­cizzazione dei tempi processuali attraverso l’in­troduzione di un rito ordinario più “compatto”: superata l’originaria ipotesi di abolizione dell’atto di citazione in favore del solo ricorso quale atto introduttivo del giudizio, la proposta di riforma prevede che questa contenga già tutti i fatti e gli elementi di diritto costituenti le ragioni della do­manda nonché, a pena di decadenza, l’indicazio­ne specifica dei mezzi di prova e dei documenti offerti in comunicazione, con potenziamento degli effetti del princi­pio di non contestazione in caso di contumacia del convenuto ove la domanda verta in materia di diritti disponibili; termini non dissimili sono previsti rispetto alla costituzione del convenuto mentre, nel corso della prima udienza, l’attore avrà diritto di replicare anche proponen­do domande ed eccezioni che siano conseguenza delle difese svolte da controparte, nonché entrambe le parti quello di articolare i necessari e conseguenti mezzi istruttori. Le memorie conclusionali sono poi an­ticipate rispetto all’udienza di precisazione delle conclusioni, termine entro il quale il giudice potrà formulare una proposta di conciliazione. Di rilievo la possibilità per il giudice, nel corso del giudizio di primo grado, di pronunciare ordinanza provvisoria di accoglimento, in tutto o in parte, della domanda proposta quando i fatti costitutivi siano pro­vati e le difese del convenuto appaiano manifestamente infondate; in caso di reclamo vittorioso avverso detta ordinanza, il procedimento di merito proseguirà quindi davanti a un diverso magistrato.

Limiti stringenti sono previsti per il procedimento d’appello che mantiene, e anzi potenzia, un rigoroso filtro di ammissibilità con motivi da articolarsi in maniera sintetica e chiara, con possibilità da parte della Corte di delegare la trattazione della causa e l’eventuale assunzione di nuove prove a un consigliere. Il giudizio in Cassazione valorizzerà poi ulteriormente i principi di sinteticità e autosufficienza degli atti e sarà “accelerato” in caso di ricorsi inammissibili o improcedibili, razionalizzando l’utilizzo della pubblica udienza in favore della camera di consiglio e introducendo un nuovo istituto, il cosid­detto “rinvio pregiudiziale”, per risolvere questioni del tutto nuove di mero diritto che possano avere rilevanza in gran numero di casi.

Infine, il processo esecutivo verrà reso più celere e funzionale, attra­verso una serie di innovazioni tra cui l’eliminazione della formula esecutiva (sarà sufficiente una copia del titolo conforme all’origina­le), una velocizzazione della liberazione del bene pignorato e l’in­troduzione della vendita affidata allo stesso debitore (vente privée) dell’immobile pignorato per un prezzo non inferiore al prezzo base indicato nella perizia di stima.

Le direttrici della riforma, dunque, sembrano avere obiettivi chiari e, in larga parte, condivisibili pur non mancando profili che solle­vano perplessità, in alcuni casi significative e meritevoli di ulteriore approfondimento. Da un lato è assolutamente apprezzabile il po­tenziamento dell’ADR in funzione deflattiva del contenzioso, an­che attraverso incentivi fiscali e la possibilità di svolgimento degli incontri in modalità telematica da remoto, sebbene rimangano irri­solte alcune problematiche, come la limitazione di detti incentivi fiscali solo ad alcune procedure (l’arbitrato ne è, ad esempio, escluso), la piena valorizzazione della mediazione ma non anche della negoziazione assistita (come criticamente segnalato dall’Unione nazionale camere civili) nonché le questioni legate ai costi correlati, che potrebbero determinare diseguaglianze di acces­so. Più selettive, invece, le riforme del giudizio di cognizione, che mirano a superare alcune note criticità del sistema, soprattutto attraverso una propensione ad un “compattamento” del calendario processuale e una normalizzazione delle procedure da remoto introdotte in segui­to all’emergenza da Covid-19. Assolutamente condivisibile è l’indi­cazione verso il superamento di invalidità degli atti per mancanza del rispetto delle specifiche tecniche sulla forma in caso di effettivo raggiungimento dello scopo dell’atto nel rispetto dei principi di chia­rezza e sinteticità. Maggiori perplessità sollevano altre proposte, quali quelle legate alla estensione alle controversie del lavoro della “ne­goziazione assistita” e alla “rideterminazione” delle competenze del Giudice di pace, in un’ottica evidentemente a questi devolutiva delle controversie di minor valore a scapito del Tribunale, con il rischio di creare un crescente divario – non solo procedurale – tra vertenze economicamente più rilevanti e quelle che lo siano di meno.

Condivisibili ma meritevoli di ulteriori riflessioni sono i maggiori poteri assegnati in corso del giudizio al giudice di primo grado: seb­bene le evidenti finalità “acceleratorie” della proposta siano apprez­zabili, tuttavia tale intervento si inserisce in una scelta normativa di favor verso una velocizzazione e, in ultima analisi, riduzione del contenzioso attuata attraverso una serie di “tagliole” – come il siste­ma delle preclusioni (invero nemmeno indicato dalla Commissione Luiso) che, come segnalato dalle Camere Civili, potrebbe moltiplica­re il numero dei giudizi – o altri meccanismi processuali che potreb­bero rivelarsi, se letti complessivamente, eccessivamente limitativi del diritto di difesa. Sulla stessa linea si pone, del resto, la stretta sul filtro in appello, che rischia di essere eccessivamente oneroso per la parte appellante, mentre non del tutto coerente con l’attuale sistema è il nuovo istituto del “rinvio pregiudiziale” il quale, di chiara gene­si euro-unionale, rischia di appesantire ulteriormente il lavoro della Cassazione la quale, a differenza della Corte di giustizia UE, ha già un suo chiaro ruolo di giudice di ultima istanza e dunque la possibi­lità di statuire sul punto controverso. Positivo è invece il tentativo di superare l’attuale frammentarietà dei riti attraverso la previsione di un rito unificato applicabile a tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie e attraverso il superamen­to nelle controversie di lavoro del rito cosiddetto “Fornero” con un procedimento unico di impugnazione dei licenziamenti.

Luci e ombre, quindi, che hanno destato consensi e critiche, anche da parte dell’Avvocatura che si è sentita in parte scavalcata nella de­finizione della riforma e non ha condiviso l’approccio basato sulla riforma delle norme di rito che, funzionale a una riduzione dei tempi del processo, «rischia di limitare il diritto di accesso alla giustizia e le garanzie di difesa».

CONCLUSIONI

In conclusione, le riforme proposte e la discussione che le sta ac­compagnando sono una piattaforma sulla quale si può concludere in tempi rapidi una scelta di sistema, mediando sulle diverse posizioni senza stravolgerne la ratio.

Resta l’esigenza di una visione alta e unificante del firmamento “giu­stizia”, un obiettivo essenzialmente culturale che potrebbe essere perseguito con l’adozione di una “Carta della giustizia” che defini­sca valori, principi guida e buone pratiche dell’attività giudiziaria, concepita come una filigrana trasparente e organica, in cui il ruolo della difesa si possa interconnettere libero e tutelato con quello or­dinamentale dei magistrati, come uno dei ‘’fattori” di giustizia, sia nel processo che verso la società, per risolverne e non esacerbarne, come avviene da decenni nel nostro paese, i conflitti. Una Carta che affronti, per dirla con le parole del filosofo campano Fulvio Tessitore «il problema politico e pedagogico, di pedagogia politica, estrinseca­tosi nel nesso riforma delle leggi-riforma dell’educazione».