Riforma della giustizia: guardare al merito si può

Di Anna Rossomando Giovedì 08 Luglio 2021 10:05 Stampa
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Il vincolo di tutti i fondi del PNRR agli interventi di riforma della giustizia in Italia consegna al Parlamento e al governo una gran­de responsabilità, che è quella di intervenire in modo efficace in materia. Il Parlamento è il qui e ora delle riforme sulla giustizia. Superare le contrapposizioni del passato, del conflitto per il con­flitto e discutere in modo diverso di giustizia è una necessità che può essere virtuosa per questa amplissima maggioranza. Abbando­nare le posizioni puramente ideologiche e identitarie e mettere sul piatto idee e proposte che certamente devono avere un indirizzo e una connotazione chiara, deve essere il metodo. Guardare al merito si può: c’è un bagaglio di esperienze, di proposte e di studi a cui attingere senza dimenticare alcuni interventi significativi adottati nella scorsa legislatura con il ministro Orlando. L’altissima sfida da raccogliere è dunque trovare punti di equilibrio avanzati, non dei compromessi al ribasso.

La novità è che a fronte di un’urgenza che non possiamo assoluta­mente eludere c’è una messa a disposizione di risorse per ben 3,2 miliardi che non ha precedenti negli ultimi trent’anni. E questo ov­viamente non dovrà incidere solo in senso quantitativo con l’incre­mento di risorse materiali e umane. Abbiamo la responsabilità di saper cogliere l’opportunità di inserire una massiccia dose di inno­vazione su uno degli interventi sicuramente più importanti, ovvero quello che riguarda l’intero comparto della organizzazione e della modernizzazione del servizio giustizia. Non solo deve essere comple­tata la digitalizzazione del sistema giustizia, che soprattutto nel setto­re civile è comunque a uno stadio avanzato, ma è necessario cambia­re l’impostazione e l’approccio: il digitale non è semplicemente una tecnica di somma di dati o informatizzazione di archivi. Se vogliamo essere veramente al passo dell’Europa bisogna necessariamente virare verso una diversa organizzazione del lavoro e delle modalità di for­mazione dei provvedimenti.

Tra gli interventi possibili prevediamo un Ufficio del monitoraggio delle performance degli uffici giudiziari in modo da uniformare in tutto il territorio le migliori prestazioni e un’implementazione di­gitale che abbia l’ambizione di cambiare l’organizzazione dei nostri tribunali e adeguarla al dinamismo del terzo millennio. Proseguiamo quindi certamente con il completamento del rito telematico, ma pre­vediamo anche la scrittura di un rito digitale per far corrispondere le norme alle nuove tecnologie; un’organizzazione digitale degli uffici e la creazione di banche dati degli orientamenti sul contenzioso e degli atti conclusivi delle sentenze rese, per mettere a disposizione dei magistrati un patrimonio di conoscenze completo, immediato e aggiornato.

Come noto, sia per la riforma del processo civile che per la riforma del processo penale e financo per la riforma del CSM si parte dai testi che erano già stati depositati con la firma del ministro Bonafede. La novità è che con le precise richieste dell’Europa la curvatura è molto improntata all’obiettivo della celerità dei tempi: una giustizia lenta è una giustizia che non dà un servizio “in materia di diritti” ed è una giustizia anche più diseguale, perché certamente ne è avvantaggiato chi ha più mezzi economici o chi comunque è in una posizione di vantaggio. In tempi di resilien­za e uscita dall’emergenza, contrastare l’acuirsi delle diseguaglianze anche in settori che non ne avevano mai sofferto deve essere la nostra osses­sione.

Sia per quanto riguarda il processo civile che per quello penale la questione di tempi celeri e certi è direttamente collegata al concetto di tutela del­le garanzie dei cittadini nel processo. Nel civile la celerità dei tempi garantisce il diritto a ottenere soddisfacimen­to delle proprie ragioni creditorie così come la tutela di un diritto personale. Aggiungo che i tempi devono andare di pari passo con la qualità dei provvedimenti e con una certa prevedibilità delle de­cisioni, ovviamente evitando il pericolo del conformismo giuridico. Interessante è la previsione della commissione Cartabia di introdurre «la possibilità per il giudice di merito, quando deve decidere una questione di diritto sulla quale ha preventivamente provocato il con­traddittorio tra le parti, di sottoporre direttamente la questione alla Corte di Cassazione per la risoluzione del quesito posto». Nel penale la ragionevole durata dei processi è una delle principali garanzie di cui un cittadino deve godere in uno Stato di diritto e ha a che vedere col principio di presunzione di non colpevolezza. Un tempo infinito del processo, anche quando si conclude con una assoluzione, espone a conseguenze che possono incidere concretamente sulla vita delle persone. E non è mai superfluo sottolineare che la non ragionevolez­za dei tempi della giustizia mina fortemente il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni.

LA RIFORMA DEL PROCESSO CIVILE

Per la riforma del processo civile, caratterizzata da profili tecnici complessi, i tempi sono ristretti. Tuttavia il confronto non dovrà mancare. I nostri tempi non sono ancora quelli della giustizia eu­ropea ed è noto che questo indebolisce la competitività del sistema economico, anche se rispetto al passato sicuramente c’è stato un mi­glioramento delle prestazioni. Condivisibile è l’impostazione secon­do la quale gli interventi sulla procedura civile devono essere pochi e mirati, diretti a snellire e semplificare. Anche perché un ennesimo intervento incentrato sulla procedura non avrebbe effetti visibili nel breve periodo, mentre abbiamo bisogno di riscontri immediati. Un intervento significativo potrebbe essere quello volto a rafforzare il ruolo del giudice nella definizione delle tappe processuali da seguire in ragione dell’entità e della complessità della causa. Quanto potrà essere accentuata questa scelta sul tavolo delle possibili soluzioni per la semplificazione dei riti sarà argomento di confronto.

A domande diverse per settori specifici e aspettative devono corri­spondere differenti soluzioni per dirimere il contenzioso. La scelta è di puntare sui metodi alternativi di risoluzione delle controversie, le cosiddette “ADR”, e qui naturalmente la direzione giusta è quella di incoraggiare e non penalizzare sostenendo un sistema di incentivi fiscali e di investimenti sulla specializzazione e formazione professio­nale di tutti gli attori della mediazione e della negoziazione assistita, incentivando anche l’utilizzo dell’arbitrato assicurando in maniera stringente le garanzie di imparzialità e indipendenza e regolandone i costi. Sarà argomento di confronto la modulazione tra obbligatorietà e possibilità di utilizzo di tali mezzi alternativi.

Le professioni possono avere un ruolo importante per quanto riguar­da alcuni settori che rientrano nella volontaria giurisdizione, quindi la proposta è quella di affidare la trattazione di questa materia, per alleggerire il carico degli uffici giudiziari, alle competenze delle pro­fessioni come avvocati, notai e commercialisti, lasciando al giudice la trattazione delle materie che sono invece collegate al contenzioso. Questa impostazione guarda alle professioni intellettuali come a una risorsa, valorizzandone la funzione sociale.

L’altra grande risorsa è quella dell’Ufficio del processo, che non sarà soltanto un supporto al lavoro dei magistrati per la scrittura dei prov­vedimenti e la ricerca giurisprudenziale, ma una vera e propria task force con l’impiego di competenze giuridiche, economiche, sociali e organizzative, attraverso il reclutamento di una nuova leva che favo­risca l’ingresso di giovani nel mondo del lavoro. Il governo ha già ap­provato l’assunzione a tempo determinato di 16.500 giovani giuristi destinati all’Ufficio del processo per lo smaltimento dell’arretrato, ma l’intervento nella riforma sarà strutturale.

LA RIFORMA DEL PROCESSO PENALE

Come sottolineato, la prima fondamentale garanzia per chi è sot­toposto a un processo penale è quella di vederne la conclusione in tempi ragionevoli e certi. Questo vale sia per l’imputato che per la persona offesa. Ritenendo l’obbligatorietà dell’azione penale un ca­posaldo del principio dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla leg­ge, non possiamo non vedere come nella pratica esso rischia di essere travolto dalla realtà. Dunque, se lo si vuole mantenere è necessario alleggerire drasticamente il numero dei processi. Non tutti i conflitti sociali debbono trovare una risposta nel processo penale, per questo occorrerà proseguire con interventi di depenalizzazione; ma è anche vero che non si può dare la stessa risposta processuale alle diverse domande di giustizia.

Tra le nostre proposte avanzate con gli emendamenti sono da eviden­ziare l’incentivazione della definizione anticipata dei procedimenti con l’obiettivo di limitare il numero di processi che va al dibattimen­to attraverso il potenziamento dei riti alternativi. Oggi il 13% dei processi in primo grado si conclude con il patteggiamento o il rito abbreviato; l’obiettivo è aumentarne almeno di tre volte il numero. Incrementiamo il ricorso alla giustizia riparativa con la possibilità di estinguere alcuni tipi di reato con condotte riparatorie a favore delle vittime. Modello già sperimentato in Germania, dove si smaltiscono 200.000 procedimenti all’anno grazie all’istituto dell’archiviazione condizionata secondo il quale il pubblico ministero può imporre all’imputato l’obbligo di alcuni atti riparatori che vanno dai risarci­menti pecuniari ai lavori socialmente utili, all’adempimento dei qua­li si procede automaticamente all’archiviazione del reato. In questo caso il vantaggio non è solo nell’alleggerimento del carico, ma anche nella effettiva e tempestiva riparazione di una lesione.

E ancora: stabilire che si possa chiedere il rinvio a giudizio solo in presenza di una ragionevole certezza della possibilità di ottenere una condanna, modificando la regola di giudizio per la presentazione del­la richiesta di archiviazione e prevedendo che il pubblico ministero, valutata la completezza, la congruità e la serietà del compendio pro­batorio acquisito, chieda l’archiviazione al fine di escludere l’esercizio dell’azione penale in presenza di prove insufficienti e contraddittorie laddove si ritenga inutile un nuovo supplemento istruttorio. Tempi certi ed esigibili per sapere se dopo la chiusura delle indagini c’è un’archiviazione o un rinvio a giudizio, su questo punto già nella passata legislatura ero stata promotrice di un emendamento poi ap­provato, tuttavia la disposizione ha bisogno di essere ulteriormente rafforzata per renderla realmente esigibile.

L’attuale contesto politico deve consentire un intervento chiaro sulla prescrizione, che non è mai stata e non sarà mai uno strumento per far durare meno i processi. La prescrizione nasce con una finalità diversa; è quindi importante correggere la norma introdotta con il cosiddetto “spazzacorrotti”. La proposta è quella della prescrizione processuale per fasi.

IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

La riforma del CSM non è più rinviabile; la proponiamo da tempo e i recenti fatti di cronaca la rendono ancora più urgente. E per di più, gli interventi sull’ordinamento giudiziario devono essere connessi a quelli sul processo penale e finanche a quelli sul processo civile. La crisi di credibilità che sta attraversando la magistratura impatta direttamente sulla fiducia che i cittadini hanno nei confronti del si­stema giustizia. Partiamo dalla convinzione che intervenire sulle re­gole dell’autogoverno non intacca bensì valorizza e rafforza i principi costituzionali dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura. Se si ritiene che uno dei difetti da correggere e contrastare sia quello degli effetti negativi del correntismo, ovvero del potere per il potere, la strada è quella di restituire voce e valore al plu­ralismo delle idee. Deve essere chiaro che non si può difendere l’esistente.

Il primo ma non il più importante degli inter­venti è quello della modifica della legge eletto­rale. Escluso il sorteggio, ci sono diverse proposte, una è quella del­la commissione Cartabia. La proposta finale riteniamo che debba prevedere la parità di genere. Ma la riforma elettorale non basta. La prima questione da affrontare è quella delle nomine dei dirigenti e la proposta è che devono essere adottate in rigoroso ordine cronologico e decise almeno due mesi prima della scadenza. È venuto davvero il momento di prevedere che avvocati e giuristi presenti nei Consigli giudiziari abbiano diritto di intervento e di voto sulle deliberazioni che riguardano le valutazioni di professionalità dei magistrati. Pro­poniamo che ci sia anche la presenza del presidente del Consiglio dell’Ordine, garanzia di autorevolezza e indipendenza. Un tema che bisogna necessariamente affrontare è quello di un sistema eccessiva­mente chiuso e in un certo qual modo autoreferenziale. Proponiamo che i componenti dell’ufficio studi e i segretari del CSM, oggi no­minati solo tra i magistrati, vengano scelti per concorso, aperto an­che a professionalità esterne. Per contrastare la cristallizzazione degli accordi tra le correnti una proposta è quella della modularità nell’e­lezione dei componenti del plenum in modo che non siano eletti tutti contestualmente. A mio avviso è un intervento che si può fare a Costituzione invariata. Mentre la commissione Cartabia ritiene che sia necessaria una modifica costituzionale, collegata alla designazio­ne del vicepresidente del CSM direttamente da parte del presidente della Repubblica. Tra gli altri elementi di valutazione della profes­sionalità proponiamo quello della verifica delle smentite processuali delle ipotesi accusatorie, naturalmente utilizzando criteri che evitino di scoraggiare le inchieste “difficili”. Mentre per i dirigenti degli uf­fici l’inserimento di una valutazione delle performance organizzative misurate secondo parametri oggettivi.

Abbiamo già parlato della maggiore esplicitazione del vincolo del principio di presunzione di non colpevolezza. Legato agli interventi sul processo penale c’è il tema enorme della spettacolarizzazione me­diatica delle inchieste che incide negativamente sulla presunzione di non colpevolezza. La proposta è che ci sia una comunicazione sobria e formale basata su comunicati stampa ufficiali dei dirigenti degli uffici. Per rendere esigibile questo tipo di garanzia si propone che vi sia una previsione disciplinare specifica a riguardo.

È sicuramente da apprezzare come tra le proposte della ministra Car­tabia sul CSM ci sia la separazione delle funzioni tra chi si occupa del disciplinare e chi si occupa delle nomine. Noi proponiamo, attraver­so una legge costituzionale l’istituzione di un’Alta Corte, composta con lo stesso metodo della Corte costituzionale che giudichi in grado d’appello sulle decisioni disciplinari di CSM e degli organi di auto­governo delle magistrature amministrative e contabili e in primo e in secondo grado sulle decisioni amministrative di tutte le magistrature.

In questa nuova fase è utile riprendere la discussione sulla cultura della giurisdizione e la “cultura” della terzietà del giudice: non sareb­be ora di aprire ad una formazione comune tra avvocati, magistrati inquirenti e giudicanti che preceda l’esercizio delle rispettive profes­sioni? E non sarebbe pure il momento di aprire l’accesso in magistra­tura agli avvocati che sono già cassazionisti attraverso un concorso ad hoc? Se ne era parlato anni fa, prima che il dibattito sulla giustizia fosse inquinato dallo scontro sterile di un tempo al quale non voglia­mo tornare.