Intelligence e nuove minacce

Di Marco Minniti Lunedì 14 Luglio 2014 16:05 Stampa

Alle minacce cui tradizionalmente i servizi di intelligence sono chiamati a fare fronte, se ne aggiungono oggi di nuove, sia perché si aprono ulteriori fronti di instabilità geopolitica – in Africa, ad esempio, in particolare in Libia – sia perché emergono fenomeni prima sconosciuti, come i pericoli legati al cyberspace. Di fronte al crescere dei rischi e alla presenza di minacce sempre più globalizzate è indispensabile una risposta collettiva fondata su una nuova cultura della sicurezza e dell’intelligence che abbia quale pietra angolare l’equilibrio fra diritto pieno alla sicurezza e rispetto dei diritti universali dell’uomo.

Lo scenario con cui l’intelligence mondiale si deve confrontare è profondamente cambiato negli ultimi decenni per i numerosi mutamenti sociali, economici, politici e tecnologici che si sono succeduti. Ciò ha comportato, da un punto di vista geopolitico, il passaggio da un mondo fortemente caratterizzato da due blocchi contrapposti a un assetto multipolare o meglio “apolare”, privo cioè di chiari punti di riferimento e schieramenti predefiniti.

In questo contesto estremamente dinamico e sempre più interdipendente – si pensi ai processi di cambiamento in atto in Nord Africa (Egitto, Libia, Tunisia, Algeria e Marocco), ai contenziosi regionali e internazionali in Medio Oriente, ai processi di transizione che riguardano alcuni paesi arabi – il compito dei servizi di informazione è quello di avere conoscenza del quadro delle minacce, così da mettere il decisore politico in condizioni di sapere con ragionevole anticipo ciò che può succedere per poter predisporre idonee contromisure. Naturalmente non è semplice, si tratta di un lavoro alquanto duro e complicato che gli organismi informativi conducono avvalendosi di diversi strumenti. Alcune attività sono certamente “coperte”, ma nel mondo di oggi, fortemente interconnesso ed esposto alla comunicazione, è fondamentale la conoscenza delle cosiddette “fonti aperte”. La mole di informazioni disponibili è enorme, per cui la grande capacità che deve avere l’intelligence è di saper cogliere il segnale buono in un mare di dati inservibili.

La congiuntura economica e la ridefinizione degli equilibri di sicurezza a livello geopolitico, anche in ragione delle dinamiche di instabilità del quadrante africano e mediorientale, influenzano in modo significativo le minacce al sistema paese che i nostri servizi di informazione devono affrontare sia all’interno del territorio nazionale sia fuori dai confini.

Il terrorismo di matrice jihadista continua a rappresentare una temibile minaccia. Molta attenzione è, al momento, rivolta al fenomeno dei cosiddetti foreign fighters per il correlato rischio di reducismo. Negli ultimi anni si sta assistendo alla partenza dall’Europa di volontari, spesso indottrinati sul web, per i teatri di jihad così da “unirsi alla causa”. Si tratta tanto di cittadini stranieri residenti nel Vecchio continente quanto di cittadini occidentali convertiti all’Islam radicale. Gli elementi di preoccupazione sono legati alla possibilità che questi soggetti, dopo essere entrati in contatto sul campo con gruppi qaedisti e aver acquisito specifiche capacità offensive, decidano di tornare in Occidente, Italia compresa, per attuare attacchi o creare filiere radicali. Il fenomeno, benché si presenti con maggiore incidenza in altri paesi europei, esiste anche in territorio nazionale, come reso evidente dalla morte in Siria, principale meta di dispiegamento per i foreign fighters, di un cittadino italiano unitosi all’insorgenza islamista dopo un periodo di radicalizzazione. Nel contempo, profili di rischio sono legati anche a eventuali iniziative estemporanee in nome della cosiddetta “jihad individuale” da parte di soggetti radicalizzatisi soprattutto sul web.

Sul fronte interno, la situazione di disagio sociale non sembra in grado di attribuire nuova linfa a progetti eversivi di stampo brigatista, tuttora perseguiti da ristretti circuiti dell’estremismo marxista-leninista. Attenzione particolare deve, invece, essere rivolta ai tentativi dell’estremismo antagonista di strumentalizzare le rivendicazioni sulle tematiche ambientaliste, sul diritto al lavoro e sul diritto alla casa, provando a connotarle per il ricorso alla violenza. In questo senso, non sono da sottovalutare le potenzialità dell’eversione di matrice anarco-insurrezionalista, intenzionata a infiltrare manifestazioni di dissenso, come la mobilitazione NO TAV. L’intelligence economico-finanziaria è chiamata a confrontarsi con una minaccia, a volte meno visibile ma in grado di influire negativamente sulle prospettive di ripresa e crescita del nostro paese.

Proprio per questo è divenuto indispensabile per il governo avvalersi degli organismi di informazione, specie a tutela delle realtà economiche ritenute strategiche e di quei nodi infrastrutturali da cui dipendono la continuità dei servizi essenziali e la sicurezza del paese. L’intelligence italiana è chiamata, in particolare, a tutelare la sicurezza economica nazionale rispetto a minacce in grado di depauperare la competitività tecnologica e infrastrutturale del paese, incidere sulla continuità degli approvvigionamenti energetici, alterare la solidità del sistema creditizio e finanziario. Al contempo, ulteriore mirata attenzione deve essere, tra l’altro, rivolta a forme di alterazione della libera concorrenza e alle proiezioni criminali nel tessuto produttivo.

La cybersecurity, poi, costituisce una sfida di straordinaria importanza con cui deve confrontarsi il nostro sistema paese e, più in generale, tutto il mondo globalizzato. La rete rappresenta una grande opportunità di conoscenza, di ricerca, di sviluppo tecnologico, ma – come sempre avviene in questi casi – costituisce altresì un’incombente minaccia. Più, infatti, il mondo si sviluppa, più abbiamo a che fare con nuove tecnologie; più sono di fronte a noi grandi opportunità, più dobbiamo confrontarci con grandi pericoli. Tutte le società molto veloci – soprattutto quelle complesse come la nostra – sono anche società molto fragili.

La dimensione cyber, aggiungendosi a terra, mare, cielo e spazio, costituisce oggi il quinto dominio entro cui si muove l’umanità. In questa ulteriore dimensione vengono portati molteplici attacchi – si parla di numeri impressionanti; secondo il “Norton Cybercrime Report 2013”, ad esempio, solo le vittime di reati cibernetici a livello mondiale sono 378 milioni ogni anno, con una media di dodici vittime per secondo, e i danni economici prodotti dal cybercrime sono calcolati in 113 miliardi di dollari – per le più diverse ragioni: c’è l’azione classica di spionaggio, l’ingresso in sistemi per carpire segreti industriali, culturali, di intelligence, fino ad arrivare ad attacchi coordinati che puntano a far collassare un sistema paese. È una possibilità tutt’altro che remota se pensiamo a quanto la tecnologia e il mondo digitale caratterizzino la vita quotidiana di una nazione, dagli aspetti più banali a sistemi complessi, reti e infrastrutture ICT che forniscono beni e servizi essenziali ovvero costituiscono piattaforme su cui si basano altre infrastrutture critiche.

Si tratta, dunque, di una minaccia così diffusa e insidiosa per la sicurezza del sistema paese che richiede una risposta integrata e omogenea di tutte le componenti pubbliche competenti, in stretta sinergia con il mondo privato, tanto accademico e della ricerca scientifica quanto imprenditoriale. Il tutto non disgiunto da una collaborazione internazionale, anche in vista di una governance complessiva della rete.

Una prima fondamentale tappa è stata l’adozione da parte del governo del “Quadro strategico nazionale per la sicurezza dello spazio cibernetico” e del “Piano nazionale per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica”, che danno vita all’architettura di sicurezza cibernetica nazionale e di protezione delle infrastrutture critiche, nel cui ambito l’intelligence è chiamata a svolgere un ruolo di primissimo piano.

Nel quadro delle minacce descritte è centrale il ruolo dell’Africa per il futuro dell’Italia e dell’Europa. Siamo una media potenza regionale, quindi il nostro naturale ambito di azione è il territorio che ci circonda, cioè il Mediterraneo. Quest’area, per noi fondamentale, è anche il teatro geopolitico e geostrategico più difficile e più delicato per la sicurezza del pianeta e se l’Italia opera bene in tale quadrante, supportata dall’intelligence, crescerà anche nel rapporto con il resto del mondo.

L’Africa è, e nei prossimi venti anni sarà, un continente decisivo da cui dipendono: a) la sicurezza del Vecchio continente. Nel Nord Africa e, più in generale, in Africa c’è il tema del jihadismo che può costituire una minaccia per tutti i paesi europei. Si pensi, citando le organizzazioni più strutturate e pericolose, a Boko Haram in Nigeria, ad al-Shabaab nel Corno d’Africa e ad al Qaeda nel Maghreb islamico, attiva dal Nord dell’Algeria all’area sahelo-sahariana (specie in Mali) e in grado, in prospettiva, di espandersi ulteriormente; b) l’approvvigionamento energetico. L’Africa ha giacimenti enormi e il 30% delle risorse energetiche che l’Italia utilizza vengono dall’Africa settentrionale; c) il problema demografico legato agli immensi flussi migratori. Se la comunità internazionale riuscirà a costruire le condizioni per cui i paesi africani possano stabilizzarsi e avere una crescita economica e sociale, noi tutti, italiani ed europei, trarremo un grande beneficio in termini di sicurezza. Se, invece, la situazione dovesse deteriorarsi, avremo problemi giganteschi.

In particolare, anche in ragione della posizione geografica, la condizione attuale della Libia – paese, allo stato, disgregato e in preda all’anarchia – desta grande preoccupazione, perché lì si sta giocando una partita decisiva per la stabilità di tutta l’Europa. Il paese nordafricano non è solo un primario fornitore di greggio e di gas, ma è anche nevralgico in relazione alla minaccia jihadista e agli imponenti flussi migratori, e la grave disgregazione istituzionale non fa che accrescere la pervasività di tali minacce. L’Italia e la comunità internazionale hanno l’obbligo di farsi carico del problema, individuando le soluzioni più idonee per avviare un processo di stabilizzazione democratica non disgiunto dalla riattivazione della produzione energetica e dal rafforzamento delle forze di sicurezza. In proposito, sarebbe auspicabile nominare un alto rappresentante delle Nazioni Unite cui affidare l’arduo compito di avviare un percorso di riconciliazione nazionale riconoscendo le istanze federaliste della Cirenaica. Questa linea è l’unica in grado di rappresentare una risposta efficace anche in relazione agli esodi di massa cui assistiamo giornalmente: il 93% dei flussi migratori, pur non essendo libici, passano dalla Libia. Il fenomeno deve essere affrontato con intelligenza: vanno tenuti insieme il diritto a esistere e ad avere asilo (i due terzi dei migranti scappano da situazioni di difficoltà e di guerra) e il dovere di combattere contro le organizzazioni che gestiscono il mercimonio di esseri umani. Questo è lo spirito dell’operazione Mare Nostrum, avviata nei mesi scorsi dal governo, che ha permesso di salvare moltissime vite e arrestare mercanti di uomini.

L’Italia in questa partita non può farcela da sola. Mare Nostrum deve diventare una missione europea e le Nazioni Unite devono impegnarsi per creare in Libia una cornice di sicurezza adeguata, che consenta di garantire la prima accoglienza direttamente nel paese, affidandola ad esempio a una grande organizzazione delle Nazioni Unite quale l’UNHCR.

Gli scenari delineati rendono evidente come di fronte a rischi crescenti e minacce globalizzate sia indispensabile una risposta collettiva del sistema paese, fondata su una nuova cultura della sicurezza e dell’intelligence che abbia quale pietra angolare l’equilibrio fra diritto pieno alla sicurezza e rispetto dei diritti universali dell’uomo. L’intelligence infatti, per poter adempiere al suo compito di presidiare i confini di una democrazia, deve essere fortemente integrata con la democrazia stessa. Proprio per questo, le metodiche non convenzionali di cui gli organismi di informazione si avvalgono non possono che essere regolate dalla legge.

In armonia con tali principi, i nostri servizi di informazione si muovono in un quadro normativo che consente loro di avvalersi di strumenti operativi sottoposti ad autorizzazioni e controlli interni, parlamentari e giudiziari che garantiscono la tutela dei diritti, senza pregiudicare la funzionalità. Questo sistema fa dell’Italia un modello all’avanguardia. Dopo le rivelazioni di Snowden, con i correlati dibattiti sui presunti o effettivi attacchi alla privacy, gli Stati Uniti stanno arrivando a mettere in campo metodiche di controllo agli strumenti non convenzionali consentiti all’intelligence importanti ma in ogni caso meno impegnative di quelle previste da più di sette anni nel nostro ordinamento. Questa è la linea che vuole seguire il nostro paese, contemperando l’indispensabile riservatezza con la necessaria apertura e trasparenza su tutti quegli aspetti utili ad avvicinare l’intelligence alla società civile, facendone percepire l’importanza quale strumento che può rendere più forte e più credibile una democrazia.

In questa prospettiva si pongono sia il roadshow Intelligence live presso i principali atenei italiani – che ho inaugurato con l’obiettivo di far conoscere meglio gli organismi informativi e di favorire la diffusione di un modello di “intelligence partecipata” – sia la direttiva del presidente del Consiglio dei ministri del 22 aprile scorso che dispone la declassificazione degli atti relativi a gravi fatti degli anni passati, volta a rafforzare l’osmosi fra organismi di informazione e sistema paese attraverso il riconoscimento degli archivi dell’intelligence come patrimonio a disposizione degli studiosi, del mondo dell’informazione e dei cittadini. Di tutto ciò sono particolarmente orgoglioso, perché sono convinto che sicurezza e libertà non siano istanze contrapposte ma due facce della stessa medaglia tra loro intrinsecamente connesse in una logica di contemperamento e integrazione.

È del tutto evidente che non c’è alcuna sicurezza effettiva se non viene garantita la libertà, ma è altrettanto evidente che non c’è nessuna libertà se non viene garantita la sicurezza. A mio avviso, sicurezza è libertà.

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