Due emergenze, una sanitaria e l’altra economica, hanno accompagnato la diffusione a livello globale della pandemia Covid-19. Secondo le stime più recenti, il crollo dell’attività economica in questi mesi sarà senza precedenti per rapidità e intensità, almeno dai tempi della crisi degli anni Trenta. Ma c’è ancora grande incertezza sull’evoluzione della crisi economica in corso. Molto dipenderà, innanzitutto, dai tempi necessari a porre sotto controllo la diffusione del Coronavirus, fino all’auspicata scoperta di cure efficaci e/o di un vaccino. E, poi, dagli interventi e dalle politiche economiche che verranno adottati sia in questa fase d’emergenza sia in quella successiva di rilancio dell’economia.
Tentare di disegnare scenari economici futuri in questa prospettiva è sicuramente un azzardo. Ma è una riflessione di qualche utilità, proprio perché stiamo vivendo una crisi senza precedenti. Nel guardare all’economia del dopo Covid-19 ci si divide tra chi minimizza la portata della crisi economica in corso, immaginando una rapida ripresa e una sostanziale continuità rispetto al passato, e chi profetizza mutamenti epocali nel funzionamento dell’economia e nei suoi fattori determinanti, a partire dalla relazione tra Stato e mercato. Uno dei temi chiave è il futuro dell’economia globale, che ha caratterizzato in modo decisivo questi ultimi trent’anni. Pressoché scontato è che, passata la pandemia, verranno rimosse, pur se gradualmente, le attuali pesanti barriere ai viaggi e agli spostamenti di persone e merci. Ma è assai improbabile un ritorno al mondo globalizzato e alla piena mobilità di persone e merci di prima della crisi. L’economia mondiale subirà delle trasformazioni rilevanti e, come accaduto altre volte in passato, sotto forma sia di nuovi andamenti che di rafforzate dinamiche già in atto. Sono temi, come si può intuire, di particolare rilevanza perché in grado di condizionare tempi e modalità dell’auspicata uscita dalla gravissima crisi che ha investito tutta l’area avanzata. Qui di seguito cerchiamo di mettere in fila e analizzare alcuni andamenti e fenomeni in essere, per provare a trarne insegnamenti sulle possibili future configurazioni del contesto economico globale. Si tratta solo di ragionevoli congetture, non molto di più, senza alcuna pretesa di sistematicità vista l’elevata incertezza che continua ad avvolgere la drammatica fase che stiamo attraversando.
IL DECLINO DELL’ORDINE MULTILATERALE
Il primo dato da sottolineare è l’ordine sparso con cui i maggiori paesi stanno affrontando la crisi pandemica, nonostante l’impatto economico globale del Covid-19, che non ha alcun rispetto dei confini nazionali. Quest’anno, secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale, l’economia mondiale registrerà la più profonda recessione dagli anni della Grande depressione, assai più grave di quanto accaduto nella crisi finanziaria globale del 2008-09. E la maggior parte delle previsioni scontano un prolungamento della fase recessiva in corso e forti difficoltà nel rilancio delle economie, con lo spettro di precipitare in una vera e propria depressione.
Per modificare tali fosche previsioni sarebbe molto importante predisporre un massiccio intervento a favore del rilancio delle economie coordinato tra i maggiori paesi, al pari di quanto avvenne nella crisi del 2008-09 a livello di G20. Fu allora decisivo per fermare la recessione. Ma ci sono ben poche speranze, nell’attuale contesto economico internazionale, di ripetere un tale intervento concertato. Vi è un esasperato frazionamento nelle misure e nelle politiche messe in atto, a partire da quelle in campo sanitario. Fino alle restrizioni all’esportazione di forniture mediche, incluse quelle vitali.
In un tale contesto, è una facile previsione che il dopo crisi Covid-19 sancirà la fine di quell’ordine multilaterale guidato dagli Stati Uniti, fatto di regole e istituzioni internazionali, che aveva accompagnato il consolidarsi dell’economia globale a partire dal crollo del muro di Berlino. Era un assetto già entrato in crisi da tempo per ragioni strutturali. Mentre l’economia mondo e i suoi equilibri di potere avevano registrato mutamenti epocali in questi primi due decenni del nuovo secolo, soprattutto con la rapida ascesa della Cina, non altrettanto era avvenuto per le istituzioni multilaterali fondate nell’immediato dopoguerra a Bretton Woods. Che avevano finito così per perdere capacità di rappresentanza e di governo a livello globale. Unitamente alla crisi dell’ordine multilaterale, altrettanto prevedibile sarà la fine di quella impetuosa fase della globalizzazione che era stata definita come una sorta di età dell’oro, dalla marcata impronta liberista, scandita dalla crescente apertura dei mercati, dal significativo ridimensionamento del ruolo dello Stato e del settore pubblico in generale, dalla forte dinamica delle privatizzazioni. Dopo aver raggiunto in circa due decenni il suo picco massimo in occasione della Grande crisi del 2008-09, la globalizzazione era entrata da qualche anno in una fase di relativo arretramento. Anche perché i benefici dell’apertura commerciale e finanziaria erano stati pesantemente rimessi in discussione un po’ ovunque nell’area avanzata, dietro la spinta di un diffuso malcontento di larghi strati della popolazione, inclusi vasti segmenti del ceto medio che avevano visto aumentare le diseguaglianze e peggiorare le loro condizioni di vita. Di qui anche il successo delle forze sovraniste e populiste negli Stati Uniti e in Europa.
UN DISORDINE TRIPOLARE
Venuto meno il passato ordine multilaterale non è affatto chiaro quale potrà essere il futuro assetto dell’economia mondiale. Un primo ipotizzabile scenario contempla un’accelerazione di dinamiche già in essere ovvero un assetto tripolare dell’economia mondiale (USA, Europa e Cina-Asia del Pacifico), privato di una reale capacità di governo multilaterale. Perché gli Stati Uniti, da un lato, non saranno più in grado di esercitare un ruolo di leader mondiale dopo aver passato gli ultimi anni a smantellare tutte le istituzioni e regole multilaterali esistenti. E l’altro grande attore economico mondiale, la Cina, cercherà più che altro di approfittare della crisi per occupare spazi lasciati liberi dal ritiro americano, ma non sarà in grado di esercitare una reale leadership sistemica.
La scena politica globale continuerebbe a essere dominata dall’aspro confronto tra Stati Uniti e Cina, incentrato sempre più sulla sfida tecnologica, col rinnovato tentativo americano di affermare definitivamente una sorta di decoupling a livello mondiale. In questo sce nario post pandemico uno dei pilastri della globalizzazione in essere, ovvero le catene globali del valore (CGV), non scompariranno di certo, ma subiranno delle riconfigurazioni, più o meno estese. Vi sarà un ritorno verso le aree e i paesi di origine, all’insegna di maggiori diversificazioni, dettate dalla necessità di ognuno di ridurre condizioni di forte dipendenza da paesi terzi, in particolare dalla Cina. Un processo costoso e che richiederà tempo, e che soprattutto sarà sempre esposto al rischio di spingersi troppo in là, fino ad adottare strategie marcatamente protezioniste in nome della sicurezza nazionale, così da introdurre nuove e sempre più articolate restrizioni agli scambi e all’accesso ai mercati.
In un tale contesto potrebbero diffondersi misure che cerchino di scaricare i costi dell’aggiustamento all’esterno, sugli altri paesi (beggar-thy-neighbouring), con conseguente ristagno dell’attività economica, ridimensionamento del grado di apertura e del commercio globale, marginalizzazioni degli ambiti di cooperazione internazionale. Ne deriverebbero costi pesanti e diffusi, soprattutto per i paesi più deboli. Anche il rilancio di un sentiero di crescita stabile dell’economia mondiale sarebbe molto più difficile.
UN RINNOVATO CONTESTO MULTIPOLARE
Lo scenario sopra delineato di tendenze alla deglobalizzazione e ritorno al predominio dei sovranismi finirebbe per favorire un sistema globale governato da meri rapporti di forza tra paesi ed esposto a instabilità e disordine endemici. Soprattutto non sarebbe in grado di fornire alcuna efficace soluzione ai grandi problemi su scala mondiale presenti oggi e da affrontare ancor più domani. In questi anni l’economia mondiale è diventata altamente interdipendente e davvero lungo è l’elenco dei cosiddetti public goods, dai cambiamenti climatici al digitale, alla stabilità finanziaria, alla salute. La loro soluzione richiede forme di cooperazione tra paesi. In altri termini, l’azione collettiva internazionale rimane uno strumento fondamentale.
Detto questo, per favorire uno scenario alternativo meno frammentato, non basterà invocare come soluzione un mero rafforzamento della cooperazione internazionale, magari un rilancio del multilateralismo stile Bretton Woods e di quell’economia globale da esso favorita. In primo luogo perché quell’ordine, come già detto, era diretta espressione di un’economia mondiale bipolare – imperniata su Stati Uniti ed Europa – che non esiste semplicemente più. E poi perché quella globalizzazione, sempre più dominata dalla mobilità dei capitali finanziari e dai grandi gruppi oligopolistici del digitale, aveva finito per generare grandi diseguaglianze e profonde distorsioni, a partire dall’impatto sull’ambiente.
Anche prima della crisi si era cominciato a discutere di come correggere queste tendenze e aspetti negativi. Al riguardo, la fase di rilancio economico e uscita dalla crisi pandemica potrebbe essere vista anche come un’opportunità per favorire alcune trasformazioni dell’economia globale. Si tratterebbe di trarre dalla drammatica crisi in corso alcune fondamentali lezioni: i costi economici oltre che sociali delle diseguaglianze; il ruolo strategico dello Stato e del settore pubblico; la funzione fondamentale di beni pubblici quali l’educazione, l’assistenza sanitaria, la salvaguardia dell’ambiente; la necessità di azioni collettive.
L’uscita dalla crisi potrebbe offrire l’occasione per nuove risposte a queste domande. In tema di governance internazionale il vero nodo da sciogliere è come rendere un adeguato livello di interdipendenza, in grado di produrre una serie di indiscutibili benefici, in qualche modo compatibile e complementare alla sovranità e sicurezza di un paese, e quindi alla sfera d’intervento nazionale. Preso atto che da questa crisi emergerà una forte e crescente domanda d’intervento dello Stato.
È con questa finalità che andrebbero ripensate politiche multilaterali e disegnati nuovi confini dell’economia globale. Salvando quegli aspetti del passato multilateralismo ancora utili, ma creando nuovi accordi e strumenti d’intervento più adeguati al nuovo contesto. L’importante è saper dimostrare ai cittadini di un paese in concreto i vantaggi dell’apertura e della cooperazione internazionale. Guadagnare il loro consenso rappresenterà un tassello fondamentale per delle rinnovate politiche multilaterali.
L’EUROPA COME GIOCATORE GLOBALE
L’affermazione di uno scenario di nuovo multilateralismo, quale quello prima indicato, rientra sicuramente oggi tra gli interessi strategici dei paesi europei. Un’Europa, viceversa, che si troverebbe in grande difficoltà in un contesto globale meramente dominato da confronti geopolitici tra i grandi poli mondiali basati su meri rapporti di forza, a partire da Stati Uniti e Cina. Una prima implicazione è che l’UE, come più grande area commerciale del mondo, non può in questa fase semplicemente aspettare e vedere come finirà. Come ha scritto Josep Borrell, Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, i paesi dell’UE devono decidere se «vogliono essere dei giocatori o rappresentare semplicemente il campo di gioco». Rischiando di finire in questo secondo caso ai margini del confronto tra i grandi poli mondiali.
L’UE è stata tra i grandi protagonisti e beneficiari del vecchio ordine economico multilaterale. Ma ora deve ridefinire il suo ruolo nel mondo, stabilendo nuove complementarietà tra presenza internazionale da un lato e strategia di integrazione all’interno dall’altro. E, con riferimento ai temi economici, due fronti appaiono di particolare rilevanza.
Il primo riguarda le politiche economiche. L’Europa sta sostenendo un difficilissimo esame in questa crisi. Ne va della sua sopravvivenza. I paesi europei devono contrastare la recessione e gestire la fase di rilancio preservando la coesione interna e affermando una rinnovata solidarietà. È stato già fatto molto, ma non basta. Il ruolo della BCE e il Fondo per la ripresa (Recovery Fund) saranno fondamentali a questo riguardo.
In una prospettiva più di medio periodo, l’Europa non potrà più continuare a utilizzare il modello di crescita dell’ultimo decennio, basato su enormi surplus commerciali verso il resto del mondo. Nel nuovo contesto globale non ci sarebbe più spazio. Il mercato interno europeo, che resta il più ricco del mondo ed è stato finora poco sfruttato, deve diventare il nuovo pilastro dello sviluppo europeo. Alimentato dagli investimenti del Recovery Fund e da quelli già programmati prima della crisi a favore del Green Deal e della ristrutturazione digitale.
Il secondo fronte sarà la formulazione di una politica commerciale e di investimento internazionale a più livelli. In primo luogo, per affrontare con maggiore autonomia le relazioni bilaterali UE-USA; poi per rispondere alla sfida della Cina in termini di maggiore e più efficace reciprocità; in terzo luogo, per mantenere l’impegno a favore di un sistema commerciale globale aperto, riformando il WTO e mantenendo intense relazioni economiche con il resto del mondo, come fatto in questi anni con il Giappone, altri paesi asiatici e l’America Latina. Le relazioni economiche bilaterali sono già molto importanti per l’UE (coprono oltre il 65% dei flussi commerciali) e saranno altrettanto rilevanti per far avanzare le norme sociali e ambientali europee, come già fatto in passato. A questo riguardo sarà essenziale spostare il contenuto dei futuri accordi commerciali sempre più verso il fair trade piuttosto che il mero libero scambio. Da ultimo, a livello domestico sono necessarie politiche più attive ed efficaci del passato, che consentano alla maggioranza dei lavoratori e delle imprese una più equa partecipazione ai cospicui benefici generati dal fair trade e una mitigazione dei costi a esso inevitabilmente associati.
Per riassumere, l’UE ha il potenziale per essere un attore globale e giocare un ruolo da protagonista nei futuri assetti dell’economia globale. Il problema principale è politico, non economico. I suoi meccanismi decisionali sono troppo frammentati. Un altro grande ostacolo sono le divisioni interne e la mancanza di fiducia reciproca tra i paesi membri. Ma la posta in gioco questa volta è davvero troppo alta. È auspicabile che sia sufficiente per unirsi e cercare di formare una squadra più forte e coesa.