Di nuovo, le monarchie del Golfo dimostrano di saper utilizzare le crisi per ridefinire il proprio status, nonché ruolo, nell’ordine regionale e anche internazionale. Passando a un livello successivo – spesso migliore del precedente – in termini di influenza e potere. C’è infatti qualcosa di già vissuto nel modo in cui le monarchie stanno attraversando la crisi internazionale seguita all’invasione russa dell’Ucraina. E rimanda al 2011, l’anno delle rivolte arabe (le cosiddette “Primavere”) in Medio Oriente e nel Nord Africa. Oltre un decennio fa, le monarchie del Golfo, soprattutto Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti (EAU) e Qatar, riuscirono a trasformare la forza energetica ed economica in forza geopolitica. Mentre l’ordine regionale era terremotato da rivolte dagli esiti multiformi (Tunisia, Egitto, Libia, Siria, Yemen), Riad, Abu Dhabi e Doha guadagnavano influenza economica, politica e militare tra Medio Oriente e Nord Africa, spesso in competizione tra loro. Dalla stagione delle rivolte arabe – mai davvero conclusasi – le monarchie del Golfo sono uscite rafforzate, capaci di esercitare potere, talvolta persino di proiettare potenza, in una regione più che mai lacerata da crisi statuali, diseguaglianze sociali e polarizzazioni identitarie. Il Golfo è diventato il perno stabile dell’instabile ordine regionale, alimentando così la propria centralità politica. Di fronte alla crisi ucraina, le monarchie hanno intrapreso un percorso simile, finora con esiti a loro favorevoli. Arabia Saudita, EAU e Qatar sono sin qui riusciti a rafforzare il loro status energetico ed economico nel contesto internazionale. Mai come ora, il Golfo è infatti necessario per la sicurezza globale, a causa delle forniture di petrolio e di gas naturale liquefatto nonché per le vie di trasporto marittime. E in tale quadro, le monarchie si propongono ora come mediatrici fra grandi potenze, dopo esperienze di diplomazia regionale. Cercando – non senza orgoglio – un riconoscimento politico della propria rinnovata centralità globale, costruita sulla neutralità.
DOPO L’UCRAINA. PERCHÉ IL GOLFO (RI)TORNA CENTRALE
La scelta europea di affrancarsi progressivamente dagli idrocarburi della Russia ha spinto i paesi del Vecchio continente verso il Golfo (oltreché in Algeria, Egitto e Azerbaijan). La dipendenza energetica europea dalle monarchie è sensibilmente cresciuta, in primis per il gas naturale liquefatto: il Qatar, gli Emirati Arabi e in misura minore l’Oman, sono divenute mete di “pellegrinaggi energetici” soprattutto per Francia, Germania e Italia. Al contempo, la domanda di energia delle potenze asiatiche, Cina e India, ma anche Giappone e Corea del Sud, trova sinergica soddisfazione nelle monarchie in cerca di fondi e alleanze per la diversificazione economica post idrocarburi. Ne è un esempio l’accordo del 2022 tra Qatar e Cina: Pechino importerà gas naturale liquefatto dall’emirato per ventisette anni. La stabilità del Golfo e delle vie marittime che circondano l’intera Penisola arabica (Stretto di Hormuz, Golfo dell’Oman, Mar Arabico, Golfo di Aden, Stretto del Bab el- Mandeb, Mar Rosso) è oramai il fulcro di interessi energetici e marittimi globali.1 Il Golfo è quindi divenuto centrale, ancor di più con la crisi ucraina, per tutti gli attori internazionali: per l’Europa, per l’Asia, per gli Stati Uniti e anche per la Russia. Nel caso europeo e asiatico, le ragioni di tale centralità sono, come già evidenziato, di natura energetica. Per gli Stati Uniti, focalizzati sull’Indo-Pacifico nonché di ritorno lungo il fianco est della NATO, il Golfo rappresenta adesso il cardine della nascente architettura di sicurezza mediorientale (resa possibile dagli Accordi di Abramo con Israele nel 2020). Un perimetro di sicurezza cui, in parte, “appaltare” – tra molti interrogativi e rischi futuri – gli interessi statunitensi nella regione, oltreché fonte della sicurezza energetica degli alleati europei. Per la Russia, il Golfo (che non ha applicato le sanzioni) rimane un partner economico-commerciale significativo, nonché un interlocutore diplomatico, insieme alla Turchia.
CAUSE E POTENZIALE DEL GOLFO NEUTRALE
Con queste corpose premesse, Arabia Saudita, EAU e Qatar stanno tentando di trasformare, anche sul piano internazionale, la loro forza energetica ed economica in forza politica. Un’operazione già riuscita, dopo il 2011, sul piano regionale. Nell’attuale contesto internazionale, le monarchie del Golfo hanno uno strumento in più per rafforzarsi politicamente: quello diplomatico. Fin qui limitata a casi specifici, la mediazione delle monarchie ha però dimostrato di poter raggiungere risultati concreti. Nel settembre 2022, la diplomazia dell’Arabia Saudita fra Russia e Ucraina ha permesso il rilascio di dieci prigionieri stranieri in Ucraina, trasferiti dai russi nel regno saudita (tra loro, due americani, cinque britannici, un marocchino, uno svedese e un croato); nel dicembre 2022, Arabia Saudita ed Emirati Arabi hanno facilitato uno scambio di prigionieri fra Russia e Stati Uniti, avvenuto ad Abu Dhabi (la sportiva americana Brittney Griner e il trafficante d’armi russo Victor Bout). Proprio il fattore diplomatico mette in evidenza il potenziale politico del Golfo globalizzato, che sceglie la via della neutralità, ad esempio tra Russia e Ucraina, per preservare gli equilibri energetici e commerciali fin qui costruiti. Per le monarchie, la stagione delle alleanze parallele,2 ovvero con i tradizionali alleati statunitensi ma anche con le nuove potenze, Cina, India e, in misura minore, con la Russia, si è infatti aperta da tempo. E la crisi seguita all’invasione russa dell’Ucraina ha consolidato la differenziazione delle alleanze internazionali: le monarchie si muovono con scaltrezza nell’ordine internazionale multipolare, privilegiando l’interesse nazionale, soprattutto economico, alle alleanze storiche.
Le cause della politica delle alleanze parallele sono principalmente due, di natura economica e di sicurezza. Innanzitutto, tale impostazione sostiene le politiche di diversificazione post-idrocarburi, che spaziano in molti settori non-oil (ad esempio manifatturiero, terziario, edilizia, turismo, infrastrutture, logistica), massimizzando così i benefici nazionali3. La trasformazione economico-sociale delineata, ad esempio, da “Vision 2030” in Arabia Saudita necessita anche di investimenti stranieri e capitale umano, dunque del maggior numero di partner possibili. In secondo luogo, gli Stati Uniti non vengono più percepiti, da oltre un decennio, come gli affidabili fornitori esterni della sicurezza del Golfo. Infatti, la gestione delle rivolte arabe (2011), l’accordo sul nucleare con l’Iran (2015), le critiche all’intervento militare in Yemen (in corso dal 2015) e la questione dei diritti umani (vedi l’uccisione del giornalista saudita Jamal Khashoggi), l’inazione dopo l’attacco di matrice iraniana contro gli impianti di Saudi Aramco (2019) e la riduzione della presenza antimissilistica americana nel regno saudita hanno eroso il capitale di fiducia che l’Arabia Saudita e le monarchie nutrivano verso Washington. Un lento addio all’ombrello di sicurezza USA nel Golfo – per lo meno a come lo avevamo conosciuto – che è ormai divenuto (seppur con toni diversi) un elemento di continuità nella politica estera statunitense, dunque a prescindere dall’inquilino della Casa Bianca.
UN ALTRO METODO D’INFLUENZA. DAL FAZIONALISMO ALLA NEUTRALITÀ
Tra il 2011 (rivolte arabe) e il 2022 (invasione russa dell’Ucraina), la differenza è però nel metodo. Di fronte ai tumulti in Medio Oriente e Nord Africa, le monarchie del Golfo trasformarono la forza energetica ed economica in forza geopolitica assumendo una postura politica chiara, nonché “di parte”. In altre parole, sauditi, emiratini e qatarini guadagnarono influenza nella regione prendendo posizione tra le diverse fazioni in lotta, rivaleggiando – anche tra loro – in paesi terzi mediante aiuti economici e persino militari. I qatarini, ad esempio, furono i principali sostenitori della Fratellanza Musulmana nella regione, mentre sauditi ed emiratini appoggiarono le formazioni salafite o quelle con background militare. Invece, nel contesto della crisi internazionale post Ucraina, le monarchie del Golfo hanno incrementato la forza energetica ed economica (in termini di export di idrocarburi nonché di rendita) e stanno provando a tramutarla in forza geopolitica mediante un’ostinata neutralità tra i contendenti. Perseguendo, cioè, una politica completamente diversa dalla prece dente. La scelta dell’equidistanza – con qualche sfumatura – tra Washington, Mosca, Bruxelles e Pechino evidenzia il carattere globale del Golfo, divenuto perno di sicurezza energetica e marittima per i principali attori internazionali.
Per le monarchie, la politica delle alleanze parallele – maturata nella consapevolezza del momento multipolare – non è pertanto reversibile. A un incontro del World Economic Forum di Davos 2023, il ministro delle finanze saudita Mohammed Al Jadaan ha sintetizzato così i rapporti con statunitensi e cinesi: «abbiamo una relazione strategica molto importante» con gli Stati Uniti, nonché una «relazione molto importante» con la Cina. Aggiungendo poi che Riad può essere il mediatore tra Washington e Pechino.4 Affermazioni che mettono in luce l’approccio ambizioso dell’Arabia Saudita e delle monarchie vicine. Non soltanto Riad, Abu Dhabi e Doha coltivano ora un “rapporto alla pari” con le potenze internazionali, a partire dagli Stati Uniti, ma si pongono come potenziali facilitatori diplomatici in tempo di (poli)crisi. In nome di una rivendicata terzietà nei conflitti reali, nonché nelle striscianti “guerre” commerciali.
[1] Sul concetto di Penisola Arabica, si vedano E. Ardemagni, La centralità polisemica della Penisola arabica: fattori geoeconomici e geostrategici, Centro Studi di Politica Internazionale-CeSPI, Roma 2022; E. Campelli, G. Gomel (a cura di), Il Mediterraneo allargato, una regione in transizione. Conflitti, sfide, prospettive, in “Quaderni CeSPI”, Donzelli, Roma 2023.
[2] E. Ardemagni, Military Bases and the US-China Rivalry: Gulf Monarchies Bet on Para-llel Partnerships, ISPI Commentary, 12 luglio 2021, disponibile su www.ispionline. it/it/pubblicazione/military-bases-and-us-china-rivalry-gulf-monarchies-bet-parallel-partnerships-31121.
[3] Per comprendere come le monarchie del Golfo si relazionano con la realtà multipolare si veda J. L. Samaan, The New Middle East is dismissing great power competition for now, in “The Atlantic Council”, MENASource, 18 ottobre 2022, disponibile su www.atlanticcouncil.org/blogs/menasource/the-new-middle-east-is-dismissing-great-power-competition-for-now/-
[4] Davos 2023: Saudi finance minister says China ‘very important’, U.S. ‘strategic partner’, in “Reuters”,18 gennaio 2023.